venerdì 20 marzo 2015

Bambini sintetici

Non abbiamo inventato mica noi la famiglia. L’ha resa icona la Sacra famiglia, ma non c’è religione, non c’è stato sociale che tenga: tu nasci e hai un padre e una madre. O almeno dovrebbe essere così, per questo non mi convincono quelli che io chiamo i figli della chimica, i bambini sintetici. Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo. E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre. Ma lei accetterebbe di essere figlia della chimica? Procreare deve essere un atto d’amore, oggi neanche gli psichiatri sono pronti ad affrontare gli effetti di queste sperimentazioni. 

La settimana scorsa è uscita, sul settimanale Panorama, un'intervista agli stilisti Dolce e Gabbana. Premesso che di loro non me ne importa niente e che Panorama non è il mio genere di lettura, ho beatamente ignorato la questione - nel senso che proprio non ne sapevo nulla - fino all'altroieri quando, in un post su Facebook, è stato linkato un post scritto da Heather Parisi a commento della questione.
Il post linkato, come spesso succede, ha dato luogo a una discussione nei commenti.
Di solito, mi tengo alla larga da certe questioni, ma questa volta alcune delle opinioni espresse mi hanno toccata nel vivo.
Molto nel vivo.
Tanto da farmi decidere di scrivere questo post.
Che sarà lungo, sarà complicato e forse anche pesante.
Non siete obbligati a seguirmi.
Disclaimer: ho letto tutta l'intervista a Dolce e Gabbana. Perché volevo essere sicura di aver capito bene. Troppe volte si finisce per distorcere il significato di un discorso perché se ne ha a disposizione solo una parte.

Ora, secondo me, il discorso dello stilista era limitato alle coppie gay e già c'è da discutere su questo.
Il problema è che, a volte, apriamo la bocca e diamo fiato, senza considerare l'ampiezza della questione di cui stiamo amabilmente discettando.
Nel caso del signor Dolce, lui non si è reso conto che, oltre appunto alle coppie gay (con tanto di Elton John che si erge a paladino del diritto ad avere figli), ci sono migliaia di coppie etero costrette a ricorrere a questo tipo di ausilio... e che - giustamente - si sono risentite di sentir chiamare il proprio figlio "bambino sintetico".
Personalmente, non sono d'accordo con quel che dice lo stilista né in un ambito, né nell'altro.
In questo senso: se lui non si sente "in diritto" di avere figli in quanto gay ("Sono gay, non posso avere un figlio. Credo che non si possa avere tutto dalla vita, se non c’è vuol dire che non ci deve essere. È anche bello privarsi di qualcosa. La vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. E una di queste è la famiglia.") sono squisitamente fatti suoi. Se altri, invece, ne hanno desiderio, non vedo perché non debbano realizzarlo.
Il "se non c'è vuol dire che non ci deve essere"... a questo rispondo con un bel "parla per te". A me pare un discorso abbastanza fatalista. Non lo condanno. Dico solo che non tutti sono fatalisti.
"È anche bello privarsi di qualcosa", di nuovo, sarà valido per te. Tanto, hai tutto il resto...
Sì, mi infastidiscono le opinioni personali spacciate per verità di fede valide urbi et orbi.
Primo, fra una coppia di padri o di madri che amano e rispettano i loro figli e una famiglia tradizionale con il padre che vende il figlio undicenne ai pedofili (notizia dell'altroieri) preferirò sempre i primi.
Secondo, la capacità di concepire non implica la genitorialità... così come genitorialità e preferenze sessuali sono due universi differenti.
Troppi di quelli che protestano contro la fecondazione - specie quella eterologa - sproloquiando di "bambini su misura", "comprarsi un bambino" e cose simili non sanno di cosa parlano.
Credete che si tratti di scegliere un bambino da un catalogo come se fosse - che ne so - un'automobile ultimo modello da esibire? Voglio gli occhi azzurri, no verdi, voglio i capelli biondi, no meglio neri?
Cari miei, non sapete cosa voglia dire convivere con un desiderio di paternità o maternità frustrato.
"Doloroso" non rende nemmeno l'idea.
Credete che sia un percorso facile quello che ti porta ad accettare che gli ovuli della tua compagna siano fecondati da uno sperma che non è il tuo, o che lo sperma del tuo compagno vada a fecondare l'ovulo di un'altra donna? O che il bambino che cresci non avrà nulla - ma nulla - di tuo nel suo corredo genetico?
E se pensate che lo sia meno perché uno è gay... avete proprio sbagliato tutto.
L'altro problema del discorso del signor Dolce è che, come dicevo prima, sembra che per lui bambini sintetici li siano tutti: tutti quelli che sono stati concepiti e portati in vita tramite procedure di fecondazione assistita.
E qui arriviamo a quello che mi ha fatto girare di più le palle.
Davide nascerà a fine aprile, più probabilmente inizi di maggio. Ed è il risultato di un concepimento naturale.
Che però è arrivato dopo l'inizio di un percorso di fecondazione assistita.
Abbiamo fatto tutte le analisi preliminari (e non sono poche!) ma, quando siamo arrivati al momento del piano terapeutico e quindi della somministrazione di ormoni, abbiamo deciso di aspettare settembre: farci le ferie in tranquillità e poi riprendere il discorso.
Sono rimasta incinta, probabilmente, i primi di agosto e a quel famoso piano terapeutico non siamo arrivati.
Al di là del fatto che, la Parisi ha ragione, non esistono "figli sintetici" e "figli naturali" ma esistono "figli" e caro signor Dolce stai parlando di bambini porcaccia della tua miseria, è allucinante come non ci si renda conto di quanto devastanti siano, fisicamente e psicologicamente, una diagnosi di sterilità, prima, e un percorso di fecondazione medicalmente assistita poi.Se anche una minima parte di quelli che tacciano di egoismo chi vi ricorre perché vuole avere un figlio se ne rendesse conto, probabilmente si tapperebbe la bocca.
Farebbe una figura migliore.
Parlano di "soddisfazione di un desiderio personale", di "egoismo", di "selezione naturale"... come se fosse loro diritto, ancora una volta, mettere bocca nelle scelte altrui.
E giudicarle.
Soddisfazione di un desiderio personale?
Sottoporsi a liste d'attesa infinite, analisi di ogni genere e tipo, sempre con l'angoscia della cattiva notizia e, onnipresente, quel senso profondo di inutilità, di incompletezza e non perché non hai un figlio, ma perché non riesci a fare qualcosa che è perfettamente naturale, che gli altri, tutti gli altri, riescono a fare, come se fossi una sorta di... robottino difettoso.
Un prodotto fallato.
Uno spreco di cellule.
E poi, assumere dei medicinali che sono vere e proprie bombe ormonali, che ti sballano il fisico e l'umore, che ti aumentano il rischio di cancro all'utero, alle ovaie e al seno.
Aspettare di vedere, eco dopo eco, se stai producendo embrioni, attendere che vengano classificati, sottoporsi a un espianto e a un transfert per poi pregare che si impiantino e la gravidanza inizi davvero, con una percentuale di riuscita che, quando va bene, è il 30%.
Dover sottostare alle norme italiane sulla bioetica che sono una roba da medioevo, perché la nostra costituzione ha torto e noi non siamo un paese laico.
Chi non è credente si adatti o se ne vada.
[E tanti, fra l'altro, se ne vanno. All'estero. Dove sono molto più evoluti e civili di noi. Dove tutelano davvero le madri e i figli evitando, per fare un esempio, le gravidanze trigemine (in Italia fecondano un massimo di tre embrioni e sono obbligati - per legge! - ad impiantarli tutti)].
E poi viverli, questi nove mesi, sempre con la paura che il sogno si interrompa e l'incubo ricominci. Non pensiate che ne sia immune solo perché Davide è arrivato da sé: nella parte più oscura della mia mente, dove allignano le peggiori paure, ci sono anche questi pensieri. E hanno denti affilati.
E non pensiate che una coppia gay non viva gli stessi stress e le stesse paure.
Poi arriva lo stilista di turno, apre la boccuccia e si permette di dire che tuo figlio non è un figlio ma un bambino sintetico e che tu lo hai messo al mondo per pura soddisfazione personale.
Fra l'altro, signor Dolce... io ho un padre e una madre che adoro. Sono una figlia fortunata, molto fortunata e spero di essere, per Davide, un genitore ottimo come loro lo sono stati per me.
Sarei onorata di esserlo.
Ma, se proprio lo vuole sapere, preferirei essere figlia della chimica con una coppia di genitori che mi hanno voluta e hanno rischiato tutto per me, piuttosto che figlia della natura con una coppia di genitori che mi maltrattano, mi sottopongono ad abusi o, semplicemente, non sono adatti al ruolo che la vita (o il caso? o degli organi genitali funzionanti?) li ha chiamati a ricoprire.

mercoledì 4 marzo 2015

Dieci giorni senza televisione

Non prendetemi per luddista, ma, se proprio ve la devo dire tutta, per me la televisione è il male.
Quell'invadente chiacchierona sempre accesa, nemmeno fossero le pareti animate di Fahrenheit 451, con il suo attrarre l'attenzione su questioni di importanza quantomeno discutibile o il suo inocularci pubblicità, più o meno occulta, ad ogni pié sospinto... la detesto.
La religione è l'oppio dei popoli, diceva Marx.
Mi domando cosa penserebbe, il barbuto, della televisione.
Magari non è proprio l'oppio dei popoli, ma ne è, almeno, il Valium.
E siccome io Valium anche no, grazie (men che meno ora), e il mio compagno è come me, in casa nostra abbiamo una sola tv.
Basta e avanza. Soprattutto, avanza.
E abbiamo avuto modo di scoprire quanto.
A un certo punto, circa dieci giorni fa, ha iniziato a dare i primi sintomi di autocoscienza, spegnendosi e accendendosi da sola. Speravo in Skynet, invece era solo un guasto, e, datosi che è pure in garanzia, l'abbiamo portata in assistenza.
Ovviamente, provata in negozio, ha smesso di farlo e, da brava stronza, si è comportata in modo lodevole.
Che a una viene un dubbio legittimo: ok, Skynet no, ma magari i poltergeist?
Insomma, fatto sta che, su richiesta del mio compagno, il riparatore se l'è tenuta dieci giorni, in attesa che si decidesse a funzionare male.
Lei, casomai ve lo chiedeste, non ha funzionato male.
E noi? Noi siamo rimasti senza.
Credo che, oggigiorno, una casa priva di tv sia piuttosto insolita. Che sia per guardare un film, sentire qualcuno parlare, o perché (somma tristezza) davvero interessa la spazzatura di cui sono inondati i canali, la tv c'è ed è funzionante.
Quindi... come si sta senza televisione per dieci giorni?
Bene. Anzi, benissimo.
In primo luogo, sembra banale, ma si parla di più. Noi abbiamo la tv e il tavolo in salotto, quindi, mentre si mangia, quella è accesa. Senza quella, si parla.
Poi, si ascolta più musica. Nei dieci giorni trascorsi, abbiamo sperimentato diversi generi e scoperto che Davide, a quanto sembra, apprezza la classica e il blues. Caprioleggia a non finire. Molto meno - con sommo rammarico della dolce metà e mio segreto giubilo - il metal, accolto con sdegnosa indifferenza.
Inoltre, senza quell'irritante chiacchiericcio, la casa diventa più rilassante.
Ora, c'è da dire che né io né il mio compagno siamo appassionati di qualche trasmissione particolare - non è che ci strappiamo i capelli se non riusciamo a vedere la finale di Masterchef, per esempio - però ho scoperto che anche quel che in genere guardo volentieri (soprattutto su Focus) non mi è mancato quanto pensavo.
Non mi è mancato affatto.
Certo, internet e i computer hanno dato una grossa mano, garantendoci comunque la possibilità di guardare film e serie che ci interessano (roba che in tv non ci andrà mai e, se ci andrà, sarà con un doppiaggio orrendo).
E poi, ovviamente, ci sono i libri. Passo molto più tempo a leggere che non a guardare la tv (e dovrei anche scrivere, maledizione!). Se mi dovessero togliere il Paperwhite o l'accesso alla libreria sì, che sarebbero pianto e stridor di denti!
In definitiva, senza tv si sopravvive - e pure bene.
Un'informazione che metto da parte per tirarla fuori al momento opportuno... e cioè quando si tratterà di insegnare a Davide che c'è un mondo molto più interessante, fuori da quella specie di scatola!