domenica 14 ottobre 2012

Il mio nome è rosso.

Stamattina, mentre frugavo alla ricerca di qualcosa da leggere, (detto così fa un po' ridere, considerato che ormai dobbiamo uscire di casa, io e la dolce metà, per fare posto ai libri) mi è capitato in mano Il mio nome è rosso, di Orhan Pamuk.
Ora, non ho una gran cultura riguardo gli scrittori mediorientali. Meglio dire che non ne so niente. A differenza della mia amica Babi, che l'arabo lo parla e mi ha prestato il libro in questione.
Quello che mi ha fatta riflettere è che, se lo guardassimo - se lo giudicassimo - secondo i canoni classici da manuale, sarebbe una Caporetto.
Tanto per cominciare, nell'incipit parla un morto in fondo a un pozzo e no, non è un racconto di zombie e neanche un fantastico. Si colloca - per quello che ho capito dalla quarta di copertina - più nel filone dei gialli. Oltretutto il morto, un geniale miniaturista, si rivolge - orrore! - direttamente ai lettori, raccontando di essere stato brutalmente assassinato (anche se non sa né da chi, né per quale motivo). La sua anima, imprigionata nel corpo insepolto, grida vendetta al cielo. A me ha fatto venire in mente - e non so quanto questo sia giusto, perciò correggetemi se sbaglio - un prologo da tragedia greca: in questo caso, la vittima stessa, finita in una sorta di limbo e senza pace, introduce il lettore al "tema" principale, provvedendo anche a fornire alcune coordinate: chi sta parlando, cosa faceva nella vita, dove ci troviamo, quando ci troviamo.
Il secondo capitolo è scritto dal punto di vista di un altro personaggio - sono tutti in prima persona, comunque - del quale non si conosce il nome (non è che lo va a dire così, tanto per) e che, appena tornato a Istanbul dopo dodici anni, vaga per la città devastata cercando di ritrovare i posti che amava da ragazzo.
Il terzo, addirittura, è dal punto di vista di un cantastorie che racconta una storia agli avventori di una sala da caffé usando il punto di vista, sempre in prima persona, di un cane disegnato. Quindi, possiamo ben dire che è il punto di vista di un cane.
Il quarto, che ho appena cominciato, cambia ancora: è il punto di vista di un assassino, ma non so ancora - eh, per quello devo finire - se è l'assassino dell'inizio, o un altro.
In un certo senso, questa costruzione ricorda, con le debite distanze, Rashomon: il fatto è avvenuto e ogni personaggio, a turno, viene interpellato. La differenza, ovviamente, è che in Rashomon sono tutti sicuramente connessi all'omicidio, perché si trovavano nelle vicinanze, mentre, per ora, non so ancora in quale modo i vari personaggi siano legati all'omicidio.
Ricorda anche, ma molto alla lontana, Il nome della rosa, più che altro per la profondissima cultura religiosa che è profusa nella vicenda.
Per ora non c'è trama, non c'è cliffhanger, non c'è viaggio dell'eroe: non si capisce neanche chi sia l'eroe, fra tutti quelli che ci sfilano davanti! 
Ci sono morti e cani che parlano e il pdv non si ferma abbastanza su un personaggio da consentirti di affezionarti a lui: Pamuk ti fa diventare curioso, ti fa venire voglia di saperne di più del tizio che sta parlando e poi, cambio!, al capitolo successivo sotto un altro e tu rimani con un palmo di naso.
Non rispetta una regola che sia una - tranne la gestione del punto di vista, rigorosissima - eppure il libro è splendido. 
Sicuramente, la classe è classe - e Pamuk ne ha da vendere - ma, ecco, forse è anche la dimostrazione che a volte vale la pena di non stare incollati alle regole con l'Attack.

2 commenti:

  1. Mi ricorda, a naso, Hakawati. Il cantore di storie, di Rabih Alameddine: altro romanzo la cui costruzione, all'inizio, spiazza tanto da far venire voglia di chiuderlo, anche perché non si capisce dove voglia andare a parare l'autore. Invece, più si va avanti più diventa evidente che Hakawati è splendido.

    forse è anche la dimostrazione che a volte vale la pena di non stare incollati alle regole con l'Attack.
    Va bene anche costeggiarle, va bene anche romperle, ma prima - almeno - bisognerebbe conoscerle. Solo questo.

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  2. la cui costruzione, all'inizio, spiazza tanto da far venire voglia di chiuderlo, anche perché non si capisce dove voglia andare a parare l'autore
    No, qui hai la sensazione che l'autore abbia pieno controllo della storia e non ti fa venire voglia di chiuderlo. Al contrario,ti fa venire voglia di andare avanti.

    Va bene anche costeggiarle, va bene anche romperle, ma prima - almeno - bisognerebbe conoscerle. Solo questo.
    Certo. La conoscenza delle regole è fondamentale. Solo, ci sono casi in cui usarle come metro di giudizio ti porta a prendere granchi colossali. Tutto qui.

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