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giovedì 2 gennaio 2020

Buoni propositi per l'anno nuovo.


Beh... che dire?
2020
Dall'ultima volta qui è passato un sacco di tempo e sono successe un sacco - ma davvero un sacco! - di cose.
In pratica, mi si è stravolta la vita (in meglio).
No, nessun altro pargolo (Davide, che è meraviglioso, adesso ha quattro anni, la passione per i gatti e le pale eoliche e un sacco di opinioni ben precise, basta e avanza!), ma...
- ho cambiato lavoro: ora sono dipendente in un ente statale... a Genova. Ciao ciao libera professione, ciao ciao partita IVA. Tutte le mattine alle cinque e un quarto la sveglia suona e io inizio la trafila (due autobus e un treno) per arrivare al lavoro. Quando finisco, affronto il percorso inverso (tre treni in tutto) per tornare a casa. Amo moltissimo il mio lavoro, ho dei colleghi fantastici (sì, adesso ho anche dei colleghi!), ma devo dirlo: Trenitalia è la dimostrazione che la realtà supera la fantasia, soprattutto quella più orrida;
- ho cambiato casa, anzi, abbiamo comprato (e ristrutturato) una casa. Il risultato? Sono diventata una maniaca dell'ordine e del pulito, preparo dolci e stiro perfino, il mio compagno ancora non si capacita;
- leggo un mucchio (bene), scrivo pochissimo (male) e ho sviluppato una seria dipendenza da k-drama. E quando dico seria intendo 'ben oltre il limite dell'ossessione'. D'altronde, ho tre ore di treno al giorno da occupare.
Comunque, come da titolo, ho deciso di riprovarci e di farlo iniziando con i buoni propositi dell'anno.
No, questa volta niente 'perderò dieci chili', né 'la smetterò di mangiare Nutella' (tanto non lo faccio).
Quest'anno, mi limiterò a un solo proposito: quello di risparmiare. E per farlo, ho investito dodici euri in questo:
Si chiama Kakebo, è giapponese e ti dovrebbe aiutare ad evitare di spendere i soldi in... vogliamo dirlo? Scemenze.
È una specie di registro nel quale annotare - a penna e senza barare! - sia le proprie entrate che le proprie uscite, suddivise in fisse (da inserire nel prospetto all'inizio del mese) e in variabili. A loro volta, le variabili sono classificate in 'di prima necessità', 'optional', 'libri, cultura e tempo libero' e 'spese mediche e imprevisti'.
Ogni mese ha una pagina iniziale, nella quale si inseriscono le entrate e le uscite fisse. Una semplice sottrazione ti dà già la misura di quanti soldi hai a disposizione. Hai uno spazio dove annotare come pensi di risparmiare... e quanto vorresti risparmiare.
Poi ci sono i prospetti settimanali (che dovrebbero essere compilati quotidianamente, meglio se a sera. Il minimo sindacale è almeno due volte a settimana).
Si devono classificare i vari importi, facendo attenzione anche ad annotare se si sono usati contanti o carte di credito.
E si devono fare le somme, quindi si è obbligati a rendersi conto di quanto si spende e come.
Ad esempio, la colazione al bar ogni mattina mi viene a costare - in media - oltre 60€ al mese. Evitabilissimi, visto che ho preso l'abitudine - il venerdì - di fare un dolce tipo ciambellone o plum cake per la colazione di Davide: me ne taglio una bella fetta e poi, complice un pratico thermos (regalo di Natale ad hoc di mio cognato), mi porto dietro pure il mio infuso preferito.
E gli abbonamenti? Fra Kindle Unlimited, Amazon Music Unlimited e Audible se ne andavano altri 30€... per qualcosa che non uso. Perciò, ci ho dato un taglio: tutti via. Beh, non proprio tutti, in realtà: Netflix e Prime li ho tenuti. Ci ho riflettuto, ma Netflix lo uso parecchio e anche Prime mi è utilissimo in periodi di regali (Natale, compleanni e festività varie), senza contare che Davide adora i cartoni che ci sono su Prime Video.
E poi c'è il capitolo 'pasti'. Per ovvi motivi, pranzo fuori tutti i giorni e, anche se ho dei buoni pasto, ci rimetto sempre su qualcosa (e non sto parlando solo di soldi, ma anche di chili). Perciò, a meno di circostanze eccezionali, d'ora in avanti mi preparerò la gamella a casa e basta con panozzi, hamburger e ristorante cinese.
Per il resto, a parte una follia natalizia (se vuoi dei bei regali, fatteli da sola) che ho covato per anni e che è arrivata oggi (yay!) e che aspettavo con ansia, non ho grosse spese in termini di vestiario e scarpe (non sono meravigliosamente belli? sono durissimi e mi distruggeranno i piedi, ma che spettacolo!).
Mi terrò alla larga da Kiko (potrei aprire un franchising con tutti i cosmetici e gli smalti che ho) e pure dagli ebook. Sì, dagli ebook: prima si finisce quello che ho già nel Kindle e poi si parla di acquistare cose nuove (comunque adesso sto leggendo un cartaceo, Manchu Palaces di Jeanne Larsen. Quella donna è un genio, potrei farci un post, prossimamente).
In sostanza, questi sono i miei buoni propositi, questa sono io e mi sa che sono tornata!

giovedì 22 settembre 2016

Oggi è il Fertility Day e non c'è un cazzo (letteralmente) da festeggiare.

Ai miei tempi, ti diceva culo se, quando ti venivano le mestruazioni la prima volta, era già successo a una tua amica, almeno avevi un'idea di quel che stava succedendo e non pensavi di morire dissanguata alla vista di quelle macchie nelle mutande.
Ai miei tempi, ti diceva SOMMO culo, se tua mamma ti aveva avvisato prima di quel che poteva succederti.
Ai miei tempi, ti diceva  FANTASCIENTIFICO culo se mamma ti informava che no, non era dalla pancia che veniva fuori tutta quella roba, ma dall'utero (e tu non sapevi neanche di avercelo, un utero, figuriamoci tutto il resto).
Ai miei tempi ti diceva APOCALITTICO culo se mamma si prendeva la pena di spiegarti che c'era uno stretto legame fra mestruazioni (o meglio, 'le tue cose') e il fare bambini.

[Dopo (che ti fosse venuto il coccolone o meno, che avessi pensato di morire dissanguata o meno), mamma ti spiegava che sarebbe successo una volta al mese e te le dovevi tenere tutta la vita e benvenuta nel mondo dei grandi.]

E non c'è neanche da fargliene una colpa, a queste mamme, perché magari certe cose non le sapevano nemmeno loro. Perché, che accidenti ne potevano sapere le loro mamme - che avevano forse la terza elementare, avevano passato una guerra e vissuto in un'epoca storica nella quale c'erano cose più serie cui pensare tipo mettere insieme pranzo e cena?
Onestamente?
Non credo che oggi le cose siano cambiate poi tanto, ma questa è una sensazione mia, non basata su dati oggettivi e prendetela per quel che vale. 
Con la differenza che noi non abbiamo la terza elementare a stento. Non abbiamo vissuto una guerra. E abbiamo accesso non solo a un'istruzione, ma anche a una massa di dati e informazioni così grande che a stento riusciamo a concepirla.
Non è che sto qui a tediarvi con le mie reminiscenze di quarantenne così tanto per.
È che oggi è il famigerato Fertility Day.
Sorvolerò sulle pernacchie che il Ministero (nella persona della sua titolare) si è presa dall'universo mondo, virtuale e non, italiano ed estero, giudicate da soli se se le sia meritate o no.
Il fatto è che quello della fertilità, o meglio, dello spettro della crescita zero che si avvicina sempre più, è un grosso problema.
Facciamo pochi figli, li facciamo tardi, siamo disinformati su tutto quello che concerne la fertilità (e, secondo me, la sfera sessuale in genere) e l'Italia diventa sempre più un paese di vecchi.
MA.
Ma non è così che si approccia la questione.
Prima di tutto, ci si deve rendere conto che il problema 'fertilità' necessita di un approccio multidisciplinare: non solo sanitario, ma anche sociologico ed educativo - tanto per dirne un paio.
Perché c'è un'enorme confusione anche solo su una cosa apparentemente semplice come il ciclo mestruale: sì, in media 28 giorni, ma come si contano? Quali sono quelli fertili? Quali sono le varie fasi?
E il machismo italiano - parliamo dell'altra metà del cielo per una volta  - non aiuta. Una volta, per esempio, ci pensava la visita militare a diagnosticare il varicocele, una patologia che, se trascurata, può portare all'infertilità. Adesso... adesso mentre le ragazze - quelle più informate, quelle con una mamma consapevole - vanno dalla ginecologa, i ragazzi non vedono un andrologo a meno che non ci siano problemi gravi. Le ragazze si fanno controllare, ma per quanto riguarda i ragazzi si dà per scontato che tutto funzioni bene e no, non sempre è così.
Parliamo di educazione. Di educazione sessuale
Che andrebbe fatta nelle scuole, perché l'età cui ci si approccia al sesso è sempre più precoce e questi ragazzini sono del tutto inconsapevoli dei rischi che corrono e non sto parlando di gravidanze indesiderate, ma di malattie sessualmente trasmissibili.
Anche a me hanno detto e ripetuto che 'si deve aspettare a farlo con la persona giusta' e ' non ci si deve buttare via', ma (possiamo essere d'accordo o meno), non è una buona scusa per lasciare che i nostri figli si avventurino in questo territorio inesplorato privi delle minime nozioni e della minima consapevolezza.
Non si può nascondere la testa sotto la sabbia a questo modo, c'è la loro salute, in ballo.
Eppure, no, non riusciamo ad avere l'educazione sessuale nelle scuole perché i cattogenitori ogni volta si ribellano... come se i loro figli non ci finissero, nei casini.
E poi - la faccio breve - è un problema sociale.
Di emergenza sociale.
I figli costano, costano tanto. Fa male dirlo, ma i figli sono un lusso.
Mancano le tutele, le strutture, le politiche di supporto alla famiglia. Manca la sicurezza, del presente e del futuro.
Infine, è anche un problema sanitario e permettetemi una parentesi: che ci vogliamo aspettare da un paese che consente agli obiettori di coscienza di fare i ginecologi?
Io, l'ho già detto, ho esperienza di infertilità e so cosa vuol dire iniziare un percorso di procreazione medicalmente assistita in Italia. È pesante, psicologicamente pesante.
Senza entrare nel merito della legge che la regolamenta - abominevole - dirò soltanto una cosa: ci sono tempi d'attesa biblici. Mesi e mesi in lista.
Ti capita di chiamare per prenotare la visita per la redazione del piano terapeutico di stimolazione ormonale e sentirti dire 'non ci sono posti liberi, deve provare a richiamare fra un po' di tempo, vediamo se si sono riaperte le liste'. Intanto il tuo orologio biologico ticchetta sempre più forte e tu sei lì, al palo, costretta ad aspettare le lungaggini di un sistema sanitario che - evidentemente - non funziona.
Se hai i soldi, scappi all'estero.
Se non ce li hai, continui ad aspettare e, nel frattempo, ti disperi e invidi ogni pancione, ogni carrozzina, ogni passeggino.
E poi un giorno arriva il Ministero della Salute italiano (gestito da una che ha fatto due gemelli a 44 anni e che, si suppone, certe cose le capisca) e ti schiaffa in faccia una cartolina con una tipa che si tiene la manina sulla panza, ti mostra una clessidra e accanto ha una scritta a caratteri cubitali :"La bellezza non ha età, la fertilità sì".
(Sorvoliamo sulle altre, quella del figlio unico è agghiacciante.)
Non ci vogliamo sentire neanche un po' presi per il culo?
In conclusione, oggi è il Fertility Day.
Ma siccome io ho quarant'anni, mi ha già detto culo - ma tanto tanto culo - di farne uno, di figlio, e di un altro, ammesso che venisse, non se ne parla perché non ce lo possiamo permettere, fingerò di non saperlo. 
E domani, come ogni venerdì, mi ricorderò di sostituire il cerotto anticoncezionale.

giovedì 23 giugno 2016

In vacanza da Facebook e altre cose.

C'è una storia mezza scritta.
Una storia in prima persona, ambientata in un altro stato e in un altro tempo. 
È una storia che manca dell'ambientazione perché, nel raptus di lascrivolascrivolascrivo, ho scientemente trascurato la fase di documentazione. 
La faccio dopo, mi sono detta. 
Solo che poi quel dopo... vabbé di quello ne parliamo, ah, dopo.
C'è un social network. Uno a caso che inizia con la effe. 
Non volevo nemmeno usarlo, anni fa. 
Poi mi sono iscritta e per un po' è stato anche divertente.
Ora non lo è più. È solo stupido, vano e irritante. 
Mi sono accorta che mi arrabbiavo un giorno sì e l'altro pure. Che la mia già scarsa fiducia nel prossimo veniva puntualmente ridotta a zero dalla massa di cretinate e dall'invasione di analfabeti funzionali e bufalari. Che fondamentalmente non me ne frega un cazzo.
Non me ne frega un cazzo di tutta quella massa di fattacci altrui. Mi interessano alcuni blog amici - quelli che scrivono cose interessanti e intelligenti. Il resto è fuffa.
Non ne vale la pena. 
Ho tolto l'applicazione dal telefono, visto che usavo solo quella. 
Sto meglio.
Ho scoperto che non è affatto male, essere meno social. C'è modo di tenere i contatti anche senza social network. A volte il ritorno al passato è auspicabile. 
E la storia? Tutta la rabbia e il disgusto per le quotidiane dimostrazioni di pochezza umana e intellettuale mi hanno dato una bella spinta e quel 'dopo' è diventato 'adesso'. 
Ho una scadenza da rispettare: quattro mesi sembrano tanti e in realtà sono pochissimi.
Il 17 settembre devo aver concluso questa fase.
Almeno un'ora al giorno di studio. Quando posso, quando Davide dorme o è con suo papà.
Sto seguendo dei corsi universitari attinenti - usando il meraviglioso Open Culture (se volete sapere di cosa si tratta, leggete qui). Insomma, l'ho presa seriamente.
Il tempo che non passo su quel social network, quello con la effe, è impiegato decisamente meglio.


martedì 21 giugno 2016

Sick of it all

Oggi ho ricondiviso su Fb un post di Alessandro Girola che vi linko qui.
Il fatto è che... non avrei saputo dirle meglio, certe cose.
Io sono stanca. Sono stufa. E l'unico motivo per cui non chiudo il mio profilo Fb è che sono in contatto con persone interessanti, con le quali intavolo produttive discussioni via messenger. Che gli aggiornamenti dei loro blog sono per me fonte di approfondimento e diletto.
Però, in un bilancio costi/benefici, il fatto è che per quattro persone interessanti (dico quattro, ma sono di più), mi trovo in home page una marea di stronzate, bufale, post irritanti e stupidità assortite. E non ce la faccio più.
Non me ne vogliate, ma sono stufa di gattini e cagnolini in difficoltà con una pletora di commenti stile "piccolo amore vedrai che troverai una mamma presto" e "adottatelo vi prego!" e "ma come si fa, qualcuno lo aiuti"... qualcuno? qualcuno chi? non tu, che ti sei lavata la coscienza con una riga su Fb. Oppure, e io lo odio, il "corri felice sul ponte dell'arcobaleno". Ma quale arcobaleno? Quale ponte? Gente che, di fronte a un animale maltrattato, si lascia andare a commenti che mi lasciano basita:robe tipo "io a quel bastardo maledetto infilerei chiodi negli occhi", poi vedi il profilo ed è una mamma dall'aria dolce con un paio di pargoli. Ma che è? Personalità multipla? Veramente dietro quella facciata alberga tutto quell'odio? I maltrattamenti fanno incazzare anche me, ma questo genere di persone mi spaventa.
E le polemiche. Volontari che si fanno il mazzo, ci mettono soldi, tempo, fatica, patemi d'animo e poi arriva il primo analfabeta funzionale che passa, decide di ammannire un po' della sua sapienza sulla questione (non può esimersi) e polemizza.
Che altro?
Gli immigrati che stanno in hotel di lusso (ma veramente ci credete, voi? oltre che aver affrontato la morte, oltre ad essere sradicati, soli, in balia dell'aiuto altrui, questi si devono anche beccare l'odio fomentato on line? ma non vi sentite neanche un po' delle merde?), mamme vegane o talebane della tetta pazze da legare (e a cui revocherei la patria podestà), fashion victim di turno che ripostano le pIrle di saggezza della starlette del momento, chi posta tettone in pose equivoche (seriamente vi eccitano quei due meloni plasticosi e quelle pose volgari?), leoni da tastiera che tuonano contro la Kasta!!!111!, antivaccinisti dell'ultim'ora e via così in una Corte dei Miracoli dell'idiozia, una giostra folle in cui vince chi urla più forte.
Devo prendermi una vacanza da tutto questo. Perché lo spettacolo men che mediocre dell'italietta 2.0 sta distruggendo quel poco di fiducia nel genere umano che mi è rimasta.
Dice là fuori è un altro mondo. Ok, ma io sono qui. Sono in Italia. E sto perdendo la speranza.

lunedì 6 giugno 2016

Ridatemi un mondo analogico!

Forse essere mamma vuol dire che ti parte l'embolo mediamente molto prima rispetto a quando non lo eri.
Sarà la mancanza di sonno? Sta di fatto che ultimamente lo spettacolo che la varia umanità di Facebook dà di sé mi fa venire una gran voglia di mondo analogico.
Seriamente, non so proprio se il signor Zuckerberg abbia fatto un favore all'umanità, inventando Facebook. Propendo per il no.
Chiariamo una cosa, sui social ci sto molto meno, ultimamente (e meno male), ma l'occhiatina ci scappa comunque. E, com'è come non è, mi ritrovo sempre più spesso a pensare che un bell'asteroide sarebbe una gran soluzione.
Ieri, per esempio, uno dei miei contatti commenta una palese bufala: Bruxelles ordina che da settembre ciascuno di noi ospiti in casa un immigrato. Commenta dicendo (testuale): non mi stupisco di chi scrive certe cose, ma di chi ci crede sì.
La pagina Fb è legata a un sito con un nome che è tutto un programma: italianosveglia (no, non ce lo metto, il link. Non sia mai che gli porti anche solo una visita).
Che poi, concordo eccome: l'italiano si dovrebbe svegliare ma non nel senso inteso dai fondatori del sito.
Apriamo una parentesi: è un sito sul quale chiunque può scrivere un articolo e postare. E quando dico "chiunque" intendo proprio "chiunque". Senza fonti, senza controllo, in pratica un inno alla diffusione delle palle.
Se vai a leggere l'articolo (vabbé, chiamalo articolo), scopri che a Bruxelles due politici, l'italiano Alvaro Viziali e il tedesco Norris Chuck sono i padri fondatori di una legge in virtù della quale, da settembre, ogni famiglia deve ospitare un immigrato. Avete fatto caso ai nomi? Sono scritti una riga e mezzo (toh, facciamo due) sotto il titolo. Ma niente, ai leoni da tastiera in odore di razzismo (e sono tanti) è sufficiente il titolo, anzi, no, la parola 'immigrato'. Come i tori quando sventoli la muleta, questi partono a testa bassa in un tripudio di banalità, rancore, odio e italiano sgrammaticato. Un distillato di analfabetismo funzionale, presunzione ed egoismo che ti stende morta entro pochi secondi.
Questa gente non si merita un cazzo.
Poi ci sono i gruppi Facebook, altra invenzione geniale (si fa per dire). Ora, anche io sono in qualche gruppo (riguardante scrittura e lettura). Ogni tanto qualche contatto maleducato mi aggiunge a tradimento ad altri, io mi tolgo, questo mi riaggiunge, io mi ri-tolgo e via così fino a che non la capisce e la pianta.
Però.
Però ci sono alcuni gruppi che sono un covo di disfunzionalità e psicopatia. E il peggio è che, una volta, certi elementi rimanevano isolati nella loro follia. Adesso si ritrovano e si danno man forte in un crescendo di delirio che, in alcuni casi, sulle prime fa ridere, alla lunga ti fa preoccupare.
Come la querelle delle mamme vegane contro l'invidia. Non la conoscete? Ecco, leggete qui, poi non riuscirete più a smettere fino a che non avrete divorato tutte le puntate.
Queste persone esistono. Non sono troll, non lo fanno per far ridere, né per far parlare di sé. Certe cose le pensano davvero, le fanno davvero. E, che è peggio (come diceva Quattrocchi), si spalleggiano.
Il problema non è che sono vegane, è che manca loro del tutto il buonsenso. (Che poi fra la mancanza di buonsenso e il veganesimo ci sia un rapporto di causa-effetto non tocca a me giudicare).
Perché se il tuo cane si sente male e sporca in un negozio (a prescindere dal fatto che dovresti portarlo dal veterinario e non fargli fare tre giorni di riposo sperando che guarisca, povera bestia), tocca a te pulire e la commessa non è cafona perché ti porta il mocio. Questa è semplice buona educazione, cazzo. E, una volta, ti avrebbero fatto notare che le tue pretese erano non solo sbagliate e ingiuste ma anche profondamente maleducate. Lì dentro c'è gente che fa la ricotta con il latte materno e la spaccia alla vicina convinta pure di averle fatto un gran dono.
C'è gente - giuro - per la quale essere vegana è tentare di rianimare (non ho idea di come) un moscerino che è cascato nel bicchiere di succo di frutta. Gente che viene (ovviamente) guardata con perplessità dagli altri avventori e che per questo si sente... confermata nella propria vocazione. Mi guardano male perché sono vegana e tengo alla vita. Ma io, anche se tutti mi tirano sassi, continuo per la mia strada perché sono nel Giusto. Perché ho la Verità in tasca. Sono martire e discriminata (e mi piace tantissmo, mi fa sentire coooosì importante), ma difendo la vita. Praticamente, un'eroina. Giovanna d'Arco mi fa una pippa.
No. Ti guardano perplessi perché vedono una che tenta di fare massaggio cardiaco a un moscerino.
C'è gente che alleva bambini vegani, fruttariani, crudisti e chi più ne ha più ne metta, svezzando neonati col latte di banana e fottendosene allegramente del bilanciamento della loro dieta. Tutelate la vita, ma a quella di vostro figlio non ci pensate? Ma lo sapete che potreste causare dei danni? E si sentono così fieri, così virtuosi, così una spanna sopra noi mangiacadaveri...
Mamme che mandano le bambine alle feste di compleanno ma le dotano di pizze vegane perché non sia mai che mangino quello che mangiano gli altri bambini. Perché tutte le altre mamme sono incoscienti e sventate tranne loro.
Mamme in cura dallo psichiatra che, quando questo fa notare che allattare un bimbo di QUATTRO ANNI è patologico, rispondono che non capisce niente. E qui parte il coro di commenti delle supporters: non tornarci più, da questo. Patologico è il suo cervello. Non è preparato sulla questione, perché mommy knows better. Che loro allattano fino a che il bimbo dirà che la tetta non la vuole più. Ma quando succederà? Quando va alle medie?
E poi ci sono gli antivaccinisti. Quelli che hanno preso una laurea in medicina su Fb. Quelli che ti citano studi a sostegno dell'antivaccinismo, ma non dicono mai fatti da chi. Quelli che si curano con la luce, i numeri, l'omeopatia, insomma con tutto tranne le medicine. E che curano i figli nello stesso modo. Prendere la polemica fra il virologo Burioni e l'accoppiata Red Ronnie-Eleonora Brigliadori a Virus, qualche settimana fa. Hanno dovuto fare una puntata di 'riparazione' tanto è stata scandalosa la conduzione.
Rendiamoci conto che una trasmissione RAI (quindi pubblica, quindi pagata anche da me) invitato un virologo di fama, un professore universitario e poi l'ha lasciato in balia dei delirii di un ex-dj ammuffito e di una starlette posata, senza dargli neanche la possibilità di replicare. (By the way, Red Ronnie si è dedicato anche alle scie chimiche, ultimamente. Chiamando a supporto della sua tesi... il cantante degli smashing pumpkins, la principessa saudita - non altrimenti specificato -, Beck, Prince, i Muse e non so chi altri. Tutta gente che ha fatto della scienza una carriera, certo).
E dall'altra parte dello schermo - e dall'altra parte del monitor - c'è una pletora di gente che non è in grado di comprendere un testo scritto, né quello che gli si sta dicendo. Gente che non aspetta altro se non l'imbeccata facile, la pappa predigerita, senza sforzare (non sia mai!) il cervello.
Queste persone vivono. Queste persone votano. Queste persone fanno danni.
E io sono stufa, sono spaventata, sono disorientata. Perché i figli di questa gente saranno i futuri compagni di scuola di Davide e come faccio a impedire che venga trascinato al loro livello?

"I social media hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli, i quali prima parlavano solo al bar dopo due o tre bicchieri di rosso e quindi non danneggiavano la società [...]. È gente che di solito veniva messa a tacere dai compari e che adesso invece ha lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel."

Avevi ragione, Umberto. Come sempre.




sabato 19 dicembre 2015

Star Wars episode VII The Force Awakens

Ok. L'ho visto.
Non starò qui a fare una recensione (e comunque niente spoiler!), ma... sapete che c'è?
Mi aspettavo qualcosa di meglio.
E no, non è per quellacosallà che si era capito fin dall'inizio che doveva succedere. Sì, è stata una botta, non lo nego e, secondo me, è una toppata, narrativamente parlando.
È che io sono andata aspettandomi la magia di Episodio IV - un po' come se anche noi, che non l'abbiamo potuto vedere al cinema per ragioni anagrafiche, avessimo diritto a un mito.
Invece della magia ho trovato un compitino. Ben fatto (che poi, anche lì, la scribacchina che è in me ha le sue brave perplessità), ma... solo un compitino.
Poi sì, le citazioni, sia a livello di scene che di battute ci potevano stare (parliamone un attimo delle battute: ma che è 'sta cosa dell'umorismo a tutti i costi?!), anche se perfino una fan come me le ha trovate un po' esagerate.
In sintesi, il troppo stroppia.
Avrei voluto una protagonista che avesse la forza di attrazione di un Luke Skywalker che sta per fare il suo primo passo in un universo più grande... Rey questa forza attrattiva non ce l'ha. Per carità, tosta la ragazza, molto più di Luke pre-Obi Wan, ma meno... vorrei dire 'simbolica'.
Forse perché Luke lascia Tatooine per scelta, con consapevolezza, mentre Rey viene letteralmente sballottata a destra e a sinistra dalle circostanze?
Forse perché non sono più la bambina che guarda Episodio IV in videocassetta per la prima volta?
Fatto sta che, per semplice che fosse, la trama di Episodio IV stava in piedi.
Quella di Episodio VII... not so much.
E poi una cosa la voglio dire forte e chiara.
Kylo Ren ha delle crisi di rabbia che manco il principe Giovanni in Robin Hood della Disney (sì che è Disney pure questo).

giovedì 17 luglio 2014

L'importante è non sentirli

L'altro ieri ho compiuto gli anni. Mi sono presa una giornata di stacco totale al mare, quindi avevo mentalmente rimandato questo post a ieri. Solo che ieri sono stata tutto il giorno a un terrificante corso di aggiornamento (a metà fra Operazione Geode e la gita aziendale di Fantozzi) del quale mi ero completamente dimenticata.
Così sono finita a oggi.
Io e la mia età anagrafica non siamo mai andate d'accordo. Un matrimonio difficile, il nostro: lei continua ad aumentare e io mi oppongo.
Ho sempre pensato che questo non andasse affatto bene: che il distacco fra età anagrafica ed età mentale fosse qualcosa di profondamente negativo.
Voglio dire, a trent'anni mia madre aveva già due figli ed era una persona con la testa sulle spalle e che di certo non si perdeva in storie né leggeva fumetti, né (tantomeno!) guardava cartoni animati. Mio padre, idem.
E quando constatavo quanto diversa fossi da quel che loro erano alla mia stessa età mi sentivo inadeguata. Colpita senza rimedio da sindrome di Peter Pan.
Finché dai venti si passa ai trenta, non è poi 'sto gran problema (o almeno non mi sembra tale ora). Il fatto è che, adesso, i quaranta sono dietro l'angolo. E la discrepanza età anagrafica/mentale è sempre lì.
Ci ho rimuginato in solitudine per un po', poi ho dato voce al disagio con il mio compagno. E gli ho detto che i miei anni non me li sento.
Lui si è girato verso di me, con la faccia di uno che ha appena sentito l'ovvietà del secolo, e mi ha risposto: "Guarda che il problema è quando te li senti."
E ha ragione.
Sono diversa da com'erano i miei alla mia età. Prima mi sembrava brutto. Qualcosa di cui vergognarsi.
Oggi posso dire che ne sono fiera.
Ho trentotto anni e mi piace leggere letteratura fantastica. Non mi sento scema per questo. Mi piace anche scriverla e non ho intenzione di smettere. Come non ho intenzione di smettere di guardare film di genere fantastico, di leggere manga o di essere nerd. Come non ho intenzione di smettere di sognare, di chiedermi "cosa succederebbe se?" e inventare storie per rispondere.
Questa sono io. E vado bene così.

L'immagine è presa da qui



venerdì 27 giugno 2014

Ricordo che non è per me


Periodicamente, qualcuno che mi è molto vicino rilegge quel che ha scritto e si ritrova, frustrato, davanti alla sua - presunta, del tutto presunta - incapacità.
E, per usare le sue stesse parole, capisco che non è per me. Ricordo che non è per me.
Sono le aspettative che ci creiamo, a farci stare così.
Sono i limiti che vorremmo oltrepassare, gli obiettivi che vorremmo raggiungere - e che ci sembrano allontanarsi di dieci passi ogni volta che noi avanziamo di uno -, quel che vorremmo gli altri pensassero di noi e i dubbi che ci tormentano in merito a noi stessi.
Siamo davvero scrittori, oppure ci manca qualcosa?
Conferme, rassicurazioni, certezza di fare la cosa giusta nel modo giusto.
Una volta certi problemi me li ponevo anche io. Finché non ho deciso di lasciarmeli alle spalle.
Chissenefrega, se non è per te. Scrivi perché ti diverti, scrivi perché ti piace, e, se non ti va, non scrivere, perché quando sarà il momento giusto ne avrai voglia.
È molto retorico - e molto banale - ma scrivere è avere un bel paio di ali. Dubbi, domande e frustrazione sono pesi che ti impediscono di spiccare il volo.
Lasciali a terra e affronta il cielo.

mercoledì 25 giugno 2014

Bruci le mie bussole...




A volte, durante delle sequenze asana in particolare, il maestro che ti guida ti chiede di sentirti "grato".
Come ho detto nel post sullo yoga, lo stato emotivo è importante quanto quello fisico, durante la pratica.
Quando fai il Saluto al Sole, per esempio, la disposizione d'animo è quella di essere grato al sole per la luce e l'energia che danno la vita. Ci sono sequenze che hanno come scopo la rigenerazione e la rinascita - una è il Saluto alla Luna - nelle quali si dovrebbe essere grati a se stessi.
A me, però, la gratitudine non è mai riuscita, specie quella verso me stessa. Livia, la mia insegnante, dice 'sta cosa della gratitudine e io, immediatamente, penso dentro di me: "grata a chi? a me stessa? e per cosa? ma guardami!"
Altro che gratitudine! Lo schifo misto ad irritazione e insofferenza. Di solito, succede che arrivo - a tempo di record - in quello stato d'animo in cui mi prenderei a ceffoni.
Fino a ieri.
Come al solito, inizia tutto a partire da una roba stupida o insignificante. Nel mio caso, dall'autoradio. Perché ieri ero in macchina, il tragitto era abbastanza lungo, avevo l'autoradio accesa, stavo cantando (e non sono granché come cantante, anzi, sono proprio scarsa) e mi accorgo di una cosa: che sto usando il diaframma. Per la prima volta nella mia vita, non sto cantando di gola.
A fare due più due ci ho messo un attimo: la respirazione. Ho imparato a usare il diaframma per respirare, così adesso mi viene naturale usarlo anche per cantare. Non è poco: cantare è una delle cose che mi piacerebbe saper fare e per le quali sono negata.
Così ho iniziato a pensare a quello che è cambiato, a quello che sta cambiando... e, sì, mi sono sentita grata a me stessa.
Non la gratitudine solo positiva che vedi nei film e leggi nei libri, no. Una gratitudine velata d'amaro, perché starò anche percorrendo una strada un passo alla volta (e di questo non devo dire 'grazie' a nessuno ma solo a me), perché sto testando le mie forze e scoprendo che ci sono, perché è qualcosa di unicamente mio, perché la tendenza all'inazione regredisce - ringhiando e soffiando, ma regredisce -, insomma, un sacco di perché positivi... ma è comunque un percorso che ha dei lati oscuri, spaventosi e dolorosi.
Però sì, sono grata a me stessa. E questo tipo di gratitudine sembra più vero, di quella patinata che ho cercato di evocare invano per mesi.
Così, eccomi qua, un altro passetto fatto. E c'è un pensiero rivoluzionario che mi frulla in capo da un po': magari, perdere il controllo non è tutto 'sto gran male.
Magari è divertente. Di sicuro è un'avventura. Forse vale davvero la pena di bruciare le bussole...

lunedì 16 giugno 2014

Racconta scrivi ama

Semplice, vero?
Io ci ho messo anni per arrivarci.
Anni di storie abortite perché pianificate con troppo dettaglio e troppo in anticipo, ingabbiate a forza in schemi troppo rigidi e definizioni che capivo (se andava bene) solo a metà.
Anni di frustrazione e ancora ne porto i segni addosso. Sono piccole, ma sono le mie cicatrici e non ho più voglia di nasconderle come se fossero qualcosa di poca importanza.
Questa fase è durata tanto, è durata troppo.
E poi, non so bene come sia successo, ci sono arrivata. 
Non l'ho formalizzato in un aforisma, ma, in modo ancora più semplice, mi sono limitata a farlo.
Scrivere senza pensarci su.
Scrivere solo per il piacere di farlo, mandando alle ortiche le regole dei manuali e i patemi da "ma cosa dirà chi mi legge?" (era seguito subito da "chi vuoi che ti legga, cretina?").
Scrivere per raccontarmi una storia.
Scrivere come leggere, per voltare la prossima pagina e scoprire che cosa succede poi.
Ha funzionato.
Per sgombrare il campo da fraintendimenti, io i manuali li leggo. E li studio (non è scontato che sia la stessa cosa). Prendo pure appunti. In casa (e nel Paperwhite) ne ho tanti - alcuni li ho trovati utili, altri meno. Non li idolatro, non ci sputo sopra: mi limito a prenderli cum grano salis.
Ma per me il primo passo, la prima stesura, va fatta in piena e assoluta libertà.
Non è un'opzione fra tante, non ho un'altra scelta. Io o faccio così, o non funziono.
Perciò, questo è il mio consiglio.
Dimenticatevi i temi, gli archi di trasformazione, i viaggi dell'eroe e seguite l'istinto. Divertite voi stessi: scoprite i vostri personaggi, scoprite il loro mondo.
Siate curiosi. Siate esploratori. Osate. Mescolate generi diversi, non fuggite dalle stramberie, piuttosto fateci amicizia e nuotate in mezzo a loro. Scoprirete che non mordono, raccontano le barzellette. Escludete il mondo, non pensate al pubblico, a quel che va di moda, a quel che ha più possibilità di attrarre un editore. Scrivete per voi, e per voi soli, raccontatevi la storia che vorreste leggere. Godetevi la sensazione di non dover rendere conto di niente a nessuno.
Sentitevi liberi. Non c'è niente di meglio.
Portate a casa la prima stesura, mettete quel punto finale e amate il processo che vi porta a farlo. Amatelo ogni secondo che vi impegnerà, perché dopo le cose cambieranno.
Dopo dovrete essere rigorosi, critici, ferocemente pignoli e pretendere da voi stessi più di quanto il lettore più orrendamente maldisposto nei vostri confronti potrebbe mai fare.
Dopo vi preoccuperete della gestione del punto di vista, del viaggio dell'eroe e dell'arco di trasformazione del personaggio.
Dopo vi porrete il problema del tema portante e vi farete venire la nausea a forza di lavorare sulla struttura.
Dopo dovrete verificare ogni vite e ogni rivetto della vostra ambientazione, controllare ogni ruota dentata e ogni collegamento, più e più volte.
Dopo dovrete fare schemi, piani e diagrammi a blocchi.
Dopo dovrete smontare la vostra storia, scinderla nei in tutti i suoi elementi e poi ricombinarli insieme nel modo più efficiente. Tirarla, spingerla e pressarla per vedere fino a che punto è solida.
E tutto dovrà essere perfetto, a prova di bomba, non ci dovranno essere né infiltrazioni, né ruggine. Non potrete risparmiare sul lubrificante, perché questo meccanismo dovrà funzionare.
Lo dovete a voi stessi, alla vostra storia, a chi vi regalerà il proprio tempo (e, in alcuni casi, il proprio denaro) per leggervi. E anche perché, detto fuori dai denti, la rete è una giungla e là fuori ci sarà sempre qualcuno che proverà a farvi le pulci, si riterrà in dovere di farvi la lezione, di trattarvi come una merda perché non vi siete documentati abbastanza, o perché non avete gestito bene il punto di vista, o, semplicemente, perché lui, la vostra storia, l'avrebbe senz'altro scritta meglio. Peccato che non sia stato capace di pensarla. In ogni caso, dato che così è se vi pare, perché offrire il fianco a questi personaggi?
Sembra un mucchio di lavoro? Lo è.
Ma c'è un (piccolo) lato positivo: se avete fatto i compiti a casa, vi accorgerete che tutte le ore spese a leggere e studiare non sono andate sprecate. Non sono andate sprecate affatto, perché nel mettere insieme il vostro scritto avrete usato, anche senza accorgervene, anzi, la maggior parte delle volte proprio senza accorgervene, gli strumenti che avrete acquisito e le abilità che avrete forgiato durante lo studio e i ripetuti tentativi di creare una storia (perché tutti abbiamo alle spalle i ripetuti tentativi di creare una storia. Di solito sono imbarazzanti. I miei lo sono).
Secondo Brandon Sanderson (a proposito, le sue lezioni di scrittura sono disponibili on line e sono davvero ben fatte) ci sono scrittori che procedono creando un outline dettagliando molto in fase di pianificazione e ci sono scrittori che utilizzano l'intero first draft come fosse un outline.
Gli uni non sono meglio degli altri. Sono modi di procedere diversi.
Io appartengo al secondo gruppo. Adesso sono in grado di dirlo, ma  ci ho messo anni per accettare che andava bene anche così. Tutte le persone intorno a me avevano un approccio del primo tipo e portavano a casa storie su storie. Io, per quanti sforzi facessi, neanche una.
Risultato: era colpa mia, avevo per forza qualcosa che non andava.
Non ero una scrittrice doc, plain and simple.
Adesso so che non esiste un modo giusto o uno sbagliato: esiste solo il modo che funziona per te. Se lo usi e scrivi è giusto. Se lo usi e non scrivi è sbagliato. 
È come un paio di scarpe: ti deve calzare a pennello, altrimenti camminare è una tortura.
Salvo rari casi - e il manoscritto cui sto lavorando ora è uno di questi - non so mai all'inizio di cosa parlerà la storia. Non conosco la trama - se non come uno spunto iniziale, né riesco a dire a priori quale sarà il motore che la spingerà avanti. Se sono fortunata, lo scopro cammin facendo e la porto a conclusione. Se sono sfortunata - e mi è capitato - sono costretta a lasciarla stare fino a che non capisco qual è il nocciolo della questione. Una storia è rimasta bloccata in quel modo per due anni, in attesa che, il mese scorso, arrivasse il click nella mia testa. Ho trovato la chiave, l'ho infilata nella toppa e la porta si è aperta. Adesso la storia ha tutte le carte in regola per ricominciare a camminare come, anzi, meglio di prima.
Ho una lista di priorità, non posso lavorarci subito, ma so che quando lo farò avrò ben chiaro come maneggiarla e dove mi porterà.
Sono davvero un essere strano: sono una maniaca del controllo, eppure ho sprecato anni tentando di usare un approccio alla scrittura ultra-controllato e che con me non funzionava. Sono una maniaca del controllo e riesco a portare a conclusione una storia soltanto nella libertà più assoluta, con il controllo che non è proprio contemplato. 
Forse anche di questo è responsabile l'altra me stessa. Forse anche di questo dovremmo parlare, sedute al tavolino e di fronte alla famosa birra. 
Maledizione, mi toccherebbe dirle che ha ragione lei.

venerdì 13 giugno 2014

Un silenzio assordante

Sono quasi due mesi che in questo blog non si muove una foglia.
La Parietaria è rimasta congelata nel tempo, immobile, in attesa di... non so bene nemmeno io di cosa.
In questi mesi sono successe molte cose: Once Upon A Time è finito senza che io completassi i riassunti, la Mina è diventata la signora della casa e ha pensato bene di farci prendere uno spavento da morire finendo sotto flebo d'urgenza, io continuo a fare yoga e a cercare di venire a patti con una me stessa interiore che è del tutto incontrollabile (la cosa peggiore, per una control freak come me, mi coltivo la serpe in seno. In senso letterale. Forse dovrei semplicemente sedermi a un tavolino con lei e offrirle una birra, giusto per discutere delle reciproche differenze). 
Il lavoro continua a essere scarso e la gente continua a cercare di non pagare.
Continuo a leggere. In effetti, avrei un sacco di libri di cui parlare. Quasi tutti in inglese, va da sé. E ho una lista di lettura in costante allungamento.
E continuo a scrivere e pensare storie. Ho rallentato da quando è arrivata la gatta, perché la sera - il momento che prima era dedicato alla scrittura - adesso è dedicato a lei. Cioé, più che altro se l'è preso, obbligandomi, a forza di miagolii, palline messe in mezzo ai piedi e penne scippate durante la scrittura, a darle retta.  Ho scoperto che i gatti hanno un modo tutto loro di fare sì che le cose vadano come vogliono e, se volete sapere che cosa ne penso... secondo me sono davvero alieni che cercano di dominare il mondo. Perfino a distanza, perfino adesso: comincio a parlare di scrittura e zac! lei scivola quatta quatta nel discorso e ne diventa il centro!
Quindi, torniamo alla scrittura: le idee ci sono. Sono tante. Sono per più storie. La cosa mi entusiasma letteralmente: sembrano zampillare, incastrarsi una nell'altra... è come se stessi componendo diversi puzzle contemporaneamente. Non ve lo nascondo: è fico!
La mia fonte di divertimento principale - quella in piena stesura - ha raggiunto e superato le duecentomila battute. Il conto non è aggiornato, perché la sto scrivendo con carta e penna: niente Scrivener, stavolta, se non a posteriori, giusto per avere una copia di sicurezza. Giro con il manoscritto in borsa, in una busta trasparente che sta cadendo a pezzi, e appena posso vado avanti.
A che punto sono?
Avete presente quando siete sulle montagne russe, all'inizio del percorso, che i vagoncini affrontano lenti la prima salita? Più vi avvicinate al culmine e più anticipate - pregustate - il senso di vuoto nello stomaco e la velocità che vi aspettano di lì a pochi secondi. Io sono a quel punto lì: mi sto approssimando al culmine della salita, sono ormai in cima. I pezzi del rompicapo con il quale la mia protagonista ha a che fare sono stati mostrati (quasi tutti) e fra poco lei inizierà a capire come metterli insieme... e la storia scivolerà a tutta birra verso il rush finale e l'epilogo.
Poi ci sarà un mucchio di lavoro da fare, visto che ho trascurato la documentazione quasi del tutto, ma me ne preoccuperò quando sarà il momento.
Questa è una delle cose che sto - lentamente e con fatica - imparando a fare: preoccuparmi quando serve, non in anticipo (e non solo per quel che riguarda la scrittura).
Non è facile. 
Specie quando hai un cervello che ti propone migliaia di varianti apocalittiche - una peggio dell'altra - di ciò che potrebbe accaderti.
In questi mesi si è messo in moto un processo di ripensamento del mio intero modo di essere. E dico che "si è messo in moto" perché non è nato da un atto di volontà mia. Forse l'altra me stessa - quella incontrollabile - ha qualcosa a che fare con tutto questo, non lo so.
Se fossi un personaggio, si potrebbe dire, in termini manualistici, che il mio sistema di sopravvivenza interiore mostra tutte le sue crepe ed è ora di cambiarlo. Ma non sono un personaggio - anche se potete scommettere che quel che mi sta capitando mi servirà, prima o poi, in una storia - e questa sorta di "revisione" va avanti per conto suo, trascinandomi con sé, volente o nolente - più che altro nolente.
Così, dopo mesi di strappi e bocconi,ho pensato che tanto vale fare un tentativo e smettere di essere la rigida quercia: provare a essere il flessibile bambù, così, tanto per cambiare. 
Per una come me è più semplice a dirsi che a farsi, ma magari mi piace, nella vita non si sa mai.
Comunque, sono tornata. Anche se sto facendomi il tagliando, sono qui.

giovedì 13 marzo 2014

Per capire veramente una donna...

Essere una drogata di lettura vuol dire che leggi qualsiasi cosa.
Le locandine dei giornali, i manifesti pubblicitari, i volantini, le T-shirt della gente, le scritte dei Baci Perugina... insomma, proprio tutto. Anche le scritte sulle borse.
Che è ciò che ho fatto io ieri, quando, alla fermata del bus, mi è cascato l'occhio sulla borsa di una tizia che aspettava ferma vicino a me.
C'era scritto sopra: "Per capire veramente una donna devi guardare cosa c'è nella sua borsa".
Beh, io ho guardato la mia, di borsa.
Primo, era sporca di grasso di motore: il giorno prima ero andata a fare delle prove e non avevo avuto tempo di cambiarla. Per lo stesso motivo dentro c'erano ancora i miei guanti da lavoro. Ma anche un astuccio completo di cosmetici, dal fondotinta alla cipria passando per lo smalto.
Poi c'erano fazzoletti di carta - usati e non -, carte di caramelle (ma niente caramelle, accidenti), l'e-reader e un libro (non si sa mai), mazzi di chiavi che manco San Pietro, la busta trasparente con il mio manoscritto e una penna (di nuovo, non si sa mai), il telefono - onnipresente -, uno spillone per capelli e due elastici, una Tratto Pen e il portafoglio.
Ora, non so, ditemi voi, ma non penso che dalla mia borsa si capiscano cose belle di me.

martedì 11 marzo 2014

Il mio primo incontro con il fantasy

Vi dirò, per me il fantasy non è mica iniziato con Tolkien.
Per me, il fantasy è iniziato con La Spada di Shannara.
Sono sempre stata una lettrice vorace - fin troppo - e quindi era mia abitudine curiosare nelle librerie altrui. Nella fattispecie, ho trovato La Spada di Shannara fra i libri del più grande dei miei cugini, all'epoca ben più che ventenne.
Non è che consideri il fantasy roba da under 20, voglio dire, io lo leggo (ora molto meno) e sono abbondantemente over. È solo che, se conosceste mio cugino, vi rendereste conto che è l'ultima persona al mondo dalla quale potreste aspettarvi questo tipo di letture.
In effetti, è l'ultima persona al mondo dalla quale aspettarsi delle letture.
Comunque, tornando al punto, ho curiosato, ho trovato questo libro e l'ho chiesto in prestito.
Che poi ce l'abbia ancora io, è un'altra storia.
Se aveste domandato, alla me stessa undicenne, chi fosse il mio scrittore preferito, avrebbe risposto senza esitazione alcuna: "Terry Brooks".
Potete essere d'accordo come no (io non sono d'accordo con me stessa, fate un po' voi), ma tenete conto che mi mancavano del tutto i modelli di riferimento: mia nonna mi spacciava fantascienza targata Urania e grandi della letteratura americana (il culto di Steinbeck data quei giorni... ed è rimasto immutato, Louis Bromfield lo adoro e conservo gelosamente una vecchia copia di Notti a Bombay. Nevil Shute è un altro dei miti che mi sono rimasti e, prima o poi, vi parlerò del suo L'ultima Spiaggia, oppure Marjorie K. Rawlings che ha scritto Il Cucciolo... ma io preferisco di gran lunga L'ospite inatteso oppure La Luna nascosta). Insomma, la letteratura fantastica non era proprio il suo genere. Di conseguenza, poiché attingevo alla sua libreria, non era nemmeno il mio. 
All'epoca comprare libri era un evento eccezionale - non mi vergogno a dirlo - e sopperivo con la sezione ragazzi della biblioteca comunale, che però metteva a disposizione i classici (Verne, Salgari e compagnia cantante) e poco altro. Erano i favolosi anni Ottanta, di fantasy qui poco e niente. Di certo non negli scaffali per i ragazzini di una biblioteca di provincia: lo YA era ancora di là da venire... ma anche Peppa Pig, e ciò basta a farmi dire che era un mondo migliore.
Al compimento del quattordicesimo anno mi è stato concesso il prestito nella sezione della Narrativa Adulti. Lì c'era tutta la fantascienza che potessi desiderare, e poi Stephen King e un mucchio di altre cose interessanti, ma il fantasy si riassumeva in: il volumone de Il signore degli Anelli edizione Rusconi, un po' di cose sparse di Tolkien, tipo il Silmarillion e i Racconti Perduti e i Racconti Ritrovati e Tom Bombadil. Ve l'ho detto che detesto Tom Bombadil?
Tolto JRR, l'unico altro esempio di fantasy era l'ultimo volume del ciclo dei Belgariad (in edizione Nord), che mi ha fatto fare la conoscenza di David Eddings. Considerato che mi mancavano i primi quattro (e che all'epoca non c'era Amazon dal quale ordinare), ero rimasta con una gran voglia di leggere tutta la storia. La mia vicenda, ve lo dico giusto per non lasciare niente in sospeso, ha avuto un lieto fine: anni dopo, quando, girando annoiata per il reparto libri dell'Ipercoop, ho messo le mani su Il segno della profezia, primo volume di quella saga, in edizione economica Tea e, a seguire, su tutti gli altri.
Ma non mi sarei interessata né di Tolkien, né di Eddings - né di tutto quel che ho letto dopo di questo genere - se non avessi cominciato  La Spada di Shannara
Mi ha aperto un mondo. Quindi, anche solo per questo, rimane speciale.
Sì, sì, nostalgia canaglia e tutt'un po'.
Settimana scorsa mi è venuta - non so nemmeno perché - la voglia di rileggerlo. A parte che nella mia libreria non c'era perché, mi sono ricordata poi, l'avevo prestato, quindi ho dovuto sbattermi - mediamente - per recuperarlo, ieri sera ho iniziato a leggerlo.
A voce alta. Alla gatta. 
Ehi! Non ridete!
Essendo una ex-randagina un po' traumatizzata, deve abituarsi alla mia voce. Per lei fa lo stesso che io le faccia i complimenti o le legga un libro, l'importante è sentirsi considerata e che non smetta di farle le coccole.
Così, insomma, dopo averla iniziata alle avventure del sergente Janus (ottimo consiglio di Davide), è venuto il turno del fantasy.
Sapete che c'è? In termini di divertimento schietto, preferisco Shannara.
Lo so, lo so. A livello di trama, Shannara è un po' una scopiazzatura.
Va bene, mica vi dico di no. Ci sono parecchie somiglianze.
E poi, sì, ci sono gli elfi e i nani e i troll. D'accordo.
A parte che, all'epoca, magari, non eravamo così saturi di elfi buoni-belli-biondi-boschivi-immortali e di nani con le asce al vento.
Il fatto è che Tolkien era un professore inglese. Brooks un avvocato americano.
Capite dove voglio andare a parare?
Il primo ha provato a scrivere un'epica, quasi mettendosi nei panni di un bardo. L'altro, invece, della letteratura d'evasione.
Ci sono delle somiglianze? Oh, beh, direi.
Ci sono degli stereotipi? Non se li fa mancare, Brooks, mettiamola così.
La trama è banale? Non posso negarlo: inizia con il druido che va a cercare un discendente perduto di un re, più banale e trito di così....
Però, per me - e sia chiaro, per me - Shannara è più divertente. Perché è un romanzo d'avventura. Le peripezie di Shea e compagni sono prima di tutto avventura. Quindi abbiamo pericolo, tensione, e un ritmo piuttosto elevato. 
Non sto dicendo che Shannara sia migliore. È un'operazione commerciale piuttosto furbetta. Sto dicendo che, se voglio del divertimento senza pretese, non è poi così male.
E poi, scusate, i personaggi non cantano.
E, soprattutto, non c'è nessun dannato Tom Bombadil.

martedì 4 marzo 2014

Scrittura femminile e maschile

Ieri su Fb siamo finiti a discorrere, in tono semiserio, di scrittura femminile e maschile.
Non era tanto una questione di "scrittura femminile vs scrittura maschile", quanto più un discorso strutturato così: "la sensibilità femminile e quella maschile sono diverse, perciò certe idee a un uomo non verrebbero mai".
Il punto di partenza di tutto il discorso era un paranormal romance, vedete. Inedito e ineditato.
Questo giusto per dare un paio di coordinate.
C'era chi sosteneva che la diversa sensibilità femminile/maschile derivasse da una sorta di condizionamento ambientale: in sintesi, i maschi giocano con i soldatini, alle bambine viene appioppata la Barbie (anche se io sono d'accordo sul fatto che sia l'Imperatrice del Male e un'Algida Stronza), questo giustificherebbe l'utilizzo di certe tematiche nella scrittura femminile.
A questo punto è il caso di mettere il primo paletto: c'è scrittura femminile e SCRITTURA FEMMINILE. 
Buona parte delle autrici paranormal romance e romance (o di tutte quelle opere spacciate per horror/fantascienza/urban fantasy/fantasy classico che altro non sono se romance travestito) rientrano nella prima categoria. Sì, è un giudizio molto secco. Faccio di tutta l'erba un fascio? Allora vi suggerisco di andare a farvi un giro sul Kindle Store.
Date una bella occhiata alle copertine e poi andate a leggere le sinossi di quelle dove vedete: 1. principessa più o meno discinta, più o meno gothika, 2. angelo seminudo e muscoloso (alla faccia del fatto che gli angeli non hanno sesso), 3. vampiro dall'occhio languido e dallo sguardo spermatico, con il sopracciglio che grida "sono andato dall'estetista" lontano chilometri, mascellona d'ordinanza e (a seconda) muscolo in bella vista oppure jabot settecentesco in pizzo.
Fatto?
Ecco. La trama - una qualunque - fa più o meno così: lei è bella ma non sa di esserlo ed è anche speciale, ma non sa nemmeno questo, e, comunque, la cosa le crea più problemi che altro. È una outsider, a volte ribelle ma più spesso vittima, ha una famiglia che non la capisce, se è adolescente va sicuramente al liceo (ché, anche in Italia, altre scuole, nel magico mondo delle autrici di questa roba, non esistono) e subisce episodi di bullismo da una compagna di classe bella e stronza, forse oca, - coadiuvata, o anche no, da un gruppo di supporto di ragazze meno belle e non meno stronze. Se non è adolescente, ha un lavoro poco soddisfacente, magari sottopagato, e viene molestata da una collega bella e stronza. Volendo, può essere insidiata dal viscido capoufficio.
Poi c'è lui. Di default, lui è misterioso. Bello - ma questo è ovvio - e ricco. Così maschio alfa che "maschio alfa" non rende nemmeno l'idea. Ovviamente, lui e lei, quando si vedono per la prima volta, fanno scintille. Perché non si sopportano, è chiaro. L'amore non è bello se non è litigarello, no? E quindi, questi due litigano. Un altro requisito importante è che il nostro eroe è stronzo. O meglio, non è stronzo: è che lo disegnano così. La sua è una forma di difesa, perché ha una profonda ferita interiore. Un trauma. Insomma, pare un leone, invece è un cucciolo bisognoso d'affetto.
E chi glielo darà, l'affetto (e anche massicce dosi di sesso più o meno perverso, se avete pescato una storia per donnine un po' più grandicelle)? Una persona a caso, vediamo se indovinate.
A fianco di queste autrici da serie B, ci sono le autrici da serie A, quelle da SCRITTURA FEMMINILE. Tipo la Atwood. O Angela Carter, solo per dirne un paio. Quelle che ti lasciano a bocca aperta per l'intelligenza, la raffinatezza, la profondità. Quelle che le leggi e dici "vorrei tanto scrivere come lei!"
Questo per dire che non è che i maschi siano scrittori migliori.
Però sono diversi.
Se io guardo quel che mi passa sotto gli occhi quando leggo - o quando scelgo cosa acquistare - vedo alcune "linee guida" che sono, a mio parere, direttamente connesse all'essere donna.
In primo luogo, certi generi sono appannaggio quasi esclusivo delle donne: quasi tutto quello che è romance - o che vorrebbe essere altro ma è romance lo stesso - è scritto da donne. Anche quei generi trasgressivi, o finto trasgressivi stile cinquanta sfumature, sono scritti da donne. Perfino quegli ibridi francamente evitabili e al limite del porno (e ben addentro allo squallido) - dinoporn, tanto per citarne uno - sono scritti per la maggior parte da donne.
Secondo: i punti nodali della trama - quelli che più o meno tutte le storie di un certo tipo hanno in comune - sono strettamente connesse a certi chiamiamoli meccanismi della mente femminile. Il desiderio di protezione, per esempio. Molte di queste protagoniste hanno un (poco nascosto) bisogno di essere protette: il maschio è forte, dominatore e, alla fine, le salverà. Anche la protagonista ribelle, stringi stringi, arriverà a punto in cui non riuscirà a cavarsela, se non per via di un provvidenziale intervento del nostro eroe. Un'altra caratteristica femminile che viene quasi sempre messa in evidenza è la maledetta sindrome della crocerossina. Ce l'abbiamo tutte, chi più, chi meno, ed è un'indubbia fonte di guai, per noi. È quel perverso meccanismo mentale che ci porta a voler salvare l'amato bene da se stesso, con tutte le nostre forze, anche a scapito di noi stesse. Non possiamo resistere. 
Le protagoniste di queste storie sono affette tutte - e allo stadio terminale - da questa sindrome. Così assistiamo a cose terrificanti tipo: lui mi rapisce, mi violenta, ma in fondo è buono e me ne innamoro. Oppure, lui non è cattivo, è traumatizzato e io lo guarirò con la forza del mio aMMore.
Questo meccanismo è così potente che funziona anche da "aggancio" per il pubblico: le lettrici si riconoscono in quel che leggono e ne rimangono ammaliate.
Io non so se le donne che scrivono paranormal romance di un certo tipo siano davvero convinte che sia possibile l'instaurarsi di un certo tipo di relazione partendo da un certo tipo di presupposti. Non so se pensino sia giusto - proprio nel vero senso della parola - che ci sia un rapporto così squilibrato fra le due parti di una coppia, al punto di averne una totalmente dipendente dall'altra. O che sia sano - anche qui, nel vero senso della parola - tentare di "guarire" qualcuno con l'aiuto di, in sostanza, null'altro che delle buone intenzioni (motivate dall'aMMore).
Perché queste potrebbero essere anche scelte - tematiche e di trama - dettate invece dal tipo di pubblico. Scelte ad hoc per far presa.
Il che, se vogliamo, è ancora più allarmante, perché, se è vero che "dimmi cosa leggi e ti dirò chi sei", allora  là fuori ci sono un mucchio di donne, ragazze e ragazzine che, in cambio di un compagno attraente, soldi e una vita comoda, sono disposte a rinunciare a indipendenza, dignità e personalità.
Io credo che siamo diversi, maschi e femmine. 
Credo che lo siamo anche per come veniamo cresciuti. Forse, se mia madre fosse stata una di quelle fissate che vestono le bimbe come bambole e le affogano nel rosa, nei nastri, nei fiocchi e nelle bambole, invece di essere una donna sportiva, sempre in jeans e che non si è mai fatta problemi nel vedermi giocare con i soldatini e le macchine e, se i miei genitori non mi avessero insegnato che non c'è nulla di più importante del ragionare con la propria testa, sarei stata diversa.
Vedete, credo che la diversità nella scrittura sia bellissima. Che, come ho già detto, ci siano scrittrici bravissime. E che certe, come chiamarle?, aberrazioni? derive?, non siano rappresentative dell'essere donna, ma di certi modi di pensare che non mi appartengono, come non appartengono a tante donne, a tante autrici, che dalla scrittura e dalla lettura vogliono altro.
E questo è un pensiero che mi consola.

martedì 25 febbraio 2014

Di fascino e bellezza.

Questo post nasce da tre esperienze, diverse fra loro al punto da non c'entrare nulla una con l'altra, che però, in uno strano modo dalla logica tutta sua, si sono fuse e combinate insieme.
Il primo pezzo di questo puzzle è stato messo in posto ieri mattina.
Ho rifilato la storia che sto scrivendo a una mia amica... e lei ieri ha ritenuto opportuno farmi sapere, con mio sommo gaudio, che le sta piacendo. Non vi dico questo per bullarmi (un po' anche sì, lo ammetto), ma soprattutto perché lei mi ha detto, in merito a uno dei personaggi: lo amo e lo odio, ma sei sicura di non avere in mente una faccia, per lui?
No, non ce l'avevo e non ce l'ho... ma sapevo bene quale faccia fosse venuta in mente a lei.
Una bella faccia.
Vedete, non ci sono descrizioni fisiche di questo personaggio. Non so se l'ho già detto, ma difficilmente mi interesso dell'aspetto dei miei personaggi. Spesso non ho idea di che faccia abbiano e nelle cose che scrivo troverete pochissimi accenni all'aspetto fisico e solo quando hanno un senso a livello di trama. In questo caso, non ce l'hanno, quindi nisba.
Ci sono persone - e ne conosco molte - che hanno dei veri e propri prototipi per i loro personaggi. Sono attori (o attrici), sportivi, insomma, gente in qualche modo famosa.
Anche io ho provato a cercarne, ma ho scoperto che, tanto per cambiare, con me non funziona. Appiccicare un volto a un personaggio, invece di farmelo sentire più vicino e reale, mi falsa la prospettiva. Non essendo, come dicevo ieri, un'appassionata di musica, finisco per rivolgermi verso il mondo della recitazione e pescare fra gli attori. Il problema è che non riesco a limitarmi a prendere in prestito l'aspetto esteriore: oltre a quello, finisco per prendere a prestito anche qualche tratto caratteriale, magari che viene dal film che mi ha colpita di più. Il risultato è un ibrido che non è più mio e che non sono in grado di gestire all'interno di una storia.
Così, ci ho rinunciato.
Quel che mi ha fatta gongolare dal profondo del cuore è stato il fatto che la mia amica abbia percepito la figaggine del personaggio (perché non so come sia fatto, ma so che è fico) da cose che non sono l'aspetto fisico.
Gliel'ho chiesto, a questa ragazza, il perché secondo lei fosse fico. E lei ha risposto: per via di come parla e di come si muove. In altre parole, il fascino deriva da quel che fa e come lo fa, non da quel che è.
Il secondo pezzo del puzzle risale a ieri pomeriggio: ho assistito (e preso parte per un po') a una conversazione su Fb, nella quale si parlava di libri e di come, spesso, le nuove leve non abbiano grandi esperienze di lettura (che, a mio modesto avviso, sono fondamentali per uno che voglia scrivere).
Il corollario di tutto questo era la constatazione che le trame sono trite e ritrite, i personaggi sciapi e tutto ha "lo stesso sapore".
Inutile che mi nasconda dietro un dito: quando c'è stato da fare un esempio di libro brutto-brutto-brutto-aiutami-a-dire-brutto, il titolo che è venuto fuori è quello di una nota saga "vampirica" (virgolette non casuali) che ha avuto disastrose ripercussioni sull'immaginario collettivo, specie su quello femminile.
Ed ecco che i primi due pezzi si sono incastrati: il protagonista maschile, in quell'aborto di libr... in quella storia, è descritto più e più volte, con assoluta dovizia di particolari. E non ci si può sbagliare: è bellobellobello in modo assurdo.
Il problema è che - e io 'sto benedetto libro l'ho letto, quindi parlo con cognizione di causa - se dovessi giudicare da come agisce e dai discorsi che fa... ha il fascino di una cocuzza. Da non volerlo nemmeno in confezione regalo.
Avete presente quelle persone troppo belle per essere vere che, appena aprono bocca, ti fanno desiderare di essere a un paio di universi di distanza? Ecco, così.
Terzo pezzo: è arrivata la triste notizia che è morto Harold Ramis.
Vi risparmio i pistolotti della serie "un pezzo dell'infanzia che se ne va" e mi limito a dire che Egon è sempre stato il mio ghostbuster. 
Avrei preferito mille volte ascoltare quel che aveva da dire uno così, piuttosto che subire le trovate da donnaiolo di Venkman. Simpatico, Venkman, eh, ma... tenetevelo.
Mi sono sempre piaciuti i tipi nerd, cervellotici e con un cultura da enciclopedia.
Fb è stato invaso da immagini e, va da sé, Ghostbusters faceva la parte del leone. E così li ho guardati, questi quattro tipi.
Sapete una cosa? Erano bruttarelli, tutti e quattro. Perfino Bill Murray, che nelle intenzioni era il donnaiolo, non è che fosse tutto 'sto gran che. Ma va benissimo, eh, non mi sto lamentando.
Non li cambierei con niente al mondo. È che, quando li ho visti, un pensiero disturbante mi si è infilato in testa: se un domani decidessero di fare un remake (e non fate quelle facce scandalizzate, non vedete che ormai fanno un remake di qualsiasi cosa?) sceglierebbero degli attori belli.
Perfino per Egon, che è il cervellone e ha gli occhiali e i cervelloni ex-secchioni non possono essere belli, sceglierebbero uno strafigo (e poi gli metterebbero gli occhiali).
Una volta - e sì, sto facendo un post nostalgico da "non ci sono più le mezze stagioni signora mia", ma ho 37 anni e concedetemelo - gli attori non erano così belli. Però erano più veri, più umani. Ora sembrano cyborg tutti plasticosi.
Perché una volta il fascino era dato da quel che uno faceva o diceva. Adesso il fascino passa per l'aspetto fisico prima che per tutto il resto. Se sei brutto - o anche solo normale - non sei credibile. Non puoi essere l'eroe di una storia d'amore, se non sei stratosfericamente bello, palestrato, senza imperfezioni della pelle e con le sopracciglia fatte alla perfezione.
Perciò sono sicura che, se invece della mia amica e coetanea, questa storia l'avesse letta una ragazza più giovane - una di quelle che fangherleggiano per quel certo libro, tanto per fare un esempio - non avrebbe apprezzato il mio personaggio.
Del resto, non si sa nemmeno com'è fatto.

L'immagine - bellissima - viene da qui: http://www.megacynics.com/

mercoledì 27 novembre 2013

Abbattere i muri

Un po' di tempo fa, discorrevo con i compagni del Blocco C della blogosfera in merito ai miei problemi di scrittura.
Perché, let's face it, io ho problemi di scrittura. Ho due stesure complete da rivedere, una storia a metà, ma... non c'è verso di concludere qualcosa.
Ciascuno di loro mi ha dato consigli. Chi ha detto di prendere pausa, chi ha detto di provare a iniziare qualcosa di nuovo (e breve), chi ha suggerito, invece, di scrivere - come in una lettera a me stessa - il perché non riuscissi a scrivere. O, in alternativa, di descrivere il mio vecchio prof di petrografia. Un arnese ben strano, il mio vecchio prof.
Ma torniamo al punto.
Sono passati giorni e io ho ripreso a scrivere. Non con ritmi furiosi, ma sembrava che qualcosa si fosse finalmente sbloccato.
Mi illudevo.
Sapete, se c'è  una cosa della quale sono sicura è la conoscenza che ho di me stessa: di solito, quando qualcosa non va, non solo so con precisione cosa sia. Ma anche perché.
Perciò, ecco qua. Il mio outing. Probabilmente, non sarà molto interessante, quindi potete pure risparmiarvelo.
Quanto a me, no. Vorrei, ma proprio non posso risparmiarmelo. Ho perso fin troppo tempo.
Ho sempre pensato alla scrittura come a un hobby. Per due - anzi, tre - motivi.
Il primo, è strettamente semantico: non è il mio lavoro, dato che non è scrivendo che mi pago le bollette.
Il secondo, è legato al mio carattere del cavolo: per me, lavoro è sinonimo di stress. Lo so, detto così suona male, ma, essendo una libera professionista sono soggetta a dinamiche che rendono tutto molto precario. E spiacevole. Il lavoro c'è, se vai a cercartelo e a volte se ti capita, implica un bel po' di responsabilità (ragion per cui ho una polizza assicurativa, perché non si scherza con certe cose) e ogni tanto delle rogne. Farsi pagare è sempre un terno al lotto e poi c'è tutta la sfera della contabilità che per me resta qualcosa di profondamente misterioso e terrorizzante (meno male che c'è il commercialista). Insomma, scadenze, contrattazioni, delusioni e frustrazione. Non esattamente piacevole, ve l'ho detto.
Il terzo l'ho ammesso a me stessa solo poco tempo fa, perché è un alibi. Se scrivi per hobby, lo fai quando ti va, hai una scusa per non impegnarti, se le cose riescono male in fondo va bene lo stesso, perché tanto... è un hobby. (Il che non significa che io non mi impegni. Ma... just in case).
Ammettere una cosa del genere non è facile, ve lo assicuro. Specie ammetterlo nella blogosfera.
Non sono mai stata una  persona coraggiosa e non sono mai stata sicura di me stessa. Ancora oggi, far leggere a qualcuno qualcosa di mio è fonte di profondo imbarazzo. Un po' perché non mi va di sentirmi giudicare. Un po' perché sono una perfettina inside (e anche questa è una bella rottura di scatole).
Ho mandato in giro il manoscritto di Ultimo Orizzonte solo grazie alla mia amica Babi, che ha continuato a insistere. E quando è stato accettato da WePub mi sono chiesta, sul serio, se mi andava di buttarmi.
Non perché sperassi in qualcosa di meglio, no. Ma perché non pensavo di avere il carattere giusto per espormi in quel modo.
Sono felicissima di averlo fatto, va da sé. E sono felicissima di come è venuto fuori il romanzo, perché è il meglio che potessi fare. Ho dato il 110% e, se manca in qualcosa, beh, è un problema di limite mio, non di impegno. Non ho nulla da rimproverarmi, in questo senso.
Perché dico questo? Perché adesso Ultimo Orizzonte è diventato il mio limite. Perché non sono convinta di riuscire a fare meglio di così. Perché il peso delle mie stesse aspettative mi sta opprimendo e, ormai, ne sono schiacciata.
Qualsiasi cosa io scriva, mi sembra sempre "non abbastanza". 
Non abbastanza originale.
Non abbastanza divertente.
Non abbastanza ben scritto.
Ho sempre scritto senza pensare che qualcuno potesse leggere. Ma adesso non riesco più a farlo perché so che qualcuno leggerà, non fosse altro che per rifiutarmi il manoscritto. Scrivo e poi mi dico "ma il lettore deve sapere anche questo e quello" e allora aggiungo spiegazioni. Poi mi dico "no, è troppo" e tolgo. Mi domando cosa penserà chi leggerà, specie perché a questo qualcuno è piaciuto Ultimo Orizzonte e le cose nuove fanno schifo a me, immagino agli altri... a quel punto, sono nel panico e non c'è verso di uscirne.
E quando vedo i miei colleghi del blocco C che scrivono e si divertono, io li ammiro, ammiro la loro creatività e, in senso buono, li invidio. Perché si divertono.
Vorrei liberarmi di queste aspettative, buttare giù il muro che mi sono costruita intorno e tornare, semplicemente, a raccontare storie, senza giudicarmi. Prima scrivere mi faceva sentire libera. Adesso mi sento in gabbia e cambia poco che mi ci sia ficcata dentro da sola e abbia la chiave in tasca, se non riesco a tirarla fuori.
Lo so benissimo che nessuno può darmi la soluzione.
Com'è? Medico, cura te stesso?
Posso solo sperare che questo sia il primo passo verso la guarigione.

giovedì 24 ottobre 2013

Anche la Parietaria ha una storia del cesso.

Quando ha scritto il suo post, Germano non se l'aspettava, di aver creato un mostro. Un meme, voglio dire.
Ma lo spunto era troppo bello per resistere e così è stata la volta di Marina. A seguire, Alessandro. E oggi, Davide e Gianluca.
Cos'è la storia del cesso?
Leggete il post di Germano - e guardate il video - lo capirete.
No, è che quando dici a qualcuno che scrivi la raffica di domande è d'obbligo (dopo una pausa di stupore mixato - a scelta - con: ammirazione, incredulità e sospetti sulla tua sanità mentale): cosa scrivi? Come hai iniziato? Ma soprattutto: perché lo fai?
(E non arrischiatevi a dire che pubblicate in ebook, perché vi toccherà una variazione sul tema: "Oh, e cosa sono gli ebook?". Un interlocutore che non tiene alla sua incolumità fisica potrebbe lasciarsi anche scappare un deluso: "Ma allora non è un libro vero")
Il che è una delle ragioni per cui pochissime persone fra quelli che mi conoscono nella vita reale sanno che scrivo. Perché la mia risposta - in spezzino - sarebbe: oh, feve 'n po' i cassi vostri. Sottotitolo: scusate, non ho mica detto che mi drogo, eh. Ho solo detto che scrivo.
All'incauto interlocutore darei una testata.
In ambedue i casi, non è cortese.
Ora, visto che scrivo e mi piace farlo, di storie del cesso sul come ho cominciato ve ne potrei propinare una quantità. Inventare storie e inventare balle, in fondo, sono la stessa cosa.
E poi, l'avrei già fatto, ecco. Dove? Ve ne ho parlato qui e questa potrebbe essere benissimo la mia storia del cesso. Incidentalmente, è anche vera.
Come anche i miei illustri predecessori lungo la via del meme, anche io difetto di sturm und drang: non placo uragani Katrina interiori, non purgo demoni, e di certo non rutto in faccia al lettore afflati poetici. La gente si incazza se gli rutti in faccia, sapete.


Anche no.


Partendo dal presupposto che detesto le suddivisioni di genere, scrivo quello che mi piace. Narrativa fantastica. Delle vite qualsiasi di persone terribilmente qualsiasi (cit.) non sappiamo cosa farcene, il piccolo nerd interiore ed io. Ci deve essere qualcosa di straordinario: maghi, astronavi, viaggi nel tempo, dei, ed eroi, e cattivi, e mostri, e bestie parlanti, e oggetti parlanti, e zombie, e dinosauri e... più strano è, meglio è. Altrimenti ci annoiamo.
E se vi devo dire perché ho iniziato a scrivere, beh, per sapere cosa succederebbe se e cosa succede dopo.
Del cosa succederebbe se vi ho parlato sopra. Quanto al cosa succederebbe dopo... è che sono curiosa, curiosa che è un eufemismo per dire "ficcanaso", curiosa al punto che, ma questo non lo faccio più, vado (andavo) a sbirciare il finale dei libri prima di iniziarli.
Quindi... ma cosa diavolo succede ai personaggi dopo che la vicenda è finita e a me tocca chiudere il libro?
Le prime cose non scolastiche che ho scritto erano fanfiction (e non avevo idea che si chiamassero così. All'epoca, quelle due o tre ere geologiche fa, magari il termine nemmeno esisteva). La prima è stata un sequel di Labyrinth, se volete saperlo. Perché a me non andava bene, proprio no, che il Re dei Goblin fosse lasciato con un palmo di naso a guardare gli altri che si divertono perché in fondo, cavolo, lui ha fatto solo quel che gli ha chiesto Sarah (che è una marmocchia viziata).
Ho continuato a scrivere perché è divertente. È molto egoista, lo so: io mi diverto. Se anche voi vi divertite a leggere, tanto meglio. Sennò... non è un problema mio!
Che poi, non è divertente sempre, ma la maggior parte del tempo sì.
E, corollario da non sottovalutare, ho scoperto che - ehi, non ho mai detto di non avere un ego grosso così - è bello quando ti leggono e ti fanno i complimenti. O quando capita di vincere un concorso.
Ti senti la Regina del Mondo e, scusate, ogni tanto è un giro di giostra che vale la pena fare (il guaio è che torni con i piedi per terra).
E poi ci sarebbero i soldi.
Adoro i soldi. E non credete a chi vi dice il contrario: i soldi li adoriamo tutti. Fare soldi scrivendo non è un brutto modo di pagarsi affitto, bollette e una pizza ogni tanto (vedete? ho pretese molto modeste). In Italia, ahimé, la cosa è un tantinello utopica, specie se pubblichi in ebook (per quanto la mia casa editrice sia, sotto questo profilo e anche sotto tutti gli altri, esemplare), ma resta comunque un'aspirazione dignitosissima.
Perciò, quando sento dire "io scrivo per essere letto, i soldi non mi interessano"... ho i miei bravi dubbi. In realtà, io sono una cinica: se non ti interessano i soldi, vuol dire che la gratificazione che ricavi dall'avere un pubblico è qualcosa cui non puoi assegnare un prezzo.
E questo puzza tanto, tantissimo di narcisismo.
Ma in fondo, che male c'è? Tutti gli scrittori hanno un ego grande così, me compresa, ve l'ho detto. Ci vogliono un ego grande così, una vena di follia e una di esibizionismo per far leggere le proprie cose.
Se ci pensate, non è tanto diverso dal far vedere a tutti di che colore sono le tue mutande. Solo che non rischi una denuncia per atti osceni in luogo pubblico.


Ah, se per caso vi domandaste cosa c'entra la foto, beh... quelli sono i gabinetti pubblici di Efeso. Really. Tutti seduti uno accanto all'altro, i cittadini ne avranno avute di storie del cesso da raccontarsi!

venerdì 11 ottobre 2013

La dignità del comprare.

Sono abbastanza vecchia da ricordarmi un mondo senza internet (e anche senza telefonini, ma questo è un altro discorso). 
Un mondo in cui i cd si compravano nei negozi - perché masterizzarli non era possibile o era ancora appannaggio di pochi - e, diciamolo, costavano anche un botto.
In quel mondo, prima di comprare un cd, ci pensavi.
Sono anche abbastanza vecchia da ricordarmi Napster e il primo avvento del Mulo.
La rete era arrivata come il Paese del Bengodi.
Improvvisamente, potevi avere tutto quel che volevi.
Film, musica, giochi. Per i libri digitali era ancora presto, ma tutta l'altra roba era lì.
Gratis. 
Sembrava troppo bello per non approfittarne. Cioé, tutto il mondo a portata di mano e tu che fai, scemo? Stai a guardare?
Siamo sempre alle solite. Italian way of thinking.
Se evadi le tasse non sei un criminale. Sei furbo. Sei ganzo. E se le paghi non sei onesto. Sei uno scemo senza rimedio.
Con la pirateria in rete è la stessa cosa. 
Se scarichi musica, film o libri non sei un criminale. Sei furbo. Se te la compri - o vai al cinema (al mercoledì, che costa meno) - sei proprio un fesso.
Sapete che c'è? Io sono fessa senza redenzione.
E fiera di esserlo.
Perché oggi mi sono comprata - e sottolineo comprata - due album che volevo.
L'ultimo dei Dream Theater - che si chiama Dream Theater - e anche il nuovo degli Alter Bridge, Fortress.
Diciotto euro in tutto. Scaricati direttamente su pc con il comodissimo downloader di Amazon.
E me li sto ascoltando tutta contenta.
Ve l'ho detto che sono fessa.
Ma li ho pagati.
Non li ho rubati.
E li sento miei.