lunedì 8 ottobre 2012

Questione di punti di vista.

Ieri sera, in un luogo della rete di cui è pietoso e saggio tacere anche il nome (cit.), è stato sfiorato l'argomento "punto di vista".
Un altro dei punti caldi delle discussioni sulla scrittura, in merito al quale ci sono posizioni nette, inconciliabili, diametralmente opposte.
L'affaire punto di vista si può scindere in due questioni principali.
Primo: il tipo di punto di vista.
Secondo: il modo in cui viene gestito.
Per quel che riguarda il tipo, ce ne sono tanti: il narratore onnisciente, la prima persona, la seconda persona (raro, difficile, c'è chi dice più da virtuoso che altro), la terza persona (che può essere limitata e onnisciente).
Senza stare a fare una disamina, perché si va sul nozionistico e nozionistico è noioso, penso che tutti quanti abbiano una loro dignità e una loro bellezza.
Come non si può usare lo stesso paio di scarpe su tutti i vestiti che abbiamo, perché le Converse sullo smoking stanno malissimo (a meno di non essere il Decimo Dottore, lui può), anche il PDV va scelto di volta in volta in modo che si adatti alla storia.
Non è che ce ne sia uno più facile da usare, uno per principianti e uno per esperti (a parte la seconda persona, che è un po' un caso a sé): va maneggiato con rispetto a prescindere, perché può essere una delle cose che ti affossa la storia prima ancora che tu possa dire "Bao".
E non c'è nemmeno un modo "giusto" e uno "sbagliato" di sceglierlo: a volte vado a istinto, altre considero il tipo di storia e a quello che non voglio far sapere al lettore (se non alla fine, quando provo a tirargli il tappeto da sotto i piedi).
E, per favore, non ditemi che PDV = terza persona limitata e il resto è cacca
Le affermazioni categoriche di questo tipo, da qualunque parte "pendano", mi lasciano molto, molto scettica e perplessa.
Probabilmente, la TPL è, in un certo senso, "di moda", ma questo non la rende migliore o peggiore degli altri PDV. Solo... è più comune trovarsela sotto il naso. (Non è priva di "rischi professionali", comunque: è fastidioso quando il lettore non capisce che, se il personaggio parla in modo sgrammaticato, non è sempre segno di ignoranza da parte dell'autore).
Per quel che riguarda le modalità di gestione, diciamo che ci sono diverse affermazioni cui fare la tara.
Primo: è obbligatorio tenere lo stesso punto di vista per tutta la storia
Anche no. Non vedo perché non utilizzarne diversi. Questo ha, però, un prezzo: se il vostro romanzo usa - a turno - narratore onnisciente, TPL e prima persona, sappiate che ci sarà senz'altro qualcuno che vi dirà "eh, però a volte non capivo chi è che stava parlando".
Secondo (strettamente legato al primo): il cambio di PDV deve coincidere con un cambio di scena. Ovviamente, questo tipo di affermazione ha detrattori e sostenitori. 
Per quanto mi riguarda, penso sia giusta e mi ci attengo.
Non perché sta scritta in qualche manuale - anche se effettivamente c'è - ma perché una delle cose che detesto quando leggo è saltabeccare da una testa all'altra magari all'interno di uno stesso dialogo. Mi confondo, non capisco più chi parla, mi tocca ricominciare daccapo e mi innervosisco.

Molte delle scelte che faccio quando scribacchio sono legate a doppio filo a quello che mi piace quando leggo. L'alternanza di diversi PDV che mi permette uno sguardo più ampio a storia e contesto, per esempio. Oppure, in negativo, l'aborrita sensazione di essere trasformata in una pallina da ping pong che rimbalza da un personaggio all'altro, colpita da un autore molto vigoroso e molto entusiasta. 
Come sempre, ci sono sicuramente delle eccezioni: se uno scrittore è davvero bravo, riesce anche a cambiare PDV in ogni riga e a non farti sentire sballottato, ma, permettetemelo, non è da tutti.
Ora, se ci atteniamo al lato pratico della faccenda, lo scopo primario della scrittura è farci capire dal lettore. Il divertimento, la fantasia, eccetera eccetera sono le motivazioni personali dell'autore, hanno una grande importanza, ma sono, appunto, personali e soggettive.
Quello del lettore è un problema a due facce: scrivere pensando al pubblico e scrivere senza pensare che qualcuno leggerà.
Io non voglio pensare al pubblico mentre sto portando a casa un first draft: sono certa che, se lo facessi, non riuscirei a combinare nulla. Poi, ciascuno di noi è fatto a modo suo: voler dimostrare di essere bravi, specie a qualcuno di ben preciso, è una molla molto efficace, ma se diventa lo scopo principale, anziché una "condizione al contorno", genera una pressione difficile da sostenere.
D'altra parte, però, scrivere senza pensare che qualcuno leggerà e dovrà capire è un ottimo modo di complicarsi la vita. È facile dare per scontate cose che il lettore non sa e non può sapere, tipo che dalla testa di uno siamo finiti in quella dell'altro perché per noi è una specie di film e la telecamera scivola senza soluzione di continuità dal personaggio X al personaggio Y. Non sto dicendo che il lettore debba essere trattato come un minus habens: va rispettato, sempre e comunque. Sto dicendo che nostra è la responsabilità di farci comprendere, anche attraverso una gestione del punto di vista ben fatta e chiara.
Terzo: se il racconto è breve, limitare il numero di PDV.
Anche qui, dipende. Quel che posso dirvi è che ho usato quattro punti di vista in un racconto di circa ventimila battute (che non sono poche, comunque), alternandoli fra loro in modo serrato e c'è stato chi ha apprezzato e chi ha detto che i cambi erano troppi per riuscire a stare dietro ai personaggi. Come spesso - anzi, sempre - succede quando si tratta di scrittura, si fanno scelte, ci si assumono rischi.
Quarto: il PDV in prima persona è da principiante.
Stronzata. Senza se  e senza ma. Può piacere oppure no - se non ti piace leggerla, difficilmente ti verrà voglia di scriverla, ma la prima persona, quella ben gestita è tutt'altro che semplice: comporta un'aderenza totale al personaggio - sentimenti, modi di pensare, modi di dire... e anche errori, illusioni e malafede. 
Date una ripassatina a Gateway e ditemi di nuovo che è da principianti. Poi però non stupitevi se non vi prendo troppo sul serio.

5 commenti:

  1. C'entro qualcosa per caso? Comunque bell'articolo chiaro, sintetico e completo!

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    1. Grazie! C'entra di più l'articolo di cui parlava Bruno, ma tutto, in effetti, è partito da te! Anzi, grazie per l'ottimo spunto di riflessione. XD

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  2. Condivido tutto, e personalmente uso la terza limitata, mi ci trovo più comodo io :D

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    1. A me piace sia quella che la prima. Poi dipende, perché pacciugo parecchio e ogni tanto provo delle robe inenarrabili - come il PDV indefinibile di Effetto Lazzaro!

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    2. Si, inizialmente mi ha un po' spiazzato...ma è bello.
      Potrebbe definirsi Videogame PDV, ti fa sentire come se il tipo ce l'avesse proprio con te che leggi, è un punto di vista figo secondo me u.u

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