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venerdì 20 marzo 2015

Bambini sintetici

Non abbiamo inventato mica noi la famiglia. L’ha resa icona la Sacra famiglia, ma non c’è religione, non c’è stato sociale che tenga: tu nasci e hai un padre e una madre. O almeno dovrebbe essere così, per questo non mi convincono quelli che io chiamo i figli della chimica, i bambini sintetici. Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo. E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre. Ma lei accetterebbe di essere figlia della chimica? Procreare deve essere un atto d’amore, oggi neanche gli psichiatri sono pronti ad affrontare gli effetti di queste sperimentazioni. 

La settimana scorsa è uscita, sul settimanale Panorama, un'intervista agli stilisti Dolce e Gabbana. Premesso che di loro non me ne importa niente e che Panorama non è il mio genere di lettura, ho beatamente ignorato la questione - nel senso che proprio non ne sapevo nulla - fino all'altroieri quando, in un post su Facebook, è stato linkato un post scritto da Heather Parisi a commento della questione.
Il post linkato, come spesso succede, ha dato luogo a una discussione nei commenti.
Di solito, mi tengo alla larga da certe questioni, ma questa volta alcune delle opinioni espresse mi hanno toccata nel vivo.
Molto nel vivo.
Tanto da farmi decidere di scrivere questo post.
Che sarà lungo, sarà complicato e forse anche pesante.
Non siete obbligati a seguirmi.
Disclaimer: ho letto tutta l'intervista a Dolce e Gabbana. Perché volevo essere sicura di aver capito bene. Troppe volte si finisce per distorcere il significato di un discorso perché se ne ha a disposizione solo una parte.

Ora, secondo me, il discorso dello stilista era limitato alle coppie gay e già c'è da discutere su questo.
Il problema è che, a volte, apriamo la bocca e diamo fiato, senza considerare l'ampiezza della questione di cui stiamo amabilmente discettando.
Nel caso del signor Dolce, lui non si è reso conto che, oltre appunto alle coppie gay (con tanto di Elton John che si erge a paladino del diritto ad avere figli), ci sono migliaia di coppie etero costrette a ricorrere a questo tipo di ausilio... e che - giustamente - si sono risentite di sentir chiamare il proprio figlio "bambino sintetico".
Personalmente, non sono d'accordo con quel che dice lo stilista né in un ambito, né nell'altro.
In questo senso: se lui non si sente "in diritto" di avere figli in quanto gay ("Sono gay, non posso avere un figlio. Credo che non si possa avere tutto dalla vita, se non c’è vuol dire che non ci deve essere. È anche bello privarsi di qualcosa. La vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. E una di queste è la famiglia.") sono squisitamente fatti suoi. Se altri, invece, ne hanno desiderio, non vedo perché non debbano realizzarlo.
Il "se non c'è vuol dire che non ci deve essere"... a questo rispondo con un bel "parla per te". A me pare un discorso abbastanza fatalista. Non lo condanno. Dico solo che non tutti sono fatalisti.
"È anche bello privarsi di qualcosa", di nuovo, sarà valido per te. Tanto, hai tutto il resto...
Sì, mi infastidiscono le opinioni personali spacciate per verità di fede valide urbi et orbi.
Primo, fra una coppia di padri o di madri che amano e rispettano i loro figli e una famiglia tradizionale con il padre che vende il figlio undicenne ai pedofili (notizia dell'altroieri) preferirò sempre i primi.
Secondo, la capacità di concepire non implica la genitorialità... così come genitorialità e preferenze sessuali sono due universi differenti.
Troppi di quelli che protestano contro la fecondazione - specie quella eterologa - sproloquiando di "bambini su misura", "comprarsi un bambino" e cose simili non sanno di cosa parlano.
Credete che si tratti di scegliere un bambino da un catalogo come se fosse - che ne so - un'automobile ultimo modello da esibire? Voglio gli occhi azzurri, no verdi, voglio i capelli biondi, no meglio neri?
Cari miei, non sapete cosa voglia dire convivere con un desiderio di paternità o maternità frustrato.
"Doloroso" non rende nemmeno l'idea.
Credete che sia un percorso facile quello che ti porta ad accettare che gli ovuli della tua compagna siano fecondati da uno sperma che non è il tuo, o che lo sperma del tuo compagno vada a fecondare l'ovulo di un'altra donna? O che il bambino che cresci non avrà nulla - ma nulla - di tuo nel suo corredo genetico?
E se pensate che lo sia meno perché uno è gay... avete proprio sbagliato tutto.
L'altro problema del discorso del signor Dolce è che, come dicevo prima, sembra che per lui bambini sintetici li siano tutti: tutti quelli che sono stati concepiti e portati in vita tramite procedure di fecondazione assistita.
E qui arriviamo a quello che mi ha fatto girare di più le palle.
Davide nascerà a fine aprile, più probabilmente inizi di maggio. Ed è il risultato di un concepimento naturale.
Che però è arrivato dopo l'inizio di un percorso di fecondazione assistita.
Abbiamo fatto tutte le analisi preliminari (e non sono poche!) ma, quando siamo arrivati al momento del piano terapeutico e quindi della somministrazione di ormoni, abbiamo deciso di aspettare settembre: farci le ferie in tranquillità e poi riprendere il discorso.
Sono rimasta incinta, probabilmente, i primi di agosto e a quel famoso piano terapeutico non siamo arrivati.
Al di là del fatto che, la Parisi ha ragione, non esistono "figli sintetici" e "figli naturali" ma esistono "figli" e caro signor Dolce stai parlando di bambini porcaccia della tua miseria, è allucinante come non ci si renda conto di quanto devastanti siano, fisicamente e psicologicamente, una diagnosi di sterilità, prima, e un percorso di fecondazione medicalmente assistita poi.Se anche una minima parte di quelli che tacciano di egoismo chi vi ricorre perché vuole avere un figlio se ne rendesse conto, probabilmente si tapperebbe la bocca.
Farebbe una figura migliore.
Parlano di "soddisfazione di un desiderio personale", di "egoismo", di "selezione naturale"... come se fosse loro diritto, ancora una volta, mettere bocca nelle scelte altrui.
E giudicarle.
Soddisfazione di un desiderio personale?
Sottoporsi a liste d'attesa infinite, analisi di ogni genere e tipo, sempre con l'angoscia della cattiva notizia e, onnipresente, quel senso profondo di inutilità, di incompletezza e non perché non hai un figlio, ma perché non riesci a fare qualcosa che è perfettamente naturale, che gli altri, tutti gli altri, riescono a fare, come se fossi una sorta di... robottino difettoso.
Un prodotto fallato.
Uno spreco di cellule.
E poi, assumere dei medicinali che sono vere e proprie bombe ormonali, che ti sballano il fisico e l'umore, che ti aumentano il rischio di cancro all'utero, alle ovaie e al seno.
Aspettare di vedere, eco dopo eco, se stai producendo embrioni, attendere che vengano classificati, sottoporsi a un espianto e a un transfert per poi pregare che si impiantino e la gravidanza inizi davvero, con una percentuale di riuscita che, quando va bene, è il 30%.
Dover sottostare alle norme italiane sulla bioetica che sono una roba da medioevo, perché la nostra costituzione ha torto e noi non siamo un paese laico.
Chi non è credente si adatti o se ne vada.
[E tanti, fra l'altro, se ne vanno. All'estero. Dove sono molto più evoluti e civili di noi. Dove tutelano davvero le madri e i figli evitando, per fare un esempio, le gravidanze trigemine (in Italia fecondano un massimo di tre embrioni e sono obbligati - per legge! - ad impiantarli tutti)].
E poi viverli, questi nove mesi, sempre con la paura che il sogno si interrompa e l'incubo ricominci. Non pensiate che ne sia immune solo perché Davide è arrivato da sé: nella parte più oscura della mia mente, dove allignano le peggiori paure, ci sono anche questi pensieri. E hanno denti affilati.
E non pensiate che una coppia gay non viva gli stessi stress e le stesse paure.
Poi arriva lo stilista di turno, apre la boccuccia e si permette di dire che tuo figlio non è un figlio ma un bambino sintetico e che tu lo hai messo al mondo per pura soddisfazione personale.
Fra l'altro, signor Dolce... io ho un padre e una madre che adoro. Sono una figlia fortunata, molto fortunata e spero di essere, per Davide, un genitore ottimo come loro lo sono stati per me.
Sarei onorata di esserlo.
Ma, se proprio lo vuole sapere, preferirei essere figlia della chimica con una coppia di genitori che mi hanno voluta e hanno rischiato tutto per me, piuttosto che figlia della natura con una coppia di genitori che mi maltrattano, mi sottopongono ad abusi o, semplicemente, non sono adatti al ruolo che la vita (o il caso? o degli organi genitali funzionanti?) li ha chiamati a ricoprire.

mercoledì 4 marzo 2015

Dieci giorni senza televisione

Non prendetemi per luddista, ma, se proprio ve la devo dire tutta, per me la televisione è il male.
Quell'invadente chiacchierona sempre accesa, nemmeno fossero le pareti animate di Fahrenheit 451, con il suo attrarre l'attenzione su questioni di importanza quantomeno discutibile o il suo inocularci pubblicità, più o meno occulta, ad ogni pié sospinto... la detesto.
La religione è l'oppio dei popoli, diceva Marx.
Mi domando cosa penserebbe, il barbuto, della televisione.
Magari non è proprio l'oppio dei popoli, ma ne è, almeno, il Valium.
E siccome io Valium anche no, grazie (men che meno ora), e il mio compagno è come me, in casa nostra abbiamo una sola tv.
Basta e avanza. Soprattutto, avanza.
E abbiamo avuto modo di scoprire quanto.
A un certo punto, circa dieci giorni fa, ha iniziato a dare i primi sintomi di autocoscienza, spegnendosi e accendendosi da sola. Speravo in Skynet, invece era solo un guasto, e, datosi che è pure in garanzia, l'abbiamo portata in assistenza.
Ovviamente, provata in negozio, ha smesso di farlo e, da brava stronza, si è comportata in modo lodevole.
Che a una viene un dubbio legittimo: ok, Skynet no, ma magari i poltergeist?
Insomma, fatto sta che, su richiesta del mio compagno, il riparatore se l'è tenuta dieci giorni, in attesa che si decidesse a funzionare male.
Lei, casomai ve lo chiedeste, non ha funzionato male.
E noi? Noi siamo rimasti senza.
Credo che, oggigiorno, una casa priva di tv sia piuttosto insolita. Che sia per guardare un film, sentire qualcuno parlare, o perché (somma tristezza) davvero interessa la spazzatura di cui sono inondati i canali, la tv c'è ed è funzionante.
Quindi... come si sta senza televisione per dieci giorni?
Bene. Anzi, benissimo.
In primo luogo, sembra banale, ma si parla di più. Noi abbiamo la tv e il tavolo in salotto, quindi, mentre si mangia, quella è accesa. Senza quella, si parla.
Poi, si ascolta più musica. Nei dieci giorni trascorsi, abbiamo sperimentato diversi generi e scoperto che Davide, a quanto sembra, apprezza la classica e il blues. Caprioleggia a non finire. Molto meno - con sommo rammarico della dolce metà e mio segreto giubilo - il metal, accolto con sdegnosa indifferenza.
Inoltre, senza quell'irritante chiacchiericcio, la casa diventa più rilassante.
Ora, c'è da dire che né io né il mio compagno siamo appassionati di qualche trasmissione particolare - non è che ci strappiamo i capelli se non riusciamo a vedere la finale di Masterchef, per esempio - però ho scoperto che anche quel che in genere guardo volentieri (soprattutto su Focus) non mi è mancato quanto pensavo.
Non mi è mancato affatto.
Certo, internet e i computer hanno dato una grossa mano, garantendoci comunque la possibilità di guardare film e serie che ci interessano (roba che in tv non ci andrà mai e, se ci andrà, sarà con un doppiaggio orrendo).
E poi, ovviamente, ci sono i libri. Passo molto più tempo a leggere che non a guardare la tv (e dovrei anche scrivere, maledizione!). Se mi dovessero togliere il Paperwhite o l'accesso alla libreria sì, che sarebbero pianto e stridor di denti!
In definitiva, senza tv si sopravvive - e pure bene.
Un'informazione che metto da parte per tirarla fuori al momento opportuno... e cioè quando si tratterà di insegnare a Davide che c'è un mondo molto più interessante, fuori da quella specie di scatola!

sabato 21 febbraio 2015

All Along The Watchtower

Sapete?
Io le odio, le etichette. Non quelle con i prezzi, eh, quelle che oggigiorno la maggior parte degli scrittorucoli, specie nell'italico panorama, appiccicano ai propri personaggi.
Mi fanno incazzare a morte.
Sono stufa. Sono stanca. Mi sono proprio rotta le palle.
Non ne posso più di elfe "crudeli e procaci", giornaliste spaziali "inguainate in tutine", fantasy "a tinte fosche" e via di questo passo.
Caro scrittorucolo dei miei stivali, che infarcisci di etichette il tuo scritto, lasciatelo dire: il tuo capolavoro non vale la carta sul quale è stampato, non vale i byte dell'ebook e no, non me ne frega niente se ti ha pubblicato una grande CE, questo poi non ti garantisce certo un bollino di qualità. Anzi.
Il tuo libro non vale il mio tempo.
Perché come scribacchina sono nessuno, come lettrice ho gusto, intelligenza e un palato raffinato.
In altre parole, una come me, fra il tuo pubblico, te la sogni.
Vuoi sapere perchè?
Ma te lo dico subito e in termini non equivocabili.
Se la prima informazione che vuoi dare al lettore è che la tua protagonista ha le tette grosse o che se ne va in giro strizzata in un indumento abbastanza stretto perché le si possano contare i peli, vuol dire che non hai proprio capito niente.
Queste sono le importantissime informazioni che, per prime, vuoi passare ai tuoi lettori? Lo stato delle ghiandole mammarie e il gusto (volgare) nel vestire?
Complimenti, sono davvero di importanza capitale.
Non so, caro scrittorucolo, se ti rendi conto di quanto sia umiliante.
Ma lo dico per te, eh. Perché, se scrivi in questo modo, è segno che pensi in questo modo. Posso permettermi? Forse, ma dico forse, è il caso che tu riveda le tue priorità e il concetto di "importante".
E poi, piccolo effetto collaterale, sarebbe umiliante per il pubblico. Non per tutto, eh, per questo ho messo il condizionale. Per quei pochi non lobotomizzati ancora in giro.
Non so se ti rendi conto di quello stai facendo. Spero per te di no, perché è una roba abbastanza disgustosa: stai rigurgitando nel loro gargarozzo del cibo predigerito.
Quando lo fanno, per esempio, i pinguini con i loro pulcini è pure carino. Ma lo scrittore con il lettore? Not so much.
Tu, a questo ipotetico lettore, non  permetti di farsi un'opinione sua: prendi il primo stereotipo che capita - o meglio, quel che va di moda al momento - gli appiccichi quattro caratteristiche (semplici, per carità) e poi dici che è così.
E magari non capisci neanche per quale ragione qualche lettore più spaccaballe della media - oh sì, eccomi qui - dovrebbe lamentarsi.
Morale della favola, ci ritroviamo con donne crudeli che però di crudele non fanno nulla, con personaggi intelligenti che però non si dimostrano mai tali.... cosa chiedi, in fondo, al lettore? Neanche uno sforzo piccino picciò. Deve solo mettersi comodo, smettere di pensare e limitarsi, invece, a credere a quel che gli dici.
Sai che c'è? No, grazie, comunque no grazie, per quanto mi riguarda risparmiati pure la fatica.
Se mi accorgo, e me ne accorgo al volo, che il tuo libro è di questo tipo, io lo butto. Non lo compro. Non lo leggo. Non me lo proporre nemmeno, via Fb o nei milioni di modi messi a disposizione dai social network. Oppure provaci, se hai coraggio, ma non lamentarti se ti prendo a male parole.
Perché?
Perché mi sento trattata come una cretina e, caro scrittorucolo che ti credi tanto geniale, come una cretina vai a trattarci qualcun altra.
Io voglio capire da me com'è un certo personaggio. Voglio capirlo da come parla, si comporta, pensa.  Queste sono le cose che devi dirmi. Non se porta la sesta di reggiseno o John Holmes a confronto è afflitto da invidia del pene.
Quindi muovi il culo e fai il tuo dovere, cioé scrivi e scrivi come dio comanda.
Le tue caratteristiche preconfezionate stile elenco della spesa... puoi ficcartele dove non batte il sole.
Mi dispiace per te: non me ne frega niente se la protagonista ha le tette grosse, o il protagonista ha grosso dell'altro (che qua siamo in par condicio). Evita di sbrodolare per pagine e pagine su pettorali scolpiti, cosce snelle e turgidi seni, è pure squallido.
Fra l'altro, non so se te ne sei accorto, finisce che i personaggi sono tutti uguali. Si chiama omologazione e no, non è un complimento.
Di protagonista bellobellobello in modo assurdo ce n'è soltanto uno!
Non mi frega un accidente se il lui di turno è biondo o bruno, alto o basso, né mi interessa di che colore ha gli occhi. E, per favore, evita anche una descrizione minuziosa di come lei è vestita, se non è funzionale alla storia. Invece che sprecare tempo a immaginarne il guardaroba, perché non ti impegni a renderla il più possibile sfaccettata e tridimensionale?
Se voglio vedere dei vestiti, mi sfoglio una rivista di moda (era per dire, non lo faccio neanche se sto morendo di noia in coda dal dottore). 
Da un libro, voglio altro.
Altro che, almeno in Italia, non ottengo.
Perché il triste rovescio della medaglia - ci siamo resi conto in una interessante discussione con i miei compagni del blocco C della blogosfera - è che, a stare a guardare dati come popolarità e vendite, siamo come Robert Neville in Io sono leggenda (il libro, maledizione, non il film!): una razza in via d'estinzione in mezzo a mutanti caratterizzati da analfabetismo funzionale e crassa ignoranza. 
Quelli che vogliono usare cervello e fantasia soccombono a una schiacciante maggioranza, composta da coloro i quali "buona la pappa predigerita e rigurgitata al momento"
Eh, guarda, una delizia...
Gente che vuole la protagonista imbranata ma in fondo in fondo figa, oppure crudele e dominatrice ma sotto sotto con un cuore di panna, e una controparte maschile che sia, oltre che di splendido aspetto, anche uomo che non deve chiedere mai, ma accudente, ma bisognoso di essere salvato e poi ricco. Ricco è irrinunciabile.
Ma siete mai andati a leggere le recensioni su Amazon di classici della letteratura fantastica?
Io l'ho fatto, ma una volta per non ripetere mai più. Gente che appioppa una stellina a Dracula perché non c'è la storia d'amore con Mina! Gente che recensisce negativamente dei capolavori dicendo che mancano le descrizioni fisiche o che sono noiosi perché le frasi sono troppo lunghe.
Cioé, fatemi capire, se non sapete per filo e per segno che aspetto ha un personaggio non siete in grado di immaginarvelo? Scusate, da quale pianeta siete atterrati?
Questo stato di cose mi mette i brividi e ha conseguenze disastrose.
Ad esempio, un'omologazione vergognosa della produzione letteraria. 
Libri tutti uguali, mal scritti, mal pensati, stupidi e banali, ma che alle CE vanno bene, perché il libro ormai è solo un prodotto, viene fuori da una specie di catena di montaggio e deve fare solo una cosa: deve - e sottolineo deve - rispondere a determinati standard.
Non importa che sia bello. Non importa che sia originale, né ben scritto. Anzi, il fatto che sia originale e ben scritto, semmai, è uno svantaggio.
Perché deve vendere. E per vendere deve dare al pubblico - un pubblico ormai disabituato alla buona scrittura, nutrito di schifezze, che non è neanche più in grado di seguire una trama appena un pelo più complessa della favoletta di Cenerentola (che ci narrano e rinarrano in tutte le salse) - quello che il pubblico chiede.
Che è questa roba qui. Che sono le etichette sbattute in quarta di copertina, così capisci subito con cosa hai a che fare, le trame tutte uguali, i personaggi tutti uguali, l'attenzione a dettagli insignificanti - come l'aspetto fisico - perché così non deve neanche fare lo sforzo di immaginare (che, fra l'altro, è la parte divertente del leggere, ma questi poveri idioti non lo sanno), una sintassi che definire scolastica è un complimento, perché il lettore non deve smarrirsi fra le proposizioni del periodo, quindi limitiamoci a soggetto - verbo - complemento, con qualche aggettivo, ma generico, non sia mai che il poverino debba metter mano a quella cosa, com'è che si chiama?, ah, sì vocabolario.
E noi lettori forti? Noi da oltre cento libri l'anno, quelli con il gusto della lettura, quelli che la fantasia la usano eccome?
Noi ci attacchiamo e tiriamo, per dirla in modo popolare. Non siamo abbastanza importanti, non giustifichiamo l'investimento necessario a portare in Italia buona letteratura fantastica.
Meglio coltivarsi le legioni di lobotomizzati e spacciare loro cartacei a venti euro ed ebook a tredici. Che magari ne comprano uno all'anno, ma sono tanti.
Davvero tanti.
Sapete qual è l'altra, disastrosa conseguenza? Che il serpente che si morde la coda, perché buona parte di questi si metterà a scrivere
E, proprio come siamo quel che mangiamo, loro scriveranno quello che leggono, cioè stupidaggini e andrà già di lusso se useranno un italiano corretto.
Privi di una cultura di genere scriveranno, per esempio, convinti che fantasy = signore degli anelli, senza avere la minima consapevolezza che forse, ma dico forse, l'idea del predestinato e del signore oscuro non è proprio questa novità sconvolgente e che i mondi simil-medioevali hanno anche un po' scassato i cosiddetti.
O che i vampiri siano tutti belli, tormentati e alla ricerca dell'aMMore, oppure che una storia d'amore non abbia senso se priva di massicce dosi di sesso il più possibile presunto sadomaso (ma in realtà all'acqua di rose).
E si autopubblicheranno - ormai è facile - e spammeranno ovunque pretendendo di essere letti e infestando gruppi Fb, aNobii e Twitter, oppure si faranno fregare da una CE a pagamento, perché non hanno né l'intelligenza né il senso critico per capire che l'aver scritto qualcosa non lo rende automaticamente degno di pubblicazione - convinti pure, nella loro presunzione infinita, che tanto tutti pagano, per pubblicare.
Qualche Cenerentola, poi, approderà a una grande CE che la mungerà ben bene, spacciandola come caso letterario ad altri lobotomizzati (i quali, a loro volta, si faranno venire velleità letterarie), per poi gettarla nel dimenticatoio non appena avrà esaurito la sua utilità (squisitamente economica, se ancora ce n'è una, in questi tempi di crisi nera).
Se proprio volete sapere come la penso, gli starà bene, se la saranno cercata. 
Il problema è che sono tanti. Sono troppi.
Come direbbe qualcuno dei miei compagni del blocco C, è una fottuta invasione.
E noi lettori forti siamo sempre meno. Siamo sempre più stanchi, sempre più assediati. 
E sempre più scazzati.
Stufi di entrare in una libreria e trovare cumuli di stupidaggini che non toccheremmo neanche con un bastone, stufi di sentirsi proporre, dall'amico di turno, l'ennesima schifezza con un "ho letto un libro bellissimo, guarda, lo devi leggere" e per poi dover spiegare che quel libro, che lui ha tanto apprezzato, è in realtà un'immonda cagata e che, se solo si prendesse la briga di guardare al di là delle nostre sponde, ci sono libri davvero meravigliosi, che però ti devi leggere in lingua originale perché tanto qui non li tradurrà nessuno.
Quando oltre che lettori si è scrittori, è pure peggio.
Ti fai un culo come una capanna e vedi il frutto delle tue fatiche alla pari con le peggio schifezze. Ti confronti con un pubblico che non è in grado di riconoscere la buona scrittura neanche se questa si mettesse lì a sputargli in faccia. Ti impegni, ma ti dicono che il tuo libro è troppo complicato. Che non c'è una storia d'amore. Che non ci sono le descrizioni fisiche. Che il finale aperto non va bene, ci vuole il lieto fine.
E, nei momenti più neri, ti chiedi chi diavolo te lo faccia fare.
È dura essere assediati. Ti manca l'aria.


venerdì 13 giugno 2014

Un silenzio assordante

Sono quasi due mesi che in questo blog non si muove una foglia.
La Parietaria è rimasta congelata nel tempo, immobile, in attesa di... non so bene nemmeno io di cosa.
In questi mesi sono successe molte cose: Once Upon A Time è finito senza che io completassi i riassunti, la Mina è diventata la signora della casa e ha pensato bene di farci prendere uno spavento da morire finendo sotto flebo d'urgenza, io continuo a fare yoga e a cercare di venire a patti con una me stessa interiore che è del tutto incontrollabile (la cosa peggiore, per una control freak come me, mi coltivo la serpe in seno. In senso letterale. Forse dovrei semplicemente sedermi a un tavolino con lei e offrirle una birra, giusto per discutere delle reciproche differenze). 
Il lavoro continua a essere scarso e la gente continua a cercare di non pagare.
Continuo a leggere. In effetti, avrei un sacco di libri di cui parlare. Quasi tutti in inglese, va da sé. E ho una lista di lettura in costante allungamento.
E continuo a scrivere e pensare storie. Ho rallentato da quando è arrivata la gatta, perché la sera - il momento che prima era dedicato alla scrittura - adesso è dedicato a lei. Cioé, più che altro se l'è preso, obbligandomi, a forza di miagolii, palline messe in mezzo ai piedi e penne scippate durante la scrittura, a darle retta.  Ho scoperto che i gatti hanno un modo tutto loro di fare sì che le cose vadano come vogliono e, se volete sapere che cosa ne penso... secondo me sono davvero alieni che cercano di dominare il mondo. Perfino a distanza, perfino adesso: comincio a parlare di scrittura e zac! lei scivola quatta quatta nel discorso e ne diventa il centro!
Quindi, torniamo alla scrittura: le idee ci sono. Sono tante. Sono per più storie. La cosa mi entusiasma letteralmente: sembrano zampillare, incastrarsi una nell'altra... è come se stessi componendo diversi puzzle contemporaneamente. Non ve lo nascondo: è fico!
La mia fonte di divertimento principale - quella in piena stesura - ha raggiunto e superato le duecentomila battute. Il conto non è aggiornato, perché la sto scrivendo con carta e penna: niente Scrivener, stavolta, se non a posteriori, giusto per avere una copia di sicurezza. Giro con il manoscritto in borsa, in una busta trasparente che sta cadendo a pezzi, e appena posso vado avanti.
A che punto sono?
Avete presente quando siete sulle montagne russe, all'inizio del percorso, che i vagoncini affrontano lenti la prima salita? Più vi avvicinate al culmine e più anticipate - pregustate - il senso di vuoto nello stomaco e la velocità che vi aspettano di lì a pochi secondi. Io sono a quel punto lì: mi sto approssimando al culmine della salita, sono ormai in cima. I pezzi del rompicapo con il quale la mia protagonista ha a che fare sono stati mostrati (quasi tutti) e fra poco lei inizierà a capire come metterli insieme... e la storia scivolerà a tutta birra verso il rush finale e l'epilogo.
Poi ci sarà un mucchio di lavoro da fare, visto che ho trascurato la documentazione quasi del tutto, ma me ne preoccuperò quando sarà il momento.
Questa è una delle cose che sto - lentamente e con fatica - imparando a fare: preoccuparmi quando serve, non in anticipo (e non solo per quel che riguarda la scrittura).
Non è facile. 
Specie quando hai un cervello che ti propone migliaia di varianti apocalittiche - una peggio dell'altra - di ciò che potrebbe accaderti.
In questi mesi si è messo in moto un processo di ripensamento del mio intero modo di essere. E dico che "si è messo in moto" perché non è nato da un atto di volontà mia. Forse l'altra me stessa - quella incontrollabile - ha qualcosa a che fare con tutto questo, non lo so.
Se fossi un personaggio, si potrebbe dire, in termini manualistici, che il mio sistema di sopravvivenza interiore mostra tutte le sue crepe ed è ora di cambiarlo. Ma non sono un personaggio - anche se potete scommettere che quel che mi sta capitando mi servirà, prima o poi, in una storia - e questa sorta di "revisione" va avanti per conto suo, trascinandomi con sé, volente o nolente - più che altro nolente.
Così, dopo mesi di strappi e bocconi,ho pensato che tanto vale fare un tentativo e smettere di essere la rigida quercia: provare a essere il flessibile bambù, così, tanto per cambiare. 
Per una come me è più semplice a dirsi che a farsi, ma magari mi piace, nella vita non si sa mai.
Comunque, sono tornata. Anche se sto facendomi il tagliando, sono qui.

martedì 4 giugno 2013

Chiavi di ricerca

Di solito non le guardo, le chiavi di ricerca. 
Però mi ci è cascato l'occhio e cosa ho notato?
  • Che parecchia gente non ha capito il season finale del Dottore:  "doctor who 7x13" (questo mi sa cercava l'episodio da scaricare), "recensione doctor who 7x13", "spiegazione The Name of The Doctor", "The Name of the Doctor recensione", "qualcuno ha capito The Name of The Doctor". Sembra il periodo immediatamente successivo all'uscita di Cloud Atlas. Moffat, due parole per te: EPIC FAIL!
  • A seguire, c'è Once Upon a Time: "once upon a time 2x19", "lei mi amerà once upon a time", (ah, cara, lo dice Rumplestiltskin, questo. Chi cerca una roba del genere deve essere una donna. Per forza) "once upon a time chi è tamara" (una grandissima stronza?), "once upon a time che fine fa tamara" (spero brutta).
  • Il nome del blog continua a generare confusione: "parietaria officinalis", "parietaria", "tensione sotto parietaria" (questa me la dovrebbe spiegare) e la migliore di tutti "poteri della parietaria" (io sono onnipotente, non lo sapevi?).
  • "Ralph Fiennes" mi regala un po' di visite: niente male come attrazione!
  • Qualcuno cerca "attore del film le donne della terra sono belle". Era Le ragazze della Terra sono facili, dearie. E lui si chiama Jeff Goldblum. Ma c'era pure un Jim Carrey agli esordi.
  • Anche i libri sono una scusa per approdare qui: "amelia peabody e il faraone assassino" (bravo/a! Un libro divertente), "palombari storie" (evita di ordinare L'artiglio ha confessato: io ho pagato e la casa editrice che lo ristampa non me l'ha mai spedito, nonostante telefonate e solleciti). Infine, qualcuno deve essere bacchettato: "l'assassino de il mio nome è rosso"... ciccio, leggitelo!
  • Menzione speciale per "candy candy sfiga". Ne aveva parecchia, la ragazza. Ma siccome non la sopporto, le ho augurato di peggio.
  • Per l'angolo del geGno: "astronavi spaziali". Sono astronavi, bello. Dove credi che viaggino? Sott'acqua?
  • Fuori concorso causa imbecillità: "cybermene gay", che coniuga errore di ortografia, strisciante contenuto omofobico e perversione mentale in un colpo solo. Complimenti, chiunque tu sia. Sei appena stato eletto scemo del villaggio virtuale.



sabato 2 marzo 2013

Cheesecake&spaceships

Stamattina mi sono svegliata - dopo una notte di sogni assurdi, popolata da una serie di Totoro con enormi dentature da squalo bianco nonditeminientechesonogiàpreoccupatacosì -con in testa una serie di spunti per la storia NaNosa 2012.
Ho passato la mattina a prendere appunti, buttare giù domande cui dare risposta con un bel po' di documentazione (e a fare una cheesecake, perché quando cucino penso meglio).
In definitiva, oggi passerò il pomeriggio a rimuginare e prendere appunti mentre riordino casa (anche quando faccio i lavori di casa penso meglio).
Sento un familiare refolo di entusiasmo e spero che diventi presto un bel vento impetuoso!
Go ME!

sabato 23 febbraio 2013

La cellulite della Seredova.

Una delle cose che più mi scocciano dell'avere un indirizzo mail con dominio inwind.it è che, per leggere la posta, devo per forza passare da Libero.it. 
Ogni santa volta, leggere i titoli che Libero.it strilla in faccia al malcapitato utente mi fa venire un nervoso che guai. Perché sono un campionario delle peggiori stupidaggini partorite da mente umana. (E non mi dite che posso scaricarmela con Thunderbird, la posta, perché no, non posso, visto che il mio provider non è Infostrada.)
Ora, la cellulite della Seredova.
No, non sono rimbambita tutta d'un colpo. Quando ho letto il titolo, la prima reazione è stata: come direbbe Il tristo mietitore (e se non lo followate ancora su Twitter cosa state aspettando?) il cazzo che me ne frega è visibile dalla luna. (Lo so, avevo detto niente parolacce qui dentro, ma per questa volta mi concedo un'eccezione.)
La seconda (immediatamente dopo): con tutto quello che succede nel mondo qualcuno legge questa roba? (Non ho letto l'articolo, mi è solo cascato l'occhio sul titolo. Ho una dignità, io). Risposta: evidentemente sì, se qualcuno la scrive e la mette on line. Tristezza a tonnellate.
E poi un briciolo di solidarietà femminile: ma sentite un po', una povera (si fa per dire) disgraziata non può tenersi in pace i suoi difetti fisici senza che siano sbandierati urbi et orbi? Evvabbé, ha la cellulite, vivaddio è umana pure lei e non un cyborg. Belin, feve i cassi vostri (spero non ci sia bisogno di traduzione).
Seriamente, adesso. Io lo trovo avvilente.
Ma davvero siamo così? Davvero c'è gente per la quale queste sono le cose importanti, le cose che vale la pena conoscere, cui fare caso? La cellulite di questa, le corna di quest'altra, il lifting di quell'altra ancora. Gente che si interessa dell'ultimo pettegolezzo dello showbiz, di chi va con chi, che si lobotomizza di fronte alle becere piazzate dei reality show.
E poi mi viene in mente che l'Italia è nella merda (sì, altra parolaccia). Che in Grecia sta succedendo di tutto e nessuno dice niente. Che è venuto un nubifragio a Catania, non c'è scappato il morto per puro miracolo, e l'unica cosa che si sente è il rimbalzare di promesse elettorali una più falsa e bislacca dell'altra.
Che domenica si vota. E anche una parte di 'sto branco di rincoglioniti (non c'è un modo meno efficace per dirlo) sarà là a fare il suo bravo segnetto. Non tutti, perché magari non hanno voglia, devono andare all'outlet o chissà che altro, ma una parte sì. 
Ma cosa mi voglio, cosa mi posso, aspettare da costoro e dal paese che li ha partoriti? Consapevolezza? Senso di responsabilità? Attenzione al dovere civico?
Se, vabbé.

mercoledì 6 febbraio 2013

Boomstick Award

La Parietaria è stata premiata!
Con mio immenso gaudio nonché somma sorpresa, il buon Germano (a proposito, lo vedete il fantastico banner qua sopra? È suo ed è di inarrivabile fighezza!) ha assegnato un premio anche a questo neo-blog senza pretese.
Le motivazioni mi hanno fatto andare letteralmente in brodo di giuggiole, specie la prima: "perché uno, prima di leggere il blog, si va a cercare il titolo su wikipedia". (In effetti, potevo scegliermi qualcosa di meno strano.)
Comunque, visto che mi viene data facoltà di premiare altri sette... ecco qua!
  1. Minuetto Express di Mr.Giobblin. Deinos! Hydropunk! Un mucchio di notizie dal e per il nerdverso. Semplicemente, adorabile.
  2. Space of Entropy di Marina: un sacco di recensioni interessanti. Un ottimo gusto in fatto di numi tutelari! E poi ha trattato una degli esemplari femmina di troll più stupidi che mi sia capitato di vedere con uno stile inarrivabile. Prendete appunti, gente.
  3. Tutto Bene Nella Mia Testa di Marco: la verve e l'umorismo sono inconfondibili. Il post sulle confessioni mi ha fatta letteralmente capovolgere. Però non fatevi ingannare dal tono leggero: lui è uno che sa cogliere il nocciolo della questione con straordinaria esattezza.
  4. Strategie Evolutive di Davide: mi fa spendere, ma sono soldi spesi bene. Davide consiglia sempre un sacco di libri e difficilmente sono brutti.
  5. Aislinndreams della Socia Ais: per la dolcezza e il garbo con cui parla delle cose che le interessano, che siano musica, scrittura e cucina.
  6. Storytime della Socia Sam: posta troppo raramente, ma quando lo fa... non le manda a dire a nessuno!
  7. Book and Negative di Germano: pensate che sia piaggeria? Non si può premiare chi mi ha premiata? Mentre andate a farvi friggere, passate sul suo blog e leggetevi qualche post. Io vi consiglio quello sul Deep Sea Challenge o quello sulle fotografie post mortem in epoca vittoriana. O magari quello sul doppleganger. Poi ne riparliamo.

martedì 8 gennaio 2013

Chiavi di ricerca

Le chiavi di ricerca che portano qui non sono mai troppo sganasciose. Per dire, niente pervertiti, o deviati, o rincoglioniti generici. Sono proprio delusa!
Va per la maggiore "X-Files" (in improponibili varianti ortografiche) e "Millenium Falcon" (sì, scritto così) e diciamolo una volta per tutte: CI VANNO DUE ENNE! Ultimamente, parecchie persone cercano anche di capire per quale motivo Ryan veda Wilfred come un uomo travestito da cane. Spiacente, non posso illuminare le vostre tenebre: non lo so. Secondo me perché è schizofrenico, ma prendetelo per quel che vale.
Ed ecco quelle di oggi:
david bowie: è anche il suo compleanno! Comunque, complimenti per il buon gusto.
tardis scala a chiocciola: sì, è bella. È piaciuta anche a me.
angeli e cuori spezzati: non so come dirtelo, ma sei nel posto sbagliato. Qua niente robaccia del genere.
david bowie immagini: ce n'è una sola, ma, ancora, complimenti per il buon gusto.
film sul silmarillion: no, grazie, comunque no, grazie.
gary oldman bello: amen, sorella (perché questa è una donna, sicuro).
louvre piramide: sì, beh, bell'ingresso, ma la roba che c'è dentro il museo è meglio.
non ho capito cloud atlas: leggiti il libro! (O, in alternativa, questo post!)
palombaro zavorra: è parecchia, fidati.
parietaria officinalis: sì, lo so, cercavi un'erba infestante e hai trovato il mio blog. Chiedo scusa.

Ah, beccatevi il nuovo singolo del Duca Bianco. È strepitoso.


mercoledì 14 novembre 2012

My Two Cents sul Self-Publishing

Se ne fa un gran parlare, di 'sti giorni. 
Ora, come al solito, le reazioni in questo nostro paese da sceneggiate napulitane sono esagerate: chi plaude alla democratizzazione, chi esulta perché, finalmente, libertà-libertà da quel collo d'oca che è la selezione manoscritti (sia da parte delle c.e. che da parte delle agenzie letterarie), chi, invece, è in mood luttuoso, perché ah, adesso pubblicano cani e porci senza più il filtro qualità rappresentato dagli editor e dall'editing.

FILTRO CHE???!!

Tanto, partiamo da un presupposto: gli editori, quelli molto grossi, i marchi storici, possono dire quel che vogliono, in questi tempi bui di crisi e con in più l'assedio del digitale, ma l'epoca in cui facevano cultura con la C maiuscola è passata da un pezzo.
Non fanno cultura: cercano di vendere. Niente da eccepire: sono imprenditori, hanno da campà. C'hanno i conti da pagare: come se le permettono, sennò, le millemilioni di copie con cui ogni quindici giorni inondano le librerie (e che poi vengono impietosamente rese)?
Ora, questo ha un duplice effetto: da una parte, ci riempiono di schifezze, dall'altra hanno grandemente ristretto il campo "di interesse" dei manoscritti.
E qui facciamo un distinguo, perché, l'ho già detto, detesto le generalizzazioni: non a tutti gli editori interessano le vie già battute.
[Sì, sto parlando dei miei editori: Ultimo Orizzonte nell'editoria tradizionale non avrebbe trovato posto. È un romanzo di un genere incerto - perfino io non saprei definirlo - con delle parti in dialetto e senza storie d'amore di sorta. Queste caratteristiche lo facevano partire svantaggiato a prescindere, prima ancora di andare a considerare la scrittura.]
Ma, tranne rare eccezioni - che si fanno sempre più rare, man mano che case editrici che si occupavano in modo serio di fantastico chiudono o cambiano gestione - oggi, se non ci sono vampiri sbrilluccicosi, ragazze sfigate e bruttarelle che però in fondo in fondo sono speciali perché profumano, o sono state scambiate alla nascita, o hanno qualche potere particolare che nessun altro ha (e in virtù di cui conquistano er mejo der colosseo) non vai da nessuna parte. Hai voglia proporre fantascienza innovativa, o urban fantasy coi controcazzi, o steampunk, o cyberpunk: se non hai l'accoppiata sfigata/fiQuo non c'è storia.
In altre parole, quella del filtro come controllo di qualità della storia è una baggianata. Rappresentano un filtro, sì, solo quando si tratta di cassare cose che vanno un minimo al di là degli schemi ormai assodati.
Dall'altra parte, ci sono gli autori, a quanto pare liberi, finalmente, dall'obbligo di peregrinare - a volte per anni - da una casa editrice all'altra, spesso aspettando risposte che non arriveranno mai. E che, con questa storia del self-publishing vanno a nozze. Prima, avevano solo due modi per "uscire" a dispetto dei rifiuti e di un mondo nel quale è difficilissimo entrare: un editore a pagamento (con tutto quello che comporta) o un print-on-demand. I due metodi sono accomunati da un fattore: ti devi fare un culo così con la promozione. Bussare alle librerie per spacciare il tuo libro, mendicare recensioni, venderti l'anima per un briciolo di visibilità.
Con la rivoluzione digitale, questo ostacolo è stato superato alla grande: un ebook autopubblicato ha - potenzialmente - la stessa visibilità di uno dato alle stampe da una grossa c.e. e, anzi, ha un vantaggio in più.
Sì, avete capito bene: ha un vantaggio.
Perché? Perché Mondadori, Fanucci, Fazi, Einaudi, temendo di far concorrenza a se stesse, non metteranno mai un ebook a 0.99 centesimi - a parte durante l'orrida pratica dello sconto lampo - a fronte di un cartaceo che costa (quando va bene) dodici euro. Il self-publisher questo problema non se lo pone proprio: così, mentre il lettore non compra gli ebook Fanucci a sette euro (io ho preso il cartaceo di Dune a 4.90), i novantanove centesimi nell'ebook di uno sconosciuto ce li butta. Cazzo, costa meno di un caffé, ma perché no? Le grosse c.e. si danno la zappa sui piedi da sole, escludendo una grossa fetta di pubblico. E, di fatto, rappresentando una palla al piede per l'editoria digitale.
(Ah, sia chiaro: io non sono pro-digitale per via di Ultimo Orizzonte. Semplicemente, mi piace leggere. Leggerei anche sulla carta da culo, se mi fosse data la possibilità. Perciò, se con gli ebook leggo di più e spendo meno, ben venga.)
Comunque, stabilito che l'autore che si pubblica da sé ha un vantaggio, andiamo avanti: il discorso qualità del testo.
Le case editrici - quelle serie, sì - sul testo ci lavorano. Devono lavorarci. E tanto. Editing in diversi passaggi, correzione bozze e tutto quanto. E un testo lavorato dall'autore supportato da un bravo editor è senz'altro migliore di un qualsiasi manoscritto, anche di quello che ha subito diverse riscritture.
Il problema è che l'editing costa e tante c.e., sorprendentemente anche quelle grandi, lo saltano a pié pari.
Se fossimo, che so, nel regno delle favole, funzionerebbe così: l'editore cattivo manda in stampa solo libri porcate, ma gli autori bravi e coraggiosi, lo battono, auto-pubblicandosi e sfornando libri di alta qualità e che giungono così al pubblico affamato.
E tutti vissero felici e contenti.
(Sì, poi ci sarebbe la parte II, nella quale l'editore cattivo, compreso il suo errore, si redime e inizia a pubblicare cose degne di essere lette.)
Ma siccome non siamo nel regno delle favole, la questione è un tantino più complessa: nel variegato panorama delle opere auto-pubblicate ci saranno cose bellissime, che sono state ingiustamente rifiutate... ma la maggior parte saranno porcate senza vergogna, scritte da persone che non si pongono neanche il problema della qualità. Potrei farvi un paio di esempi di gente che dice "non rileggo mai quello che scrivo, l'importante è trasmettere emozioni" (e qui ci riagganciamo al volo alla tematica sole, cuore, aMMore e alla mia risposta: "dammi tre parole, vai a cagare").
In altre parole, siamo onesti: il self-publishing non è la terra promessa degli autori bravi schiacciati da un sistema editoriale che puzza di vecchio e di banale. È anche quello, in potenza, ma, nelle sue manifestazioni più eclatanti, il self-publishing è - e, soprattutto, sarà - la risposta ai più sfrenati desideri di qualunque geGno convinto di essere un predestinato della penna. 
Questo tanto per essere chiari.
Cosa penso io?
Penso che ci sia posto per tutti, a questo mondo. Mi infastidiscono le posizioni della serie "no, il self-publishing no, perché toglie spazio all'editoria tradizionale/abbassa la qualità/relega l'editing a processo opzionale".
E sapete perché? Per tre motivi.
Primo, perché non sopporto chi la fa cadere dall'alto, chi tenta di controllare cose che non ha alcun diritto di controllare. Se io voglio auto-pubblicarmi, (e non voglio, non ho il carattere giusto, ma faccio per dire), di certo non ho bisogno di chiedere permesso a nessuno!
Secondo, perché la qualità e l'editing ce li siamo già persi per strada da un po'.
E terzo perché sono stupide: il self-publishing è una realtà. Non ci si può nascondere dietro un dito: mentre quelli perdono tempo a discutere dei perché sì e perché no, la gente sforna ebook.
Tanto vale, farci i conti.
Non è l'editoria che deve farsi carico del ruolo di paladina dei lettori ignari (vedi la stronzata sulla qualità): siamo noi lettori a dover proteggere noi stessi, sia dalle puttanate che impestano il web, sia da quelle che impestano le librerie. 
Dobbiamo essere consapevoli di quel che leggiamo e di quel che acquistiamo.
Io non ho bisogno di un signor Mondadori, o Fanucci, o Fazi, o Mauri Spagnol che si assuma "l'onere" di, come dire, assicurarmi un rifornimento di libri di qualità (e che magari me lo faccia pesare). Non l'ha fatto prima, non si metterà certo a farlo ora.
Io decido quel che leggo. E quel che spendo per leggere. Alla fin fine, funziona come per la televisione: possono anche spacciarmi isole dei famosi e grandi fratelli, ma sono io quella che ha il telecomando in mano, fino a prova contraria. E se non voglio guardare trasmissioni-puttanata, cazzo, non le guardo.
Come non mi faccio abbindolare dalle stronzate spacciate come  il caso editoriale di turno, non mi faccio abbindolare nemmeno dal Pinco Pallino che si è auto-pubblicato.
Gli editori devono smetterla di pensare al popolo dei lettori come a delle galline in batteria, che trangugiano indifferentemente tutto quello che viene loro dato. 
Quanto agli autori che si auto-pubblicano, stabilito che hanno tutto il diritto di farlo, dovrebbero considerare che il self-publishing ha i suoi pro e i suoi contro: ad esempio, che sei alla mercé del tuo pubblico, senza intermediari. E c'è da prendere delle sonore stangate nei denti.
Date un'occhiata qui. Fate bene caso al punto 3: Use professional editors and cover designers to make your product as good as possible. Basically, it should be indistinguishable in quality from traditionally published books. Your cover should NOT look self-published.
Non è un consiglio scemo, comunque.

venerdì 19 ottobre 2012

Eh?

Non avevo mai guardato le chiavi di ricerca che portano qui, ma stasera ci ho ficcato il naso.
Risultato?
C'è chi arriva digitando parietaria e parietaria officinalis: scusatemi, volevate una pagina su una pianta e vi siete ritrovati in questa sottospecie di blog! Altri invece cercano notizie su Parigi e si beccano le mie disavventure nella Ville Lumiére.
Alcuni arrivano seguendo le onde del mare, altri i palombari: palombaro mm, coltello da palombaro - sono molto belli, a proposito - e scarpe da palombaro. Evidentemente, non sono l'unica appassionata, eh!
Parecchi cercano qualcosa su X-Files, usando tre varianti: xfiles, x files e x-files.
Poi ci sono i pucciosi (disegno baby taz e baby taz bacino) e chi va sulla fantascienza (millennium falcon).
Un po' di chiavi riguardano la scrittura: betareader, penna e calamaio e la mia preferita: scriverti è facile (davvero? Lusingata!).
Ma le mie preferite, quelle che mi hanno lasciato davvero perplessa, sono queste due: può darsi che non siate responsabili della situazione in cui vi trovate (ecchesfiga, allora) e per avere qualcosa che non hai mai avuto devi essere disposto a fare qualcosa che non hai mai fatto (really?).

venerdì 5 ottobre 2012

Gratis et amore dei

Da qualche giorno a questa parte, sento discutere parecchio sulla seguente questione: "i blogger vanno pagati"?
C'è chi dice di no: "Ehi, non te l'ha mica ordinato il dottore di aprire un blog e scrivere degli articoli, perché io dovrei pagarti?"
C'è chi dice di sì: "I blogger svolgono un servizio di informazione spesso migliore di certi giornalisti con tanto di iscrizione all'albo."
All'inizio non volevo entrare nel merito della questione: è complessa e spinosa. Ma sono due giorni che ci rimugino e allora, tanto vale.
A mio modo di vedere, ambedue le affermazioni sono in parte vere: è senz'altro vero che i blog nascono dalla libera iniziativa del singolo. È altrettanto vero che alcuni blogger sono più precisi e ferrati dei giornalisti, specie si tratta di argomenti che li appassionano. Ed è sacrosantemente vero che alcuni giornalisti sono dei cani a scrivere e delle persone poco oneste.
Spesso, quando sono chiamati a recensire, che so, un libro, fanno un lavoro pessimo, perché non l'hanno letto. O, se l'hanno fatto, non ci hanno messo la dovuta attenzione: troppo poco tempo, forse? O, se si tratta di narrativa fantastica, non conoscono il genere. Non hanno le basi. O semplicemente, fanno qualche marchetta... e poco importa se poi la gente pensa di comprare un capolavoro e si ritrova fra le mani una chiavica.
E che dire di quando discettano di un argomento che non conoscono e sul quale, è evidente, non hanno voglia di informarsi? Una prova? Quella coppia di post sul blog del Fatto, scritti da una giornalista che non voglio nominare, sugli ebook.
No, non ce li metto, i link: la signora e le sue "opinioni" hanno già avuto più pubblicità di quel che meritano, non darò il mio contributo.
Una voce "giornalistica" dall'alto del piedistallo ha detto che "i blogger parlano di tutto e non sanno niente".
Oooookay, come dice qualcuno che lovvo molto, zuccherino e torna nella stalla.
Ci sono persone, là fuori, che hanno i controcosi e non parlano solo per dare aria alla bocca. Un atteggiamento del genere, oltre che essere snob, dimostra una totale ignoranza riguardo alla blogosfera italiana. Come al solito, si apre la ciabatta a sproposito.
Tuttavia, al di là delle chiacchiere di gente che - questa sì - apre la bocca e dà fiato, il problema è il pubblico. O buona parte del pubblico.
Le persone che leggono e commentano ogni giorno quel dato blog e, al momento del fatidico "ma tu pagheresti?", si ritirano nel guscio come le lumache, lasciandosi dietro un bel grappolone di bollicine bianche.
E questo è un problema di mentalità. Il solito, annoso, maledetto problema della mentalità italiana. Perché noi siamo il paese dello scrocco. Il paese del "fatta la legge, trovato l'inganno", il paese dove se evadi le tasse non sei un criminale, sei un furbo. E dove si sfrutta fino all'osso prima di gettare via le persone come fazzoletti usati.
Andando sul personale, su quello che farei io, alla domanda secca: "Doneresti un euro a un blogger per sostenerlo nell'esercizio della sua attività?"
La risposta è "Sì."
Se il blog mi piace e mi interessa, certo. Penso che il valore di un prodotto vada corrisposto e non solo in termini di "visibilità" o "numero di accessi giornalieri". Ecco perché gli ebook me li compro.
Poi, oh, il mondo è bello perché è vario: non vuoi pagare perché ti rompe l'anima dare un euro - e magari ne butti quasi mille nell'iPhone 5? Perfetto. Ma dillo. Chiaro e tondo.
Tiri fuori le palle e lo dici: "No, io un euro non te lo voglio dare. Se è gratis ti leggo, se è a pagamento, faccio a meno".
Così ci risparmiamo sceneggiate della serie "no, ma perché se ti pago poi ti cala l'entusiasmo".
Infine, un'altra questione: quella relativa all'affermazione secondo cui "I blog non sono un prodotto giornalistico. Sono commenti, opinioni su fatti in genere noti: è uno dei motivi per cui i blogger non vengono pagati."
Sono rimasta a bocca aperta, incredula.
Scindiamo la questione: un po' di tempo fa, e scusatemi se ricordo male, uscì la proposta di far rientrare i blog nella definizione di "testata giornalistica", con tutti i costi e le responsabilità che questo comporta. Ecco perché anche qui, sul fondo della colonna di destra, c'è un bel disclaimer.
A prescindere da quanto bravo sia il blogger, i blog, legalmente, non sono un prodotto giornalistico. Nudo e crudo.
MA.
Ma se tu chiami dei blogger a lavorare, li paghi. Con i soldi, la moneta, il peculio, il vil denaro. Non con "la visibilità". (Meno male che sono una signora, altrimenti mi scappava detto dove ficcartela, la visibilità.)
Perché ho il dubbio che mi si stia prendendo in giro e la cosa mi infastidisce. 
La domanda sorge spontanea: se i blogger sono solo gente che commenta - e su fatti in genere noti, quindi senza nemmeno metterci l'impegno di andare a cercare qualche argomento di discussione diverso dal passaparola quotidiano - per quale ragione li chiami a scrivere? 
Delle due l'una: o sono solo persone che blaterano di tutto e niente, o sono persone che riescono a fare informazione in un modo nuovo e più al passo con i tempi. E visto che ho letto in giro di una prima infornata da duecento blogger e di una probabile seconda altrettanto consistente, mi viene da pensare che sia la seconda che hai detto (cit.).
Il lavoro va pagato, sempre e comunque. Altrimenti, è schiavitù. E la schiavitù, correggetemi se sbaglio è fuori legge da un bel pezzo.

mercoledì 19 settembre 2012

Non è un paese per giovani

Ancora una volta, il post di oggi era già scritto.
Ancora una volta, ho letto qualcosa che mi ha fatta riflettere.
Ancora una volta, cambio di rotta.
La storia è questa e, manco dirlo, è la tipica, triste storia italiana di un cervello in fuga. Quasi quasi ci siamo abituati a sentirle ed è una cosa che non dovremmo proprio permettere.
Ciò che ho trovato più avvilente è questo passaggio: “A Livorno, prima di partire avevo provato a bussare alle porte della Provincia, della Regione, per cercare di coinvolgerli in quest’avventura americana, ma ho trovato enormi difficoltà, tanta diffidenza e poca trasparenza. In California ho cenato con i fondatori di Google Earth e improvvisato con loro sedute di brainstorming davanti ad una bistecca con ai piedi un paio di infradito. E’ incredibile come, in poco tempo, riesci a parlare con tante persone che possono dare seguito ai tuoi progetti e senza nessuna fatica. Sarà perché spesso gli interlocutori sono ragazzi che non si fanno problemi a parlare di lavoro con una persona qualsiasi senza sapere da dove venga o cosa faccia”.
Non starò qui a dire che la situazione è sempre più insostenibile. Lo sappiamo tutti quanti.
Non sono più "giovane", non come questa ragazza, e ho fatto una scelta di vita differente, che comporta però un certo grado di interazione con gli Enti pubblici, entità tentacolari, aliene, che dovrebbero fare e non fanno.
Per entrare nel giro dei lavori degli Enti pubblici, spesso devi essere amico di, conoscente di, amante di, fidanzata di. O pagare la classica mazzetta. Me l'hanno fatto capire un paio di volte.
Li ho fanculizzati e ho lasciato che il lavoro se lo prendesse qualche collega con qualche scrupolo in meno e tanto pelo sullo stomaco in più. E non solo per una questione di morale, ma perché non voglio sporcarmi.
Non metto in dubbio che la corruzione ci sia anche all'estero, ma il fatto è che qui l'abbiamo resa quasi un sistema di vita. 
Ora io mi domando: ma perché?
Per quale motivo andiamo avanti solo per clientelismo? 
E, anche quando non succede, perché c'è sempre diffidenza verso ciò che è nuovo e diverso? Se proponi un progetto a un ente qualsiasi, ti guardano come se fossi scesa dalla Luna e poi ti domandano "sì, ma quanto costa?" (domanda sacrosanta, lo riconosco), mentre dentro di sé pensano "dove sta la fregatura?".
Da dove viene quest'immobilismo? Sembriamo averlo nel DNA.
Che posso dire? Che dovremmo cambiare le cose? Lo sappiamo, per noi e per quelli che verranno dopo di noi, perché, se penso di avere un bambino, non posso fare a meno di chiedermi in quale mondo si troverà a vivere.
Come? Non lo so.
Per adesso, l'unica cosa che mi viene in mente è tenere il cervello in moto ed evitare - più in là - di ricadere in questi schemi. Non diventare parte dell'ingranaggio. Senza pezzi di ricambio, ogni cosa si ferma in via definitiva.
Se volete dargli un'occhiata, questo è il blog di Caterina Falleni.

lunedì 17 settembre 2012

Pagare per pubblicare

Una delle cose che meno capisco del vasto (e per molti versi strano) mondo che ruota attorno alla scrittura è pagare per pubblicare.
Lo so che ciascuno è libero di fare quello che gli pare.
So anche che, in una certa misura, il fatto che gente paghi per essere pubblicata non danneggia altro se non le loro proprie finanze (non è del tutto vero, ma per ora facciamola semplice).
Le c.e. a pagamento sono ammesse dalla legge, perciò non si può parlare di truffa. Personalmente non mi avvarrei mai dei loro servizi.
A differenza di qualche anno fa, non mancano i mezzi per farsi un'idea di come dovrebbero girare certi meccanismi, perciò, sarò molto cinica: se non ti informi e ti fregano, sai che c'è?, ti sta bene. Te la sei cercata. Benvenuto nella realtà.
Fare lo scrittore è un lavoro come qualsiasi altro e lasciamo stare che in Italia non ci si campa, per favore: non è quello il punto. Il punto è: lo fai e vieni pagato. 

La casa editrice vuole il  testo? Paga per averlo: ci mette i soldi dell'editing, della correzione bozze, della stampa (o della realizzazione del file) e quelli della promozione. E ti corrisponde le royalties. Non è l'autore che paga loro perché lo pubblichino senza peraltro avere editing, correzione bozze e (tantomeno!) promozione.
A meno che... a meno che non sia disposto a tutto pur di vedere il suo nome sul frontespizio di un libro. Per quanto mi riguarda è folle, ma il mondo è bello perché è vario. In inglese, la pubblicazione a pagamento ha un nome ben calzante e meravigliosamente descrittivo: vanity press.
Direi che non serve aggiungere altro.
Tuttavia, quando si entra nella discussione - che sia in qualche blog o in qualche forum - c'è sempre l'autore pubblicato a pagamento che salta su, punto sul vivo.
Ogni volta, le scuse sono più o meno le stesse:
1. "anche Svevo ha pagato per pubblicare".
Sì, ma Italo Svevo era un genio, io qui attorno genii non ne vedo. E poi magari avrà pagato la stamperia, non una casa editrice che promette mari e monti e poi ti lascia con una tonnellata e mezzo di copie che ti sono costate come fossero d'oro e che non sai dove mettere perché hai esaurito il parentado cui spacciarle.
2. "in Italia fanno tutti così" 
A parte che non è vero, parliamone: in Italia la meritocrazia non riusciamo a trovarla nemmeno nel vocabolario. Significa che ci dobbiamo adeguare al (presunto) così fan tutti? Ma neanche per idea.
3. "in Italia prendono in considerazione solo i raccomandati e non gli sconosciuti".
Non si punta sugli sconosciuti: i lettori forti sono pochi, l'editoria è in crisi e si prediligono investimenti più sicuri, tipo i polpettoni YA che hanno avuto successo oltreoceano, contando sul fatto che il popolo bue risponda anche qui alla stessa maniera. Non sto dicendo che sia giusto: lo trovo deprimente e mi fa anche un po' incazzare. Mi limito a elencare i fatti.
Ma la domanda è: tutto questo rende meno stupido il pagare chi invece dovrebbe investire su di te?
No.
Se proprio il sacro fuoco della pubblicazione ti scorre nelle vene e sei convinto che il mondo editoriale sia solo per raccomandati, calciatori e veline, la soluzione c'è: autopubblicati.
Prendi in mano la situazione: costruisci qualcosa che sia davvero tuo. Non farti fregare. Adesso, con la diffusione sempre crescente degli ebook, è ancora più semplice. Non sei in grado di realizzare un .epub? Paga qualcuno perché ti prepari il file, non conosco i prezzi, ma scommetto che sono inferiori all'ammontare del contributo editoriale. E non devi tenerti in casa tonnellate di copie invendute.
Il mio personale punto di vista sulla faccenda è che non solo pagare per pubblicare è stupido, ma non c'è alcun merito nel farlo.
La tua storia non è piaciuta all'editore. Magari non l'ha neanche letta (o ne ha letto lo stretto necessario per impapocchiarti qualche discorso).
Non importa se ti ha detto che sei meglio di Stephen King! Se ti devo spillare duemila euro ti racconto pure che meriteresti il Nobel per la letteratura.
E se il merito (inteso come "qualità del testo") non è una conditio sine qua non, almeno a giudicare da cosa alligna sugli scaffali delle librerie, ecco, la tua storia non ha nemmeno il merito inteso come "potenziale vendibilità", perché altrimenti qualche c.e. o qualche agente letterario ti avrebbe selezionato al volo.
Non c'è differenza fra comprarsi la pubblicazione e comprarsi un paio di scarpe (molto, molto costose). L'unica cosa che conta è: hai abbastanza soldi o no?
Ma la soddisfazione di avere un editore - uno vero - che ti chiama perché ha letto il tuo testo (e l'ha letto sul serio) e gli è piaciuto davvero, che ti propone un contratto onesto, che lavora con te, che ci crede, oppure quella di vedere il tuo libro, quello che hai autopubblicato, che vende o viene scaricato... quella non si può comprare.
Ed è la parte migliore.

venerdì 14 settembre 2012

E-book REVOLUTION!

L'occasione è troppo ghiotta per non buttarcisi a pesce. Così, come la mia esimia Socia Sammy, ho deciso di divertirmi cinque minuti.
Allora, riassumiamo.
Sono anni che nell'italico paese ci spaccano le palle con la diatriba sugli ebook. Come se non riuscissimo a renderci ridicoli in tanti altri modi (in quello, dimostriamo una creatività superlativa).
Le ragioni addotte contro i libri digitali sono un'inarrivabile raccolta di stupidaggini, roba da farsi quasi venire la sindrome di Stendhal quando le vedi messe tutte insieme.  
La sniffata alla carta sta al primo posto, ma ci sono anche l'accarezzare la copertina, sfiorare le pagine, insomma, il palpeggiamento di volumi ai limiti della denuncia per molestie sessuali.
Poi ci sono altre obiezioni, infinitamente più sganasciose.
La lapalissiana: per leggere il cartaceo non serve il reader (no, ma un cervello funzionante può aiutare).
Quella survivalist-style, ispirata a un'interpretazione della profezia maya presa dritta-dritta da Voyager: voglio vedere in un futuro post apocalittico senza elettricità come lo ricaricate, il reader (voglio vedere se, in un futuro post apocalittico senza elettricità, stai lì a titillare i volumi o li usi come carta da culo).
Quella finta-compassionevole: ma gli anziani come fanno a leggere? (sono vecchi, mica rincoglioniti).
Quella ecologista: gli ebook reader fanno consumare corrente - per ricaricarli - e sono oggetti inquinanti - quando si rompono - perciò sono nocivi per il nostro pianeta. (Invece, abbattere alberi per procurare la carta dove verranno stampate delle immense stronzate, gli fa bene, alla cara vecchia Terra. Ma va',va'!).
I conservatori hanno scambiato i libri per i dinosauri e sono senz'altro i più isterici: noooo, il libro di carta è in via d'estinzione! (Scommetto che, potendo, torneresti alla pressa di Gutenberg, eh, tradizionalista dei miei stivali?).
E poi ci sono i finti furbi, che la buttano sulla matematica: gli ereader costano tantissimo!
Volete fare i conti? Okay, facciamo i conti.
Io sono bibliobulimica: una drogata con media di lettura da cento-centoventi libri l'anno e sono anche una di quelle che preferisce comprarseli, perché ho l'abitudine di andarli a rileggere. Sapete quanto ci ho messo ad ammortizzare i duecento euro del Sony? Sei mesi. Sei. Mesi. E non ho calcolato quanto ho risparmiato finora, ma, se devo giudicare da come il portafoglio ha smesso di darsi alla fuga in prossimità delle librerie, direi un bel po'.
Vogliamo parlare di quello che le case editrici ci offrono? Sfumature più o meno deprimenti e paranormal romance ad alta gradazione di stupidità, libri di ricette della presentatrice di turno e gli exploit letterari di chiunque abbia passato almeno cinque minuti in video. E vi stupite se la gente va in rete, si informa, cerca e compra ebook in lingua originale? (Grazie al cielo, questo rinsalda la mia fiducia nelle capacità intellettive dell'essere umano).
Gli ebook sono:
1. più comodi (prima giravo con almeno due libri in borsa, per non parlare di quanti ne mettevo in valigia, adesso cento grammi di reader e il gioco è fatto),
2. economici (in genere, non qui, dove arriviamo a prezzi scandalosi)
E, soprattutto, c'è più scelta. Fra pubblicazioni e autopubblicazioni c'è un mare di storie e aspetta solo qualcuno che vada a farci surf.
Infine, cari sniffatori, seguite il labiale: una cosa è il contenuto, un'altra il contenitore.
Se vi piace leggere, poco vi importa di farlo su un'edizione brossurata, economica, o digitale: l'importante è la storia. Ma se tirate fuori tutte 'ste mozze (profumo, palpeggiamenti, eccetera) mi viene il dubbio che leggere non vi piaccia poi tanto.
Ma la causa del lentissimo decollo degli ebook nel nostro paese non sono questi neoluddisti. Loro contano come il due di picche quando briscola è denari. Sentite qui:

"Alla scelta di centellinamento dei titoli, assurda se si pensa che ormai ogni testo nasce in formato digitale, si aggiunge una politica di prezzi ben lontana dall'obiettivo del 50% rispetto al cartaceo, che non è solo quello richiesto dai lettori ma quello necessario al mercato per decollare."

I signori sniffatori, convinti di tutta la marea di stronzate di cui sopra, stanno solo facendo il gioco di qualcun altro. Delle case editrici più grandi. Quelle che sono attaccate allo status quo, quelle che dalla rivoluzione digitale hanno più da perdere. Perché è solo una questione di soldi. Pecunia. Moneta. Volgare denaro.
Ma scusate, se possono vendervi il cartaceo a venti eurozzi, perché vi devono dare la possibilità di acquistare l'ebook a tre? Accà nisciuno è fesso! Così, pochi ebook e a un prezzo criminale (quindici euro? Stiamo scherzando!).
Ora, io mi chiedo: come lo giustifichi, un salasso del genere, tu, grande c.e.? Non certo con le spese di editing, correzione bozze, o lavorazione del testo. L'hai preparato per stamparlo: sono tutte cose già fatte. Né con quelle di conversione del file.
Risposta: non pervenuta.
In Italia siamo bellissimi, gente: "Si preferisce puntare sul modello cosiddetto «agency», in cui le politiche di prezzo, sconto e promozione vengono decise unilateralmente dagli editori, senza spazi di contrattazione per i retailer. Nasce così quel piccolo mostro che è il daily deal: l'offerta, sugli store digitali, di un titolo al giorno, deciso dall'editore, al prezzo civetta di 99 centesimi. Invece di abbassare ragionevolmente i prezzi si fanno i saldi, anzi il saldo, visto che il titolo offerto è quasi sempre unico. Come ha detto Marco Ferrario (Bookrepublic), è «il trionfo dell'acquisto di impulso, l'appiattimento delle motivazioni di acquisto», in base al quale si finisce per acquistare un libro che non interessa e spesso nemmeno si leggerà."

Invece che una politica di prezzi seria, facciamo gli sconti, venghino, venghino, siore e siori: tanto i lettori sono come le galline allevate in batteria, quello che gli diamo noi devono mangiare
E così non passa giorno che non mi ritrovi fra le mail qualche imperdibile offerta sugli ebook... e a volte sono delle solenni cagate. (A volte, però, ti compri Hunger Games a 99 centesimi, lo leggi e ti rendi conto che non valeva nemmeno quelli, figurarsi il prezzo pieno.)
Ma facciamoci una domanda: cosa succede se le galline scappano? Cosa succede se i lettori forti si comprano i libri in digitale e in lingua originale, dimostrando che della minestrina riscaldata delle c.e. non ne vogliono più sapere? Le cose cambiano. Oh, se cambiano.
Vogliamo scommettere? 


Edit: Leggete questo. E incazzatevi.

giovedì 13 settembre 2012

Chi ha paura del mostro?

Nessuno, se si tratta delle patetiche rivisitazioni che ci propinano nella cosiddetta "letteratura fantastica" young adult.
Del resto, chi prenderebbe sul serio un vampiro con gli scrupoli di coscienza, un licantropo che non perde il controllo e uno zombie con i sentimenti?
I mostri sono in pericolo gente. Avanti di questo passo, non se ne salverà uno. Dovremmo fare un Fondo Mondiale Per la Conservazione dei Mostri. Save the Monsters. Non sono fotogenici come i panda, ma, ragazzi, mi fanno quasi altrettanta pena.
Non è che non li abbiano fatti oggetto di parodia, finora: senza sforzarmi troppo e limitandomi ai cartoni animati, mi vengono in mente Il conte Dacula, o Carletto il principe dei mostri. E poi Scooby Doo. Però, i mostri di Scooby Doo - che poi non erano mai veri, ma solo il trucco di qualche malvagio per guadagni illeciti - facevano paura. O meglio, i protagonisti li prendevano sul serio. La parte più divertente erano gli inseguimenti...
Ma le parodie sono una cosa degnissima: guardate Kermit qui sopra, è talmente ganzo che vorrei la maglietta.
Ce li tiriamo dietro da millenni, se la vediamo in termini di civiltà, e da tutta la vita, se guardiamo invece al singolo individuo: il minimo che potesse succedere era esorcizzarli con la comicità.
Però, la realtà è un'altra: pensiamo alle fiabe. No, non alle edulcorate versioni targate Disney: a quelle diciamo originali (aggettivo questionabile, comunque, visto vengono da una lunghissima tradizione orale). 
Sono spaventose. Sanguinose. Piene di pericoli mortali.
Penso che, in una certa misura, servissero per insegnare ai bambini che il mondo è un postaccio e si deve stare attenti. Il punto è che le fiabe fanno paura perché ci sono dentro i mostri. E i mostri, ti mangiano. Ti mangiano sul serio.
Dalla fiaba alla narrativa fantastica il passo è breve: i mostri hanno traslocato e ci si sono trovati - scusate il bisticcio di parole - una favola. Basta pensare alla letteratura gotica e horror: spazio in abbondanza e decine di pasti appetitosi e truculenti.
Ma è quando le cose vanno bene che - PAMM! - arriva la mazzata.
Ora, io ci scherzo, ma un mostro serio, un mostro che si rispetti, deve essere brutto, sporco e cattivo. Vabbé, quantomeno cattivo.
Deve incarnare in sé il male. Questo è il suo mestiere. Così, quando l'eroe lo sconfigge, siamo tutti quanti più contenti e ci sentiamo rassicurati. È un simbolismo molto ovvio: la vittoria dell'uomo sulle sue paure.
Da dopo l'uscita di quella solenne porcata che va sotto il nome di Tuailait si sta affermando una tendenza sciagurata e allarmante che consta di due parti.
Primo: ciascuno si costruisce il proprio mostro come cavolo gli pare. Facile: si prende una tipologia e poi la si manipola senza alcun rispetto per la tradizione lunga e onorata che la riguarda. E noi, appassionati di letteratura fantastica e horror ci ritroviamo con vampiri con il veleno (sì, in Tuailait c'è anche questo), licantropi che scoppiano come pop corn e zombicelli 'nammurati. La fiera dell'improvvisazione e del pressapochismo. Nessun rispetto di ciò che è venuto prima. Nessuna cultura.
Ci sono i fondamentali. E, porca miseria:
1) I vampiri hanno le zanne e non brillano al sole. Quelli sono solo i beceri pretesti dell'autrice per giustificare il fatto che i suoi vampiri vadano in giro di giorno e frequentino il liceo per la ventordicesima volta.
2) Gli zombie non ragionano. Il mangiare cervelli freschi non li preserva dalla decomposizione. Quello è solo il becero pretesto dell'autore (o autrice, non lo so, non mi interessa), per continuare a far avere alla sua protagonista l'aspetto grazioso della Mary Sue finta normale e finta sfigata.
Inventatevi delle ragioni decenti, invece di pasticciare con i dogmi della letteratura fantastica, maledizione!
Secondo (e molto più inquietante): ai mostri vengono sistematicamente tolti tutti gli aspetti scabrosi, repellenti, malvagi, negativi. Vengono snaturati. Ripuliti. Addomesticati. Infiocchettati. Alla fine del restyling non si riesce nemmeno più a riconoscerli.
E se è pietoso e un po' imbarazzante vederli ridotti così, l'effetto è molto più profondo: perdono la loro funzione. Non fanno più paura. E un mostro che non fa paura, mi dite voi a cosa serve? È come se il loro posto, il loro ruolo, venisse cancellato dall'ordine delle cose.
E il pubblico gradisce. Perché?
Perché la negatività viene epurata a favore di una visione rassicurante, pucciosa, kawaii e infinitamente più mediocre? Vorrei tanto saperlo.
Per ora, mi sa che l'unica arma che ci resta è ridere di queste trovate. Sperando che davvero una risata li seppellirà. Possibilmente per sempre.

mercoledì 12 settembre 2012

Lasciate in pace gli zombie!

Quando ci vuole, ci vuole.
Hanno rovinato i vampiri, trasformandoli in damerini sbrilluccicosi o in macchine del sesso afflitte da solitudine conclamata (bisognose solo dell'umana che li guarirà con il suo aMMore, sì, sempre la solita vecchia sindrome della crocerossina).
Hanno preso qualsiasi accenno di spaventosa malvagità in loro e l'hanno buttato giù per lo scarico del cesso, lasciando solo quello che è innocuo e patinato.
Poi, queste maniache si sono attaccate agli angeli e ai demoni, plasmandoli come pareva a loro per soddisfare fantasie da frustrate in attesa perenne di Mr.Giusto. 
Adesso pure gli zombie?
E non bastava Warm Bodies, no. Bisognava metterci dentro la solita ambientazione scolastica per teenager americani.

Ecco qua: Maddy Swift è una studentessa normalissima e un po' imbranata, frequenta il liceo della tranquilla cittadina di Barracuda Bay e ha una cotta per il nuovo ragazzo della scuola. La sera in cui Stamp finalmente la invita a una festa è anche quella in cui la sua vita cambierà per sempre. Perché è il suo primo fantastico appuntamento? Non esattamente. Quando Maddy, tutta agghindata, esce di casa, fuori piove a dirotto. Non trova la strada per raggiungere la festa e proprio quando crede di essere arrivata a destinazione viene colpita in pieno da un fulmine. Al risveglio, si trova con la faccia in una pozzanghera, stordita e completamente inzaccherata. Ma il fango è l'ultimo dei suoi problemi. Sono quel buco fumante sulla testa, il cuore che non batte più e i polmoni che non funzionano a farle sorgere qualche sospetto. Scopre con raccapriccio di essersi trasformata in una delle creature che più la spaventano: una morta vivente. E che la sua urgenza più impellente è mangiare immediatamente un cervello fresco, se vuole evitare il poco attraente processo di putrefazione. Aiutata da due compagni zombi, Maddy non solo imparerà a gestire la sua nuova identità, ma anche a difendere se stessa, il suo amore e tutta Barracuda Bay dallo Zombi Armageddon.

Porcaccia miseria, qui siamo alla follia.
Lo zombie non è fico. Lo zombie non è brilluccicoso.
Lo zombie è in decomposizione. Cade a pezzi, sbrodola roba verdastra o marrone, puzza. 
Lo zombie non ha sentimenti. Lo zombie ha fame ed è pericoloso.
Piantatela di tentare di trasformare pure quello in uno zuccheroso principe azzurro.

P.S.: grazie alla Socia Ais per la segnalazione!

lunedì 10 settembre 2012

Non c'è padrone che ci possa comandare (alla faccia di Mr.Grey)

Non l'ho mica comprato, eh. Me l'hanno prestato. E quando leggo le recensioni avvelenate di chi ha sganciato il conquibus, beh, mi sento cooosì furba... no, non è carino da parte mia.
Riassumiamo: è una ciofeca di libro, una fanfiction stupida basata su una storia originale altrettanto stupida. E, per inciso, il tanto chiacchierato mommy-porn spara a salve. Parecchio.
In definitiva, è solo un libro scritto male fra innumerevoli altri, sbandierato come caso letterario.
Niente di nuovo sotto il sole.
E allora perché parlarne? Perché volevo dire la mia, ma...
Non da scribacchina.
Non da lettrice.
Da donna.
Quand'ero piccola, ogni tanto succedeva che mi regalassero un bambolotto. Mai capito per quale ragione ci si aspettasse da me che giocassi a fare la mamma. O la casalinga.
Ecco, oggi non capisco perché ci si aspetta che rimanga impressionata da una storia d'amore nella quale una donna consegna virtualmente le chiavi del suo cervello al primo tizio che capita. Uno che le dice quanto, quando, e come mangiare. Le sceglie i vestiti. La macchina. Il telefonino e il computer. Decide che tipo di anticoncezionale deve usare. Decide che deve usare un anticoncezionale. Se sgarra la sculaccia. E lei, invece di mandarlo a farsi friggere per direttissima, di consigliargli uno specialista, o di denunciarlo per abusi, che fa? Gli obbedisce compunta e gli è pure grata. E tutto questo perché? Perché è bello. E ricco. Una così andrebbe internata.
E poi fatemi capire: una robaccia del genere dovrei trovarla romantica?
Ma quello che proprio non mi spiego è il successo internazionale. Il passaggio di bocca in bocca. Donne entusiaste che dichiarano eterno amore per Mr. Grey, il quale di sfumature non ne ha manco mezza e che io non vorrei nemmeno in pacco regalo.
Okay, c'è di peggio che sognare uno strafico che ti regala tutto quello che tu abbia mai desiderato e anche qualcosa di più. Ma, ehi, nessuna sente puzza di morto? No?
Allora vi racconto una storiella.
C'era una volta, tanto tempo fa, il principe azzurro. Bei tempi, quelli: la principessa andava salvata - ché si trovava sempre in qualche casino, manco per colpa sua, poraccia, ma per esigenze di scena, o per congenita stupidità, o solo perché la tenevano chiusa nel castello con un livello di istruzione molto basso - e... come dire? È uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo.
La morale della favola era "accetta pure le mele da vecchiette sconosciute, tanto poi ci pensa qualcun altro a tirarti fuori dalla bara". Ti sposa anche, guarda che culo.
Poi le cose sono cambiate: le donne hanno iniziato a farsi strada da sé e hanno smesso di aspettare che qualcun altro provvedesse a loro. Quando gli è andata bene, il principe ha dovuto ripiegare su un part-time, nei casi peggiori è  rimasto disoccupato.
Ma, in silenzio, attendeva l'occasione per un ritorno in grande stile. È stato furbo, il principe azzurro: ha studiato moda e costume ed è diventato meno zuccheroso e più bad boy. Si è riciclato, adeguandosi ai tempi, ma sotto-sotto è sempre il solito, vecchio cadavere. La donna è tornata a essere un premio, un pretesto, un qualcosa da proteggere. Nei paranormal più beceri addirittura una proprietà da marchiare. Non pensa, non ne ha bisogno: c'è chi lo fa al posto suo.
Cinquanta sfumature di grigio non è un sogno. È un incubo. Un incubo maschilista e retrogrado. Qualsiasi donna dotata di cervello funzionante dovrebbe fuggire urlando da Mr.Grey, altro che "oh, vorrei un Christian tutto per me".
Ripensandoci, anche io lo vorrei, sì. Per togliermi la soddisfazione di prenderlo a calci nel sedere.
E poi, scusate. Prendiamo la frase "simbolo" del libro: "Io non faccio l’amore: io fotto… senza pietà"
Ma diciamocelo: una cretinata del genere regge solo (e a malapena) perché questo è strafico.
Immaginatevi una persona qualsiasi, un maschio beta, che vi dice una roba così e due sono le cose: o gli scoppiate a ridere in faccia - rovinandogli la messa in scena e ammosciando tutto l'ammosciabile - oppure inarcate il sopracciglio e: "Ah sì? Quella è la porta".