Visualizzazione post con etichetta pessimismo e fastidio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta pessimismo e fastidio. Mostra tutti i post

giovedì 22 settembre 2016

Oggi è il Fertility Day e non c'è un cazzo (letteralmente) da festeggiare.

Ai miei tempi, ti diceva culo se, quando ti venivano le mestruazioni la prima volta, era già successo a una tua amica, almeno avevi un'idea di quel che stava succedendo e non pensavi di morire dissanguata alla vista di quelle macchie nelle mutande.
Ai miei tempi, ti diceva SOMMO culo, se tua mamma ti aveva avvisato prima di quel che poteva succederti.
Ai miei tempi, ti diceva  FANTASCIENTIFICO culo se mamma ti informava che no, non era dalla pancia che veniva fuori tutta quella roba, ma dall'utero (e tu non sapevi neanche di avercelo, un utero, figuriamoci tutto il resto).
Ai miei tempi ti diceva APOCALITTICO culo se mamma si prendeva la pena di spiegarti che c'era uno stretto legame fra mestruazioni (o meglio, 'le tue cose') e il fare bambini.

[Dopo (che ti fosse venuto il coccolone o meno, che avessi pensato di morire dissanguata o meno), mamma ti spiegava che sarebbe successo una volta al mese e te le dovevi tenere tutta la vita e benvenuta nel mondo dei grandi.]

E non c'è neanche da fargliene una colpa, a queste mamme, perché magari certe cose non le sapevano nemmeno loro. Perché, che accidenti ne potevano sapere le loro mamme - che avevano forse la terza elementare, avevano passato una guerra e vissuto in un'epoca storica nella quale c'erano cose più serie cui pensare tipo mettere insieme pranzo e cena?
Onestamente?
Non credo che oggi le cose siano cambiate poi tanto, ma questa è una sensazione mia, non basata su dati oggettivi e prendetela per quel che vale. 
Con la differenza che noi non abbiamo la terza elementare a stento. Non abbiamo vissuto una guerra. E abbiamo accesso non solo a un'istruzione, ma anche a una massa di dati e informazioni così grande che a stento riusciamo a concepirla.
Non è che sto qui a tediarvi con le mie reminiscenze di quarantenne così tanto per.
È che oggi è il famigerato Fertility Day.
Sorvolerò sulle pernacchie che il Ministero (nella persona della sua titolare) si è presa dall'universo mondo, virtuale e non, italiano ed estero, giudicate da soli se se le sia meritate o no.
Il fatto è che quello della fertilità, o meglio, dello spettro della crescita zero che si avvicina sempre più, è un grosso problema.
Facciamo pochi figli, li facciamo tardi, siamo disinformati su tutto quello che concerne la fertilità (e, secondo me, la sfera sessuale in genere) e l'Italia diventa sempre più un paese di vecchi.
MA.
Ma non è così che si approccia la questione.
Prima di tutto, ci si deve rendere conto che il problema 'fertilità' necessita di un approccio multidisciplinare: non solo sanitario, ma anche sociologico ed educativo - tanto per dirne un paio.
Perché c'è un'enorme confusione anche solo su una cosa apparentemente semplice come il ciclo mestruale: sì, in media 28 giorni, ma come si contano? Quali sono quelli fertili? Quali sono le varie fasi?
E il machismo italiano - parliamo dell'altra metà del cielo per una volta  - non aiuta. Una volta, per esempio, ci pensava la visita militare a diagnosticare il varicocele, una patologia che, se trascurata, può portare all'infertilità. Adesso... adesso mentre le ragazze - quelle più informate, quelle con una mamma consapevole - vanno dalla ginecologa, i ragazzi non vedono un andrologo a meno che non ci siano problemi gravi. Le ragazze si fanno controllare, ma per quanto riguarda i ragazzi si dà per scontato che tutto funzioni bene e no, non sempre è così.
Parliamo di educazione. Di educazione sessuale
Che andrebbe fatta nelle scuole, perché l'età cui ci si approccia al sesso è sempre più precoce e questi ragazzini sono del tutto inconsapevoli dei rischi che corrono e non sto parlando di gravidanze indesiderate, ma di malattie sessualmente trasmissibili.
Anche a me hanno detto e ripetuto che 'si deve aspettare a farlo con la persona giusta' e ' non ci si deve buttare via', ma (possiamo essere d'accordo o meno), non è una buona scusa per lasciare che i nostri figli si avventurino in questo territorio inesplorato privi delle minime nozioni e della minima consapevolezza.
Non si può nascondere la testa sotto la sabbia a questo modo, c'è la loro salute, in ballo.
Eppure, no, non riusciamo ad avere l'educazione sessuale nelle scuole perché i cattogenitori ogni volta si ribellano... come se i loro figli non ci finissero, nei casini.
E poi - la faccio breve - è un problema sociale.
Di emergenza sociale.
I figli costano, costano tanto. Fa male dirlo, ma i figli sono un lusso.
Mancano le tutele, le strutture, le politiche di supporto alla famiglia. Manca la sicurezza, del presente e del futuro.
Infine, è anche un problema sanitario e permettetemi una parentesi: che ci vogliamo aspettare da un paese che consente agli obiettori di coscienza di fare i ginecologi?
Io, l'ho già detto, ho esperienza di infertilità e so cosa vuol dire iniziare un percorso di procreazione medicalmente assistita in Italia. È pesante, psicologicamente pesante.
Senza entrare nel merito della legge che la regolamenta - abominevole - dirò soltanto una cosa: ci sono tempi d'attesa biblici. Mesi e mesi in lista.
Ti capita di chiamare per prenotare la visita per la redazione del piano terapeutico di stimolazione ormonale e sentirti dire 'non ci sono posti liberi, deve provare a richiamare fra un po' di tempo, vediamo se si sono riaperte le liste'. Intanto il tuo orologio biologico ticchetta sempre più forte e tu sei lì, al palo, costretta ad aspettare le lungaggini di un sistema sanitario che - evidentemente - non funziona.
Se hai i soldi, scappi all'estero.
Se non ce li hai, continui ad aspettare e, nel frattempo, ti disperi e invidi ogni pancione, ogni carrozzina, ogni passeggino.
E poi un giorno arriva il Ministero della Salute italiano (gestito da una che ha fatto due gemelli a 44 anni e che, si suppone, certe cose le capisca) e ti schiaffa in faccia una cartolina con una tipa che si tiene la manina sulla panza, ti mostra una clessidra e accanto ha una scritta a caratteri cubitali :"La bellezza non ha età, la fertilità sì".
(Sorvoliamo sulle altre, quella del figlio unico è agghiacciante.)
Non ci vogliamo sentire neanche un po' presi per il culo?
In conclusione, oggi è il Fertility Day.
Ma siccome io ho quarant'anni, mi ha già detto culo - ma tanto tanto culo - di farne uno, di figlio, e di un altro, ammesso che venisse, non se ne parla perché non ce lo possiamo permettere, fingerò di non saperlo. 
E domani, come ogni venerdì, mi ricorderò di sostituire il cerotto anticoncezionale.

giovedì 23 giugno 2016

In vacanza da Facebook e altre cose.

C'è una storia mezza scritta.
Una storia in prima persona, ambientata in un altro stato e in un altro tempo. 
È una storia che manca dell'ambientazione perché, nel raptus di lascrivolascrivolascrivo, ho scientemente trascurato la fase di documentazione. 
La faccio dopo, mi sono detta. 
Solo che poi quel dopo... vabbé di quello ne parliamo, ah, dopo.
C'è un social network. Uno a caso che inizia con la effe. 
Non volevo nemmeno usarlo, anni fa. 
Poi mi sono iscritta e per un po' è stato anche divertente.
Ora non lo è più. È solo stupido, vano e irritante. 
Mi sono accorta che mi arrabbiavo un giorno sì e l'altro pure. Che la mia già scarsa fiducia nel prossimo veniva puntualmente ridotta a zero dalla massa di cretinate e dall'invasione di analfabeti funzionali e bufalari. Che fondamentalmente non me ne frega un cazzo.
Non me ne frega un cazzo di tutta quella massa di fattacci altrui. Mi interessano alcuni blog amici - quelli che scrivono cose interessanti e intelligenti. Il resto è fuffa.
Non ne vale la pena. 
Ho tolto l'applicazione dal telefono, visto che usavo solo quella. 
Sto meglio.
Ho scoperto che non è affatto male, essere meno social. C'è modo di tenere i contatti anche senza social network. A volte il ritorno al passato è auspicabile. 
E la storia? Tutta la rabbia e il disgusto per le quotidiane dimostrazioni di pochezza umana e intellettuale mi hanno dato una bella spinta e quel 'dopo' è diventato 'adesso'. 
Ho una scadenza da rispettare: quattro mesi sembrano tanti e in realtà sono pochissimi.
Il 17 settembre devo aver concluso questa fase.
Almeno un'ora al giorno di studio. Quando posso, quando Davide dorme o è con suo papà.
Sto seguendo dei corsi universitari attinenti - usando il meraviglioso Open Culture (se volete sapere di cosa si tratta, leggete qui). Insomma, l'ho presa seriamente.
Il tempo che non passo su quel social network, quello con la effe, è impiegato decisamente meglio.


martedì 21 giugno 2016

Sick of it all

Oggi ho ricondiviso su Fb un post di Alessandro Girola che vi linko qui.
Il fatto è che... non avrei saputo dirle meglio, certe cose.
Io sono stanca. Sono stufa. E l'unico motivo per cui non chiudo il mio profilo Fb è che sono in contatto con persone interessanti, con le quali intavolo produttive discussioni via messenger. Che gli aggiornamenti dei loro blog sono per me fonte di approfondimento e diletto.
Però, in un bilancio costi/benefici, il fatto è che per quattro persone interessanti (dico quattro, ma sono di più), mi trovo in home page una marea di stronzate, bufale, post irritanti e stupidità assortite. E non ce la faccio più.
Non me ne vogliate, ma sono stufa di gattini e cagnolini in difficoltà con una pletora di commenti stile "piccolo amore vedrai che troverai una mamma presto" e "adottatelo vi prego!" e "ma come si fa, qualcuno lo aiuti"... qualcuno? qualcuno chi? non tu, che ti sei lavata la coscienza con una riga su Fb. Oppure, e io lo odio, il "corri felice sul ponte dell'arcobaleno". Ma quale arcobaleno? Quale ponte? Gente che, di fronte a un animale maltrattato, si lascia andare a commenti che mi lasciano basita:robe tipo "io a quel bastardo maledetto infilerei chiodi negli occhi", poi vedi il profilo ed è una mamma dall'aria dolce con un paio di pargoli. Ma che è? Personalità multipla? Veramente dietro quella facciata alberga tutto quell'odio? I maltrattamenti fanno incazzare anche me, ma questo genere di persone mi spaventa.
E le polemiche. Volontari che si fanno il mazzo, ci mettono soldi, tempo, fatica, patemi d'animo e poi arriva il primo analfabeta funzionale che passa, decide di ammannire un po' della sua sapienza sulla questione (non può esimersi) e polemizza.
Che altro?
Gli immigrati che stanno in hotel di lusso (ma veramente ci credete, voi? oltre che aver affrontato la morte, oltre ad essere sradicati, soli, in balia dell'aiuto altrui, questi si devono anche beccare l'odio fomentato on line? ma non vi sentite neanche un po' delle merde?), mamme vegane o talebane della tetta pazze da legare (e a cui revocherei la patria podestà), fashion victim di turno che ripostano le pIrle di saggezza della starlette del momento, chi posta tettone in pose equivoche (seriamente vi eccitano quei due meloni plasticosi e quelle pose volgari?), leoni da tastiera che tuonano contro la Kasta!!!111!, antivaccinisti dell'ultim'ora e via così in una Corte dei Miracoli dell'idiozia, una giostra folle in cui vince chi urla più forte.
Devo prendermi una vacanza da tutto questo. Perché lo spettacolo men che mediocre dell'italietta 2.0 sta distruggendo quel poco di fiducia nel genere umano che mi è rimasta.
Dice là fuori è un altro mondo. Ok, ma io sono qui. Sono in Italia. E sto perdendo la speranza.

lunedì 6 giugno 2016

Ridatemi un mondo analogico!

Forse essere mamma vuol dire che ti parte l'embolo mediamente molto prima rispetto a quando non lo eri.
Sarà la mancanza di sonno? Sta di fatto che ultimamente lo spettacolo che la varia umanità di Facebook dà di sé mi fa venire una gran voglia di mondo analogico.
Seriamente, non so proprio se il signor Zuckerberg abbia fatto un favore all'umanità, inventando Facebook. Propendo per il no.
Chiariamo una cosa, sui social ci sto molto meno, ultimamente (e meno male), ma l'occhiatina ci scappa comunque. E, com'è come non è, mi ritrovo sempre più spesso a pensare che un bell'asteroide sarebbe una gran soluzione.
Ieri, per esempio, uno dei miei contatti commenta una palese bufala: Bruxelles ordina che da settembre ciascuno di noi ospiti in casa un immigrato. Commenta dicendo (testuale): non mi stupisco di chi scrive certe cose, ma di chi ci crede sì.
La pagina Fb è legata a un sito con un nome che è tutto un programma: italianosveglia (no, non ce lo metto, il link. Non sia mai che gli porti anche solo una visita).
Che poi, concordo eccome: l'italiano si dovrebbe svegliare ma non nel senso inteso dai fondatori del sito.
Apriamo una parentesi: è un sito sul quale chiunque può scrivere un articolo e postare. E quando dico "chiunque" intendo proprio "chiunque". Senza fonti, senza controllo, in pratica un inno alla diffusione delle palle.
Se vai a leggere l'articolo (vabbé, chiamalo articolo), scopri che a Bruxelles due politici, l'italiano Alvaro Viziali e il tedesco Norris Chuck sono i padri fondatori di una legge in virtù della quale, da settembre, ogni famiglia deve ospitare un immigrato. Avete fatto caso ai nomi? Sono scritti una riga e mezzo (toh, facciamo due) sotto il titolo. Ma niente, ai leoni da tastiera in odore di razzismo (e sono tanti) è sufficiente il titolo, anzi, no, la parola 'immigrato'. Come i tori quando sventoli la muleta, questi partono a testa bassa in un tripudio di banalità, rancore, odio e italiano sgrammaticato. Un distillato di analfabetismo funzionale, presunzione ed egoismo che ti stende morta entro pochi secondi.
Questa gente non si merita un cazzo.
Poi ci sono i gruppi Facebook, altra invenzione geniale (si fa per dire). Ora, anche io sono in qualche gruppo (riguardante scrittura e lettura). Ogni tanto qualche contatto maleducato mi aggiunge a tradimento ad altri, io mi tolgo, questo mi riaggiunge, io mi ri-tolgo e via così fino a che non la capisce e la pianta.
Però.
Però ci sono alcuni gruppi che sono un covo di disfunzionalità e psicopatia. E il peggio è che, una volta, certi elementi rimanevano isolati nella loro follia. Adesso si ritrovano e si danno man forte in un crescendo di delirio che, in alcuni casi, sulle prime fa ridere, alla lunga ti fa preoccupare.
Come la querelle delle mamme vegane contro l'invidia. Non la conoscete? Ecco, leggete qui, poi non riuscirete più a smettere fino a che non avrete divorato tutte le puntate.
Queste persone esistono. Non sono troll, non lo fanno per far ridere, né per far parlare di sé. Certe cose le pensano davvero, le fanno davvero. E, che è peggio (come diceva Quattrocchi), si spalleggiano.
Il problema non è che sono vegane, è che manca loro del tutto il buonsenso. (Che poi fra la mancanza di buonsenso e il veganesimo ci sia un rapporto di causa-effetto non tocca a me giudicare).
Perché se il tuo cane si sente male e sporca in un negozio (a prescindere dal fatto che dovresti portarlo dal veterinario e non fargli fare tre giorni di riposo sperando che guarisca, povera bestia), tocca a te pulire e la commessa non è cafona perché ti porta il mocio. Questa è semplice buona educazione, cazzo. E, una volta, ti avrebbero fatto notare che le tue pretese erano non solo sbagliate e ingiuste ma anche profondamente maleducate. Lì dentro c'è gente che fa la ricotta con il latte materno e la spaccia alla vicina convinta pure di averle fatto un gran dono.
C'è gente - giuro - per la quale essere vegana è tentare di rianimare (non ho idea di come) un moscerino che è cascato nel bicchiere di succo di frutta. Gente che viene (ovviamente) guardata con perplessità dagli altri avventori e che per questo si sente... confermata nella propria vocazione. Mi guardano male perché sono vegana e tengo alla vita. Ma io, anche se tutti mi tirano sassi, continuo per la mia strada perché sono nel Giusto. Perché ho la Verità in tasca. Sono martire e discriminata (e mi piace tantissmo, mi fa sentire coooosì importante), ma difendo la vita. Praticamente, un'eroina. Giovanna d'Arco mi fa una pippa.
No. Ti guardano perplessi perché vedono una che tenta di fare massaggio cardiaco a un moscerino.
C'è gente che alleva bambini vegani, fruttariani, crudisti e chi più ne ha più ne metta, svezzando neonati col latte di banana e fottendosene allegramente del bilanciamento della loro dieta. Tutelate la vita, ma a quella di vostro figlio non ci pensate? Ma lo sapete che potreste causare dei danni? E si sentono così fieri, così virtuosi, così una spanna sopra noi mangiacadaveri...
Mamme che mandano le bambine alle feste di compleanno ma le dotano di pizze vegane perché non sia mai che mangino quello che mangiano gli altri bambini. Perché tutte le altre mamme sono incoscienti e sventate tranne loro.
Mamme in cura dallo psichiatra che, quando questo fa notare che allattare un bimbo di QUATTRO ANNI è patologico, rispondono che non capisce niente. E qui parte il coro di commenti delle supporters: non tornarci più, da questo. Patologico è il suo cervello. Non è preparato sulla questione, perché mommy knows better. Che loro allattano fino a che il bimbo dirà che la tetta non la vuole più. Ma quando succederà? Quando va alle medie?
E poi ci sono gli antivaccinisti. Quelli che hanno preso una laurea in medicina su Fb. Quelli che ti citano studi a sostegno dell'antivaccinismo, ma non dicono mai fatti da chi. Quelli che si curano con la luce, i numeri, l'omeopatia, insomma con tutto tranne le medicine. E che curano i figli nello stesso modo. Prendere la polemica fra il virologo Burioni e l'accoppiata Red Ronnie-Eleonora Brigliadori a Virus, qualche settimana fa. Hanno dovuto fare una puntata di 'riparazione' tanto è stata scandalosa la conduzione.
Rendiamoci conto che una trasmissione RAI (quindi pubblica, quindi pagata anche da me) invitato un virologo di fama, un professore universitario e poi l'ha lasciato in balia dei delirii di un ex-dj ammuffito e di una starlette posata, senza dargli neanche la possibilità di replicare. (By the way, Red Ronnie si è dedicato anche alle scie chimiche, ultimamente. Chiamando a supporto della sua tesi... il cantante degli smashing pumpkins, la principessa saudita - non altrimenti specificato -, Beck, Prince, i Muse e non so chi altri. Tutta gente che ha fatto della scienza una carriera, certo).
E dall'altra parte dello schermo - e dall'altra parte del monitor - c'è una pletora di gente che non è in grado di comprendere un testo scritto, né quello che gli si sta dicendo. Gente che non aspetta altro se non l'imbeccata facile, la pappa predigerita, senza sforzare (non sia mai!) il cervello.
Queste persone vivono. Queste persone votano. Queste persone fanno danni.
E io sono stufa, sono spaventata, sono disorientata. Perché i figli di questa gente saranno i futuri compagni di scuola di Davide e come faccio a impedire che venga trascinato al loro livello?

"I social media hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli, i quali prima parlavano solo al bar dopo due o tre bicchieri di rosso e quindi non danneggiavano la società [...]. È gente che di solito veniva messa a tacere dai compari e che adesso invece ha lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel."

Avevi ragione, Umberto. Come sempre.




sabato 16 gennaio 2016

Il risveglio della forza un mese (e più) dopo

Ok, è passato più di un mese, tutti sanno tutto di tutti e quindi se ne può anche parlare.
Del Risveglio della Forza, intendo.
Quanto a me, ho avuto tempo per pensarci su... anche se meno di quanto credete (il post è programmato per l'uscita, ma lo sto scrivendo il 21/12. Tecnicamente, vi parlo dal passato. Fico, no?).
Dicevo, meno di quanto credete, non solo per via di quella cosetta del post programmato, ma soprattutto perché non mi ci è voluto tanto a capire che no, non sono soddisfatta.
Perché?
Per diverse ragioni, prima fra tutte la sensazione di 'già visto'. In pratica, siamo di fronte a un remake di Episodio IV senza epicità e con molti WTF in più.
Ora, Ep.IV è il mio preferito, quindi so di essere di parte, ma con tutti i difetti (per esempio, una trama banalotta e semplicistica), stava in piedi.
Mi spiego: tanto tempo fa c'era una Repubblica. Poi c'è stato un colpo di stato ed è diventata un Impero - oppressivo ecc ecc adesso non ci interessa - ad alcuni non stava bene ed ecco che è venuta fuori la Resistenza.
Semplice ma logico.
Prendiamo Ep.VII: è tornata la Repubblica, ma c'è anche un Primo Ordine, che conta come il due di picche quando briscola è denari ma rompe le palle, e c'è una Resistenza. 
Ma perché?! Voglio dire, se il sistema di governo è la Repubblica, deve essere quella a combattere le spinte destabilizzanti del Primo Ordine. Sarebbe come se tornassero i Nazisti e il nostro governo, anziché usare le sue proprie risorse (legge, polizia, esercito), stesse a guardare mentre i partigiani combattono.
(...perché questa cosa mi suona minacciosamente plausibile?...)
Sono io o non ha molto senso? Forse perché per attrarre i vecchi fan c'era bisogno della Resistenza? Poteva essere fatto in altro modo (sì, lo so, sembro uno di quegli appassionati di calcio che la domenica si sente tanto allenatore): se parliamo di un Impero Galattico, parliamo di una struttura enorme, di una grandezza quasi inconcepibile. Va da sé che, anche se l'Imperatore è stato ammazzato, non ci voglia un giorno per smantellarla. Ci poteva stare che, trent'anni dopo, la Resistenza stesse ancora lottando con quel che resta del vecchio sistema.
Invece no: hanno rimesso su la Repubblica e poi sono stati costretti a 'inventare' un nemico nuovo di zecca... che però è la brutta copia del vecchio.
E poi sentite qua: ma perché a fare il lavoro di una spia - cioè recuperare il pezzo di mappa - viene mandato, invece che una spia, il miglior pilota da combattimento della Resistenza? (Non è male, il personaggio di Poe. Solo, si vede troppo poco).
Oh, a me non torna neanche questo!
Poi c'è l'affaire della spada laser di Luke.
Della spada azzurra. Sì, quella che aveva perso quando Dath Vader gli ha mozzato la mano. Come tutti i fan sanno, lui ne Il ritorno dello Jedi ne usa una verde. Perciò... che diavolo ci fa quella azzurra nel forziere di Maz Kanata? E poi, Santo Cielo, che è 'sta cosa che 'chiama' Rey, quando Luke stesso, la prima volta che l'ha presa in mano, non ha sentito un accidente?
Magari poi Abrams mi darà un'ottima ragione per ricredermi, ma, ora come ora..

L'immagine viene da qui: http://www.memegen.it/meme/tom0jy
Fra i WTF sparsi ci sono: il personaggio di Finn (insulso, della sua sorte non me ne può fregare di meno), Rey che diventa padrona della forza perché sì e loro due che combattono con la spada laser come l'avessero sempre fatto. Prima volta che la prendono in mano ma, oh, menano mazzate di morte, tanto da mettere in difficoltà Kylo Ren.
Ah, Kylo Ren.
Che fosse il figlio di Han e Leia non è stata una gran sorpresa, perché una strizzata d'occhio all'universo espanso me l'aspettavo.
Quel poveraccio dell'attore è stato perculato dal mondo intero. Per la faccia, capite. Lo ammetto, quando si toglie la maschera sono scoppiata a ridere pure io. Cielo, è un cattivo con il nasone e le orecchie a sventola.
Però, voglio spezzare una lancia in  suo favore: secondo me l'attore è bravo perché usa tantissimo - e bene! - la sua fisicità. In fondo, sta sempre con il volto coperto (sì, sì, menomale), la voce è distorta dall'altoparlante (vorrei sentirlo in lingua originale, comunque) e non può usare altro se non il suo corpo.
Oh, secondo me lo fa bene: è imponente e minaccioso il giusto. Riesce ad avere un'aura di inavvicinabilità e solitudine che effettivamente si percepisce.
Non è colpa sua se gli  hanno scritto una parte da bimbominkia e le crisi di rabbia lo fanno sembrare - l'ho già detto - il Principe Giovanni di Disney.
Poi sapete che cosa non capisco?
Ma perché uno che si auto-esilia dovrebbe spargere indizi per farsi ritrovare? Ora, sarò scema io, ma due sono le cose: o dici dove sei a qualcuno della tua famiglia, oppure non dici un accidente a nessuno.
Mettiamo che Luke si senta in colpa per aver fallito con il nipote e, in un disastroso domino, di aver spacciato il matrimonio della sorella e del cognato. 
Con un epic fail così sulle spalle ci potrebbe stare che sparisca dalla faccia della Galassia senza avvisare Leia.
Tantomeno Leia.
(Che poi... ma solo a me ha fatto una brutta impressione sentire Han dire a Leia "C'è troppo di Vader in lui?". Ok, Kylo è un cattivone... ma a quante e quali pressioni è stato sottoposto, 'sto poveraccio?)
Parliamo della Starkiller.  
Ancora una base gigante? 
Ancora una Morte Nera pompata di steroidi? 
E, soprattutto, ancora una roba che fai saltare un unico minuscolo pezzo (perché stiamo parlando di un pianeta, cazzo!) e tutto va a farsi friggere?
Cattivi, non avete proprio imparato niente, eh!
Ma lo sapete qual è, secondo me, il WTF gigante, il papà di tutti i WTF del film intero?
Allora, 'sta cosa ha un punto debole: sarebbe logico tenerlo assolutamente segreto, no? Una roba da uccidere il team di ingegneri progettisti per proteggerlo. E invece lo sa perfino un addetto ai cessi.
Un-addetto-ai-cessi.
Arriviamo al dunque.
Ci hanno ucciso Han Solo.
Lo sapevo, eh. Me lo aspettavo, che sarebbe successo qualcosa del genere. Speravo che avrebbero sacrificato qualcun altro, ma ho abbandonato la speranza quando ho visto come Rey pilotava il Millennium Falcon nella fuga da Jakku. 
Stabilito che Harrison Ford è una spanna sopra gli altri e vederlo riprendere il ruolo è una gioia per gli occhi perché anche trent'anni dopo Han resta Han ed è sempre il solito casinaro, io mi domando: perché?
Per dare una 'spinta emotiva' a Rey - un po' come era successo a Luke con Obi-wan? Ma datele un calcio in culo, non state a uccidere l'unico personaggio sensato di tutto il carrozzone!
Per completare la 'caduta' di Kylo Ren/Ben Solo?
Non lo so... so solo che, alla fine, vedere Rey pilotare il Falcon, con Chewie come copilota, mi ha fatto lo stesso effetto di vedere River pilotare la Serenity... con la differenza che, in qualche modo, River quel posto se l'era guadagnato.
Che resta, ancora, da dire? Che non si capisce come faccia R2-D2 a svegliarsi proprio al momento giusto (ma spererei in una solida spiegazione). Che C3-PO è insentibile con questa nuova voce. Che Leia ha il suo fascino e il suo perché, anche se fa una comparsata da niente.
Sì, ci sono gli X-Wing e sono sempre fighi. Ci sono i TIE e sono fighi pure quelli. Ci sono gli Star Destroyer e un mucchio e mezzo di citazioni dei film precedenti.
C'è BB8 - che, lui sì! - , mi è piaciuto un casino e mi ha fatto ridere di gusto.
Tutto sommato, si poteva pure andare a vederlo, questo film. 
Ma le mie aspettative - altissime - sono state crudelmente deluse.

mercoledì 25 febbraio 2015

Un ragazzo qualsiasi


L'immagine viene da qui
Una delle cose che mi fanno escludere a priori l'acquisto di un libro - ma stiamo larghi, pure l'occhiata all'estratto gratuito - è questa frase:

Tizio è un ragazzo qualsiasi

Buona parte della letteratura in vendita - e sto parlando di generi che spaziano dallo young adult al paranormal romance, passando per cinquanta sfumature di fentasi idiota - ha una sinossi che inizia con quelle parole.
Ecco, no.
E vi spiego anche perché.
Perché siamo tutti diversi e ciascuno di noi - senza eccezione - ha in sé qualcosa di speciale. Qualcosa che lo distingue e lo rende unico. Magari è una cosa piccola, come un particolare bernoccolo per, che ne so, fare decorazioni da tavola, non è che serva essere un genio della matematica o un artista eccezionale.
Ma ce l'hai solo tu. Siamo oltre sei miliardi, su questa terra... e non c'è un altro uguale a te.
Se definisco una persona "qualsiasi", è come se dicessi che è trasparente. Si confonde nella massa. Non ha niente, ma proprio niente di speciale. Triste, vero?
Adesso applichiamo la cosa a un personaggio.
I personaggi, per quanto ben delineati siano, devono - devono proprio - avere qualcosa di unico, direi di paradigmatico.
Non leggiamo storie per sentirci raccontare del macellaio sotto casa e della sua vita noiosa fra negozio, casa e serate di fronte ai telequiz. Leggiamo storie che parlano di esperienze fuori dal comune che capitano a persone che hanno in sé qualcosa di diverso, che magari neanche loro all'inizio sanno di avere, per cui le esperienze finiscono per cambiarle. 
Magari in peggio, ma le cambiano.
Se lo scrittore - o la scrittrice - mi dice, già dalla sinossi, che il protagonista è qualsiasi, mi sta dicendo che è uguale a mille altri. Che non ha nulla che lo distingua, neanche l'abilità di fare centrotavola.
Penso che sia uno dei peggiori modi di presentare un personaggio.
Non è ancora entrato in scena, di fatto il lettore non ha ancora aperto il libro, e già è stato bollato.
Ma che razza di credibilità posso attribuirgli?
A me non interessano le vicende di un tizio, o di una tizia, uguale a mille altri! A me interessano le vicende di una persona che ha un carattere ben definito, delle abilità, dei gusti. Che magari cucina malissimo ma è un genio a fare i centrotavola (sì, ora la smetto, coi centrotavola).
Quindi, anche solo per questo, senza andare a considerare l'errore di utilizzare aggettivi generici e che non dicono nulla, lo scrittore ha toppato. Dimmi che tizio è un impiegato insoddisfatto, dimmi che fa il gelataio e sogna di sbarcare a Hollywood, dimmi che è un buttafuori con la passione dei gatti, o uno studente liceale che scrive di nascosto per non essere preso in giro.
Abbi pietà di 'sto poveraccio, evita di dirmi che è qualsiasi. Se tu per primo, autore, lo tratti così, come pensi che lo tratteranno i lettori?
Che poi, mettiamoci pure un corollario.
Il povero personaggio, molto spesso, in realtà qualsiasi non lo è, ma nel senso peggiore. 
Perché, ad esempio, è un ragazzo qualsiasi che vive solo perché gli è morta tutta la famiglia fino alla settima generazione in un ciclone di sfiga tale che uno, così per pietà, gli consiglia immantinente un viaggetto a Lourdes, mentre si dà una discreta toccatina o caccia fuori il cornetto portafortuna. O la nostra ragazza qualsiasi la famiglia ce l'ha, ma niente niente sarebbe meglio che non l'avesse, perché la trattano in un  modo che, a paragone, Cenerentola era una viziata del cavolo.
Questo perché l'autore, o l'autrice non ha né gli strumenti né la preparazione per calare il suo personaggio in un ambiente familiare che sia anche un minimo dotato di senso.
E, visto che in fondo quel che gli interessa è solo la storia d'aMMore, non fa né uno, né due ed elimina il problema alla radice: stermina la famiglia del protagonista (o la rende così spregevole che il poveraccio ci passa, e con giusta ragione, meno tempo possibile) e si toglie dai piedi una complicazione.
Tornando al disgraziato aggettivo "qualsiasi", mi sono chiesta: ma perché uno scrittore dovrebbe svalutare in modo così maldestro la sua propria creazione? E, soprattutto, perché lo fanno così tanti scrittori?
La risposta non mi è piaciuta.
Al di là della crassa incompetenza - e di scrittori incompetenti ce ne sono a iosa - il fatto è che si cerca di spingere il pubblico - quel pubblico fatto da adolescenti in piena crisi ormonale, diciassettenni tutte ciccia e brufoli che sognano il principe azzurro e così via - a identificarsi con il personaggio stesso.
Si dà un/a protagonista qualsiasi a gente che si sente qualsiasi.
E ci siamo passati tutti, più o meno, nel sentirsi qualsiasi. Voglio dire, ho ritrovato i diari del liceo svuotando la stanza per creare la cameretta di Davide e, sì, quella fase è toccata pure a me.
Poi finisce, eh. Si sopravvive e si cresce.
Volete un esempio? Ve ne faccio due - che poi in realtà è uno solo - prendete quell'idiota della protagonista di Tuailait e prendete la sua omologa delle sfumature.
Sono qualsiasi nel senso più bieco del termine. Insipide, uguali a mille altre.
Le due autrici, bontà loro, quando devono tirare fuori una ragione plausibile per la quale il fico di turno le insegue manco fossero gelati nel deserto, se ne escono rispettivamente con: "ha un odore che mi attira" e "si morde il labbro".
Hey, laggiù, io avrei detto plausibile!
Queste due sono al limite dell'impedito sociale, neanche troppo simpatiche, non dimostrano né carattere né intelligenza, non hanno una conversazione interessante, non hanno opinioni proprie, non sono neanche delle bellezze stratosferiche da giustificare - almeno - un'attrazione fisica... ma insomma, in quale angolo del mondo reale due così attirerebbero l'attenzione non dico del maschio alfa, ma di un qualsiasi maschio in generale? In nessuno, siamo sinceri.
Solo che non siamo nel mondo reale. Siamo nel "tanto è fantasia". E così, legioni di adolescenti (e donne) che si sentono qualsiasi sognano e sbavano su questa favoletta sentendosi consolate, quasi prendendosi una rivincita sulla bella della classe o sulla vicina di casa magra e truccatissima che pare una delle desperate housewives.
Sì, anche questo è molto triste.
Lasciate perdere le storie di gente qualsiasi. Sentitevi speciali. Sentitevi unici. 
 Lo siete.

L'immagine viene da qui

sabato 21 febbraio 2015

All Along The Watchtower

Sapete?
Io le odio, le etichette. Non quelle con i prezzi, eh, quelle che oggigiorno la maggior parte degli scrittorucoli, specie nell'italico panorama, appiccicano ai propri personaggi.
Mi fanno incazzare a morte.
Sono stufa. Sono stanca. Mi sono proprio rotta le palle.
Non ne posso più di elfe "crudeli e procaci", giornaliste spaziali "inguainate in tutine", fantasy "a tinte fosche" e via di questo passo.
Caro scrittorucolo dei miei stivali, che infarcisci di etichette il tuo scritto, lasciatelo dire: il tuo capolavoro non vale la carta sul quale è stampato, non vale i byte dell'ebook e no, non me ne frega niente se ti ha pubblicato una grande CE, questo poi non ti garantisce certo un bollino di qualità. Anzi.
Il tuo libro non vale il mio tempo.
Perché come scribacchina sono nessuno, come lettrice ho gusto, intelligenza e un palato raffinato.
In altre parole, una come me, fra il tuo pubblico, te la sogni.
Vuoi sapere perchè?
Ma te lo dico subito e in termini non equivocabili.
Se la prima informazione che vuoi dare al lettore è che la tua protagonista ha le tette grosse o che se ne va in giro strizzata in un indumento abbastanza stretto perché le si possano contare i peli, vuol dire che non hai proprio capito niente.
Queste sono le importantissime informazioni che, per prime, vuoi passare ai tuoi lettori? Lo stato delle ghiandole mammarie e il gusto (volgare) nel vestire?
Complimenti, sono davvero di importanza capitale.
Non so, caro scrittorucolo, se ti rendi conto di quanto sia umiliante.
Ma lo dico per te, eh. Perché, se scrivi in questo modo, è segno che pensi in questo modo. Posso permettermi? Forse, ma dico forse, è il caso che tu riveda le tue priorità e il concetto di "importante".
E poi, piccolo effetto collaterale, sarebbe umiliante per il pubblico. Non per tutto, eh, per questo ho messo il condizionale. Per quei pochi non lobotomizzati ancora in giro.
Non so se ti rendi conto di quello stai facendo. Spero per te di no, perché è una roba abbastanza disgustosa: stai rigurgitando nel loro gargarozzo del cibo predigerito.
Quando lo fanno, per esempio, i pinguini con i loro pulcini è pure carino. Ma lo scrittore con il lettore? Not so much.
Tu, a questo ipotetico lettore, non  permetti di farsi un'opinione sua: prendi il primo stereotipo che capita - o meglio, quel che va di moda al momento - gli appiccichi quattro caratteristiche (semplici, per carità) e poi dici che è così.
E magari non capisci neanche per quale ragione qualche lettore più spaccaballe della media - oh sì, eccomi qui - dovrebbe lamentarsi.
Morale della favola, ci ritroviamo con donne crudeli che però di crudele non fanno nulla, con personaggi intelligenti che però non si dimostrano mai tali.... cosa chiedi, in fondo, al lettore? Neanche uno sforzo piccino picciò. Deve solo mettersi comodo, smettere di pensare e limitarsi, invece, a credere a quel che gli dici.
Sai che c'è? No, grazie, comunque no grazie, per quanto mi riguarda risparmiati pure la fatica.
Se mi accorgo, e me ne accorgo al volo, che il tuo libro è di questo tipo, io lo butto. Non lo compro. Non lo leggo. Non me lo proporre nemmeno, via Fb o nei milioni di modi messi a disposizione dai social network. Oppure provaci, se hai coraggio, ma non lamentarti se ti prendo a male parole.
Perché?
Perché mi sento trattata come una cretina e, caro scrittorucolo che ti credi tanto geniale, come una cretina vai a trattarci qualcun altra.
Io voglio capire da me com'è un certo personaggio. Voglio capirlo da come parla, si comporta, pensa.  Queste sono le cose che devi dirmi. Non se porta la sesta di reggiseno o John Holmes a confronto è afflitto da invidia del pene.
Quindi muovi il culo e fai il tuo dovere, cioé scrivi e scrivi come dio comanda.
Le tue caratteristiche preconfezionate stile elenco della spesa... puoi ficcartele dove non batte il sole.
Mi dispiace per te: non me ne frega niente se la protagonista ha le tette grosse, o il protagonista ha grosso dell'altro (che qua siamo in par condicio). Evita di sbrodolare per pagine e pagine su pettorali scolpiti, cosce snelle e turgidi seni, è pure squallido.
Fra l'altro, non so se te ne sei accorto, finisce che i personaggi sono tutti uguali. Si chiama omologazione e no, non è un complimento.
Di protagonista bellobellobello in modo assurdo ce n'è soltanto uno!
Non mi frega un accidente se il lui di turno è biondo o bruno, alto o basso, né mi interessa di che colore ha gli occhi. E, per favore, evita anche una descrizione minuziosa di come lei è vestita, se non è funzionale alla storia. Invece che sprecare tempo a immaginarne il guardaroba, perché non ti impegni a renderla il più possibile sfaccettata e tridimensionale?
Se voglio vedere dei vestiti, mi sfoglio una rivista di moda (era per dire, non lo faccio neanche se sto morendo di noia in coda dal dottore). 
Da un libro, voglio altro.
Altro che, almeno in Italia, non ottengo.
Perché il triste rovescio della medaglia - ci siamo resi conto in una interessante discussione con i miei compagni del blocco C della blogosfera - è che, a stare a guardare dati come popolarità e vendite, siamo come Robert Neville in Io sono leggenda (il libro, maledizione, non il film!): una razza in via d'estinzione in mezzo a mutanti caratterizzati da analfabetismo funzionale e crassa ignoranza. 
Quelli che vogliono usare cervello e fantasia soccombono a una schiacciante maggioranza, composta da coloro i quali "buona la pappa predigerita e rigurgitata al momento"
Eh, guarda, una delizia...
Gente che vuole la protagonista imbranata ma in fondo in fondo figa, oppure crudele e dominatrice ma sotto sotto con un cuore di panna, e una controparte maschile che sia, oltre che di splendido aspetto, anche uomo che non deve chiedere mai, ma accudente, ma bisognoso di essere salvato e poi ricco. Ricco è irrinunciabile.
Ma siete mai andati a leggere le recensioni su Amazon di classici della letteratura fantastica?
Io l'ho fatto, ma una volta per non ripetere mai più. Gente che appioppa una stellina a Dracula perché non c'è la storia d'amore con Mina! Gente che recensisce negativamente dei capolavori dicendo che mancano le descrizioni fisiche o che sono noiosi perché le frasi sono troppo lunghe.
Cioé, fatemi capire, se non sapete per filo e per segno che aspetto ha un personaggio non siete in grado di immaginarvelo? Scusate, da quale pianeta siete atterrati?
Questo stato di cose mi mette i brividi e ha conseguenze disastrose.
Ad esempio, un'omologazione vergognosa della produzione letteraria. 
Libri tutti uguali, mal scritti, mal pensati, stupidi e banali, ma che alle CE vanno bene, perché il libro ormai è solo un prodotto, viene fuori da una specie di catena di montaggio e deve fare solo una cosa: deve - e sottolineo deve - rispondere a determinati standard.
Non importa che sia bello. Non importa che sia originale, né ben scritto. Anzi, il fatto che sia originale e ben scritto, semmai, è uno svantaggio.
Perché deve vendere. E per vendere deve dare al pubblico - un pubblico ormai disabituato alla buona scrittura, nutrito di schifezze, che non è neanche più in grado di seguire una trama appena un pelo più complessa della favoletta di Cenerentola (che ci narrano e rinarrano in tutte le salse) - quello che il pubblico chiede.
Che è questa roba qui. Che sono le etichette sbattute in quarta di copertina, così capisci subito con cosa hai a che fare, le trame tutte uguali, i personaggi tutti uguali, l'attenzione a dettagli insignificanti - come l'aspetto fisico - perché così non deve neanche fare lo sforzo di immaginare (che, fra l'altro, è la parte divertente del leggere, ma questi poveri idioti non lo sanno), una sintassi che definire scolastica è un complimento, perché il lettore non deve smarrirsi fra le proposizioni del periodo, quindi limitiamoci a soggetto - verbo - complemento, con qualche aggettivo, ma generico, non sia mai che il poverino debba metter mano a quella cosa, com'è che si chiama?, ah, sì vocabolario.
E noi lettori forti? Noi da oltre cento libri l'anno, quelli con il gusto della lettura, quelli che la fantasia la usano eccome?
Noi ci attacchiamo e tiriamo, per dirla in modo popolare. Non siamo abbastanza importanti, non giustifichiamo l'investimento necessario a portare in Italia buona letteratura fantastica.
Meglio coltivarsi le legioni di lobotomizzati e spacciare loro cartacei a venti euro ed ebook a tredici. Che magari ne comprano uno all'anno, ma sono tanti.
Davvero tanti.
Sapete qual è l'altra, disastrosa conseguenza? Che il serpente che si morde la coda, perché buona parte di questi si metterà a scrivere
E, proprio come siamo quel che mangiamo, loro scriveranno quello che leggono, cioè stupidaggini e andrà già di lusso se useranno un italiano corretto.
Privi di una cultura di genere scriveranno, per esempio, convinti che fantasy = signore degli anelli, senza avere la minima consapevolezza che forse, ma dico forse, l'idea del predestinato e del signore oscuro non è proprio questa novità sconvolgente e che i mondi simil-medioevali hanno anche un po' scassato i cosiddetti.
O che i vampiri siano tutti belli, tormentati e alla ricerca dell'aMMore, oppure che una storia d'amore non abbia senso se priva di massicce dosi di sesso il più possibile presunto sadomaso (ma in realtà all'acqua di rose).
E si autopubblicheranno - ormai è facile - e spammeranno ovunque pretendendo di essere letti e infestando gruppi Fb, aNobii e Twitter, oppure si faranno fregare da una CE a pagamento, perché non hanno né l'intelligenza né il senso critico per capire che l'aver scritto qualcosa non lo rende automaticamente degno di pubblicazione - convinti pure, nella loro presunzione infinita, che tanto tutti pagano, per pubblicare.
Qualche Cenerentola, poi, approderà a una grande CE che la mungerà ben bene, spacciandola come caso letterario ad altri lobotomizzati (i quali, a loro volta, si faranno venire velleità letterarie), per poi gettarla nel dimenticatoio non appena avrà esaurito la sua utilità (squisitamente economica, se ancora ce n'è una, in questi tempi di crisi nera).
Se proprio volete sapere come la penso, gli starà bene, se la saranno cercata. 
Il problema è che sono tanti. Sono troppi.
Come direbbe qualcuno dei miei compagni del blocco C, è una fottuta invasione.
E noi lettori forti siamo sempre meno. Siamo sempre più stanchi, sempre più assediati. 
E sempre più scazzati.
Stufi di entrare in una libreria e trovare cumuli di stupidaggini che non toccheremmo neanche con un bastone, stufi di sentirsi proporre, dall'amico di turno, l'ennesima schifezza con un "ho letto un libro bellissimo, guarda, lo devi leggere" e per poi dover spiegare che quel libro, che lui ha tanto apprezzato, è in realtà un'immonda cagata e che, se solo si prendesse la briga di guardare al di là delle nostre sponde, ci sono libri davvero meravigliosi, che però ti devi leggere in lingua originale perché tanto qui non li tradurrà nessuno.
Quando oltre che lettori si è scrittori, è pure peggio.
Ti fai un culo come una capanna e vedi il frutto delle tue fatiche alla pari con le peggio schifezze. Ti confronti con un pubblico che non è in grado di riconoscere la buona scrittura neanche se questa si mettesse lì a sputargli in faccia. Ti impegni, ma ti dicono che il tuo libro è troppo complicato. Che non c'è una storia d'amore. Che non ci sono le descrizioni fisiche. Che il finale aperto non va bene, ci vuole il lieto fine.
E, nei momenti più neri, ti chiedi chi diavolo te lo faccia fare.
È dura essere assediati. Ti manca l'aria.


mercoledì 29 gennaio 2014

Cose che non capisco...

...e che probabilmente non capirò mai.
Tipo il perché ci sia così tanta gente che parla dello scrivere e della scrittura.
No, sul serio, la cosa è meno scema di quel che sembra.
C'è chi - mai pubblicato in vita sua - dispensa consigli e, addirittura!, tiene corsi di scrittura creativa, ricopre posti di responsabilità (in minuscole case editrici che magari si è pure aperto, vabbé) e si spinge fino al punto di dare alle stampe (autopubblicandosi o, male che vada, usando i tipi della minuscola casa editrice di cui sopra) dei manuali di scrittura.
C'è chi - autore pubblicato - sputa veleno su esordienti e/o autoprodotti dall'alto della sua (ben poco riconosciuta) esperienza.
I toni, ovviamente, sono tutt'altro che ragionevoli e distesi: la scrittura, la pubblicazione, il "successo" sono sempre stati nervi scoperti e tali si confermano.
Io rimango sempre basita, ogni santa volta che l'argomento salta fuori.
E, onestamente, queste posizioni mi danno fastidio, da qualsiasi parte pendano. 
Mi infastidisce il meno-che-esordiente intento a spacciarsela, perché sono dell'opinione che, per insegnare qualcosa si debbano avere i titoli. Attenzione, però! Con "titoli" non intendo dire "pezzi di carta". Per insegnare sono fondamentali due cose: avere qualcosa da insegnare - padroneggiare un mestiere, per esempio - e saper insegnare - quindi saper trasmettere il proprio know how. Perciò, quando vedo manuali di scrittura curati da persone che - a voler essere generosi - dovrebbero andare a fare uno stage di grammatica alle elementari seguito da quel (come minimo) secolo di buone letture, sollevo il sopracciglio e reprimo la voglia di sbugiardare l'autore.
Dall'altra parte, l'atteggiamento saccente di chi guarda gli altri autori come vermi della terra solo perché ha pubblicato un tot di libri, magari con una grande C.E. e poi dispensa perle di saggezza - con l'atteggiamento di chi le getta ai porci - e la convinzione, nemmeno troppo velata, che le persone cui si rivolge siano affette da analfabetismo funzionale (o, in alternativa, completamente sceme) mi fa desiderare di demolirgli il piedistallo con un martello pneumatico.
Ma quel che sul serio non capisco (e che non capirò mai) è perché questa gente della scrittura si limita a parlare.
Non lo so, forse sono io a essere fatta male.
Ma trovo che star zitti e scrivere storie sia un modo decisamente migliore di impiegare il proprio tempo.

martedì 21 gennaio 2014

Un aiutino agli evasori.

Questo sarà un post atipico. E sarà un rant.
Preparatevi.
Allora, vi racconto l'antefatto.
Esiste un decreto legge che stabilisce questo: alla data del 1° gennaio 2014 tutti i professionisti dovranno dotarsi di POS per i pagamenti elettronici.
Questo è valido per tutti i professionisti, dai dentisti agli ingegneri. E, va da sé, ai geologi.
Perché? Per contrastare l'evasione fiscale.
Geniale! Sono anni che siamo obbligati ad accettare solo pagamenti tracciabili per cifre sopra i mille euro, ma... geniale lo stesso!
Certo, come no.
Non so in che mondo viva la gente che ha partorito 'sta idea, ma, se si vuol fare del nero, parliamoci chiaro: si accetta una parte in contante e una parte, che so, in bonifico o assegno. Io non lo faccio, perché penso che l'evasione fiscale sia uno dei reati più subdoli e disgustosi che ci siano. Mi fa profondamente incazzare il fatto che le mie tasse vadano a pagare anche quello che i furbastri evasori non pagano.
Inoltre, le parcelle dei professionisti possono essere - e nel caso, per esempio, degli ingegneri sono - cifre che vanno oltre quelle pagabili mediante carta di debito.
E volete sapere un'altra cosa? In dieci anni di professione, nessuno - e dico nessuno - è mai venuto nel mio studio per pagarmi chiedendomi "Accetta pagamenti bancomat?"
Già è tanto se ti pagano!
Ora vi parlo del rovescio della medaglia.
Io, per mettere il POS in ufficio, devo pagare. Devo pagare un'installazione e un noleggio mensile. A chi? Alla banca che mi fornisce il servizio.
E questi sono costi fissi. In pratica, la banca si prende da me dei soldi perché sono obbligata a tenere un macchinario che non uso (e non mi serve).
Vediamo i costi di esercizio. Eggià, perché ci sono anche quelli. Nella fattispecie, le commissioni, che gravitano intorno a un 3% dell'importo. Altri bei soldini.
Gli ordini professionali della mia area di lavoro - ingegneri, architetti, geologi, geometri - ovviamente si sono ribellati.
E che cavolo di altro avrebbero dovuto fare? Già siamo strozzati da una crisi che sta ammazzando l'edilizia. 
Provate a farvi due conti di cosa vi costa, di tasse e oneri, comprare un immobile e ristrutturarlo (sto parlando di tasse e oneri, non di onorari professionali, materiali e quant'altro) e vedrete che sono cifrette tutt'altro che trascurabili. Per un appartamento sui cento metri quadri - che è un bell'appartamento, lo riconosco - vi partono circa cinquantamila euro. Cinquantamila euro che non sono spesi per rimettere l'abitazione in grado di essere vivibile, eh. Sono tasse.
Anche chi avrebbe soldi da investire - perché, visto l'andamento del mercato, sarebbe il momento giusto per comprare - è ovvio che, a queste condizioni, non lo fa.
Oltre a una diminuzione drammatica del lavoro, ci hanno calato sul groppone questo nuovo obbligo.
Adesso vai su internet e ti trovi articoli che gridano allo scandalo perché l'obbligo di POS, anziché essere esteso a tutti, è stato ristretto ai professionisti con un fatturato che supera i 300.000 euro l'anno. E che, abolendo l'obbligo, è stato dato "un aiutino agli evasori".
Un paio di palle, scusate.
Come se, tolto il POS, fossimo piombati nel Far West. Come se l'intera categoria dei professionisti autonomi fosse composta, senza eccezione, di ladri e farabutti che non vedono l'ora di frodare il fisco. Ce ne sono senz'altro, figuriamoci. Ma non si può fare di tutta l'erba un fascio.
E lasciatemi dire un'altra cosa: mettere il POS in ufficio non é la panacea di tutti i mali e non servirà a combattere l'evasione. I metodi per farlo esistono già.
Non si devono cambiare i metodi, specie non rendendoli iniqui né facendo regalini più o meno nascosti alle banche.
Ciò che si deve cambiare è la testa della gente. Deve passare il messaggio che chi evade non è Robin Hood de' noantri, non è un furbo e non è un ganzo. 
È un ladro.
Certo è che se quel che vediamo ogni giorno è "evadere paga", perché abbiamo pessimi esempi in posti chiave della nostra struttura sociale, allora quello è il messaggio che passa. E passa a tutti i livelli, dal fruttarolo che non ti fa lo scontrino, alla gente che non dichiara la proprietà di migliaia di immobili.
Vuoi cambiare la testa della gente? Inizia a invertire la tendenza e far capire - anche concretamente - che "non evadere paga". Premia i contribuenti virtuosi, invece di metter loro le mani nelle tasche per coprire i buchi lasciati dai disonesti.
Vuoi mettermi il POS in ufficio? Mi sta benissimo. Ma deve essere una misura che, oltre a impedire l'evasione, mi faciliti anche la vita. Mi togli i costi fissi e mi togli le commissioni ed io sarò più che felice di mettere in ufficio la macchinetta.
Ma così, scusate, anche no, grazie.

lunedì 25 novembre 2013

La pozzanghera italiana ovverossia... la seconda puntata di Masterpiece

Lo so, lo so, lo so.
Lo so, che sbaglio.
Lo so, che sarebbe meglio tacere, perché meno se ne parla, meglio è.
Ma stamattina ho visto la seconda puntata di Masterpiece - dal sito, col cavolo che perdo sonno per 'sta roba.
E, che vi devo dire?, va sempre peggio. 
Nel senso che si persevera alla ricerca della narrativa ombelicale (così chiamata perché l'autore è uso discorrere a lungo di cose di vitale e pregnante importanza quali, ad esempio, il suo ombelico) e del personaggio.
Meno disgrazie dell'altra volta - per fortuna, altrimenti ci sarebbe stato da consigliare una bella gitarella collettiva a Lourdes - ma la stessa qualità mediocre. Gente che parla di se stessa, trasponendosi nel proprio romanzo.
Con un po' di magic moments: 
1. il lancio del libro di De Carlo. Onestamente, di suo ho letto Due di Due e forse un altro tomo - e mi ha così impressionato che non ne ho nemmeno la certezza! - ma, a prescindere dal valore come autore, è l'atteggiamento a destarmi più di qualche perplessità. Perché la tizia si sarà, sì, presentata con una supponenza difficile da digerire (che poi, andando a vedere fino in fondo, non ha nemmeno tutti i torti: che gli frega, a questi, di chi sono io, se devono giudicare il mio testo?), e il suo libro avrà anche fatto cagare i sassi - scusatemi il cattivo francese se siete religiosi - ma, lo stesso, non si tira la roba dietro alla gente in quel modo. È maleducazione, plain and simple. E poi, lei è una sconosciuta, tu un personaggio pubblico. Certi atteggiamenti da rockstar non fanno tanto bene all'immagine. Oh, secondo me.
2. l'uscita - sempre di DeCarlo - "invece di andare a buttarsi nel fantasy lei dovrebbe attingere a se stesso, lei ha un mondo fantastico da raccontare". Ha pronunciato "fantasy", aborrita parola!, come avrebbe pronunciato "spurgo di fogna".
Già, perché la letteratura vera è fatta di vita, quella fantastica, invece, di stronzate. Andatelo a dire a King. Non mi dilungo, perché Germano ha detto tutto qui e io lo sottoscrivo.
3."lei sa usare l'italiano e non è una cosa comune". Concordo, con infinita tristezza, sul fatto, ma, da aspirante scribacchina che conta come il due di picche quando briscola è denari, mi viene da dire che non dovrebbe essere un punto di merito, questo. Per uno scrittore, la conoscenza della propria lingua non è optional, non è valore aggiunto. È (o dovrebbe essere) una dotazione di serie. In altre parole, tutti i concorrenti dovrebbero avere un livello più che sufficiente sotto questo punto di vista (e sto bassa, eh), quindi, perché sottolinearlo?
4. la prova immersiva nel matrimonio napoletano. Io vorrei sapere - lo vorrei tanto - chi ha partorito 'sta genialata. Puro populismo italiota al 100%. Mi sono vergognata come una ladra.

Infine, il Premio Strega.
Sì, perché stavolta, ad aspettare i concorrenti al varco, pardon, all'ascensore, c'era il vincitore del Premio Strega. E i due tizi, all'apparire di questo omino tondo, con i baffi bianchi, gli occhialetti e il cappellino e la sciarpa da pensionato in libera uscita, sono parsi debitamente reverenti e onorati.
Se al posto loro ci fossi stata io, probabile che mi sarei chiesta, con panico misto a disperazione: "Ma chi è, questo?" (E poi sarei stata zitta, onde evitare la madre di tutte le figure di cacca.)
Ci ho riflettuto su, sapete. Perché, se non lo sapevo io, che leggo, chi fosse 'sto tizio, immagino che non lo sapesse anche buona parte degli spettatori.
Non ho dimestichezza con i nomi della narrativa contemporanea italiana. Dovrei sentirmi ignorante e vergognarmi, ma non ci riesco.
Perché, quando Coppola ha regalato alla professoressa e al (futuro) vincitore della puntata Una cosa divertente che non farò mai più io ho pensato: "Bello, mi ha fatto ridere un sacco e ci ho pensato molte volte, mentre ero in crociera!", mentre quegli altri due avevano i punti interrogativi nelle pupille e scommetto che non hanno mai sentito nominare David Foster Wallace.
Del resto, è questione di dove vai a nuotare. C'è chi nuota nella pozzanghera italica e chi nell'oceano internazionale.
Indovinate dove preferisco stare, io?

martedì 19 novembre 2013

Mastercoso, lì, Masterpiece.

In realtà, mi ero ripromessa di non parlarne. Non volevo regalare a questo programma nemmeno un briciolo di visibilità.
Che tanto, secondo me, qui vale il nel bene o nel male purché se ne parli.
Non se l'é filato nessuno, ma, oh, è uno degli hashtag più discussi di Twitter!
No, ma vantatevene.
Solo che non riesco a togliermelo dalla testa e questo non è un complimento, signori autori, proprio no. 
Non è possibile girare la cosa in positivo, così come, rassegnatevi, non è lusinghiero il fatto che i giudici vengano messi in difficoltà dai testi proposti loro. O meglio, lo sarebbe, se a rendere ardua la scelta fosse l'eccellenza. Ma qui il problema è che fa tutto schifo uguale.
In questi due giorni ne ho lette e sentite di  ogni: chi si scandalizza per la mercificazione della cultura e chi mal sopporta lo snobismo dei lettori, chi parla male dei casi umani e chi taccia i detrattori di essere solo dei segati invidiosi.
Chi dice che Masterpiece è un'idea geniale e chi che è una stupidaggine, chi dice che ci voleva e chi dice che anche no.
Io sono del partito dell'anche no. E, prima che vengano fuori delle questioni, sì, scrivo. E no, non mi hanno segata: non mi sono presentata. Non mi ha mai sfiorato l'idea di farlo.
Perché?
Perché nel mezzo televisivo conta il personaggio e io l'avevo già detto, in tempi non sospetti, che avremmo visto  una sfilata di casi umani.
Ah, il caso umano! La miglior pubblicità che sia mai stato inventata. Come vende il caso umano, nient'altro mai.
Ok, sono cinica, lo ammetto.
Però scusate, a me sono cadute le braccia. Ora, io di scrittori ne conosco. Magari non saranno De Carlo, ma ne conosco una buona cinquantina.
Dite che cinquanta non è un campione statistico rappresentativo?
Mettiamola così: se davvero scrivere fosse sofferenza e travaglio interiore, almeno uno dei miei amici dovrebbe essere sofferente e tormentato. Come minimo eh.
Non nego che qualcuno sia un po' strano - me compresa -, ma non ce n'è uno, nemmeno uno, che scriva per esorcizzare demoni interiori, gridare aiuto, et similia.
Tutti, però, a scrivere si divertono. Lo fanno perché a loro piace (e anche per altri motivi, come abbiamo abbondantemente spiegato con le storie del cesso). Vivo nel bel mezzo di un'anomalia statistica, tutti che si divertono e nemmeno uno che soffre?
Forse noi autori di fantastico siamo l'eccezione che conferma la regola? 
Non lo so, ma immagino che, a confronto con uno scrittore allegro e ben pasciuto,  sia molto più fico qualcuno che scrive per lanciare un grido d'aiuto. O che, quando gli domandano cosa faccia nella vita, non risponda l'idraulico, l'infermiere, l'impiegato, la segretaria, la bibliotecaria, il traduttore o - why not - il geologo, bensì: io soffro.
Sentite qua come vi riempie bene la bocca: io soffro.
Quando leggo un libro, io non inizio dalle note biografiche dell'autore: non me ne frega una mazza di chi sia, cosa pensi, se abbia traumi psicologici o meno. Compro (e leggo) il libro perché mi interessa la storia, a prescindere da chi l'ha scritta.
Non escludo che, dopo, mi venga la curiosità di conoscere l'autore, ma se faccio ricerche  in questo senso, non è perché mi interessi qualcosa del suo vissuto: è per sapere, nell'eventualità che il libro mi sia piaciuto, se abbia scritto altro oppure no.
L'impressione che ho avuto io è stata non solo che si sia cercato il personaggio  più che la storia (e che, in questo senso, la scelta sia stata dettata da una gran paraculaggine), ma che non ci si sia nemmeno posti il problema di avere in questo programma degli scrittori nel vero senso del termine.
Tolto il primo concorrente - buttato fuori con il giudizio che  il testo è "ben scritto ma poco sincero" che, personalmente, mi fa pensare a una becera scusa per favorire altri con vissuti più telegenici - gli altri non sono scrittori.
È gente che si è messa lì e ha buttato giù delle parole e che, quando ha raggiunto una certa quantità di pagine, si è detta "ho scritto un romanzo".
Non ce n'era uno, nemmeno uno, che avesse scritto qualcosa di altro da sé.
Chi è stato in prigione ha scritto un poliziesco.
Chi è stata anoressica ha scritto di un personaggio con la medesima malattia.
Chi lavora in fabbrica ha scritto la storia di un personaggio che lavora in fabbrica.
Lo scrittore, quello vero, è uno che si mette una maschera. È uno che conta balle travestite da verità e (ma più raramente) verità travestite da balle.
Lo scrittore è uno che vi prende per il culo e sapete che c'è, che gli piace, si diverte se può farvi credere una cosa e poi tirarvi il tappeto da sotto i piedi con un colpo di scena. Non vede l'ora di farlo.
Ti mostra una cosa con la mano destra, ma vai a sapere cosa sta combinando con la sinistra.
Non gli interessa raccontarti i fatti suoi: gli basta (e avanza) raccontarti quelli dei suoi personaggi che, a proposito, non sono suoi alter ego. Lo scrittore vero non lo troverete nel suo libro perché è dietro le quinte che gioca a fare Dio, una pratica assai più soddisfacente.
È uno che non sa nemmeno pensare di non trasformare in storia - o in dettagli per una storia - tutto quel che gli capita: quello che ha mangiato a colazione, lo stralcio di conversazione origliato sull'autobus, la vecchietta che attacca bottone in coda dal dottore... ogni cosa.
Uno scrittore, uno vero, quando gli chiedono di scrivere una lettera, non penserà, ma nemmeno per un secondo, di usare la sua voce: chi glielo fa fare? È noioso! E poi sono buoni tutti. No, lui creerà un personaggio, così, al volo. E inizierà a giocare con il registro linguistico, magari ci infilerà qualcosa di un po' disturbante, per il solo gusto di rompere le palle, e i dettagli giusti, per capire quant'è bravo, specie se il tempo stringe, a far sembrare reale il personaggio al lettore con il minimo indispensabile di tocchi azzeccati.
Questi qui, invece, hanno dimostrato una penosa mancanza di fantasia. E di talento.
Mi direte che una prova come quella cui sono stati sottoposti non è facile.
Uno scrittore scrive, miei signori. È quello che sa fare meglio, a volte la sola e unica cosa che sa fare. È una macchina da storie, è con quel filtro che guarda il mondo. Perciò quella non avrebbe dovuto essere percepita come una prova, ma come un invito a nozze.
Solo che questi sono così impegnati a soffrire che hanno dimenticato che scrivere è, prima di tutto, un divertimento.
Se avete demoni interiori da esorcizzare, non vi servono carta e penna. Vi serve un analista.
Infine, un'ultima nota su qualcosa che mi ha dato particolarmente fastidio.

mercoledì 25 settembre 2013

Il modo "giusto" di usare un manuale di scrittura...

...non è relegarlo all'ingrato compito di sostutitivo della carta igienica.
Ho faticato parecchio a capire il modo giusto - che poi, giusto per me - di approcciarmi a questo tipo di strumenti.
Perché - non dimentichiamolo mai - di questo si tratta: strumenti.
Oggetti che sono nati per essere utilizzati, rispondendo a delle esigenze pratiche.
Voi non ne sentivate l'esigenza? Perfetto, potete anche smettere di leggere: quel che dirò non potrà in alcun modo interessarvi.
Ad essere sincera (anche un po' brutalmente) non ho grande stima di chi sputa sopra i manuali affermando che non ne ha bisogno. Non è una questione di manuale-sì-manuale-no-manuale-forse. È una questione di atteggiamento: è come se dicessero che non hanno bisogno di imparare. E se non pensi di aver bisogno di imparare, due sono le cose. O sei un genio, o sei un arrogante all'ultimo stadio. I genii sono rari. Gli arroganti... beh, quelli no.
Dall'altra parte, non ho grande stima nemmeno di quelli che se non hai letto millemila manuali allora non sei nessuno. Anche in questo caso a non andarmi giù è l'atteggiamento: giudicare gli altri dall'alto della propria (presunta?) preparazione è un'altra cosa che non sopporto. Più nello specifico, è l'atto del giudicare a non andarmi giù.
Pensare di avere già la conoscenza in tasca (per concessione divina o chissà che altro) è il modo più rapido per precludersi l'occasione di migliorare, ma anche pretendere di diventare buoni scrittori solo studiando, molto semplicemente, non funziona.
Conoscere le tecniche non è abbastanza. È una condizione necessaria, ma non sufficiente.
Detto questo, per molto tempo ho gravitato intorno all'estremo di chi studia con fin troppo impegno. Perché dico "fin troppo"? Perché nella mia ansia di imparare finivo per perdere di vista il semplice fatto che il manuale è, come ho detto, uno strumento.
Stamani ho tirato fuori L'arco di trasformazione del personaggio. Mi serviva vedere uno schemino.
Questo manuale lo odio e, nello stesso tempo, gli sono affezionata. Lo odio perché mi ha mandata in crisi di brutto e ci sono affezionata perché è anche quello che mi ha spinto a cambiare il modo di approcciarmi ai manuali stessi.
Sentite qui:

Per definire un tema, è utile che cominciate col definire il soggetto o l'argomento preminente della storia. Poi chiedetevi cosa avete da dire voi su questo argomento. Per esempio, se il soggetto tematico di una storia è la famiglia, dovete decidere cosa pensate voi della famiglia.

Vi ricorda niente? A me sì. Com'è che era? Ah sì, e chi se la dimentica?

Se segniamo la perfezione di una poesia sull’asse orizzontale di un grafico e la sua importanza su quello verticale, sarà sufficiente calcolare l’area totale della poesia per misurarne la grandezza.

A mio modesto - modestissimo - avviso un suggerimento come quello che vi ho riportato sopra è spazzatura. Anzi, è un rifiuto pericoloso.
Similmente, come si fa a mettersi lì e dire: "Ok, adesso voglio scrivere una storia sulla famiglia. Vediamo, cosa penso io della famiglia?"
Andiamo, è pura follia.
L'altro giorno stavo rileggendo It per l'ennesima volta e ho trovato una frase che si adatta perfettamente a quel che penso:

non potreste permettere a un racconto di essere soltanto un racconto?

L'inghippo de L'arco di trasformazione - così come di altri manuali - è che ti insegnano a smontare una storia (prendendo ad esempio la struttura di film famosi). Oh, è fantastico quando ti fanno notare come tutto si incastri perfettamente: tema, antagonista, ambientazione... è un orologio svizzero!
Toh, ma è facile. Ti metti lì a provare e... non ci riesci. Orpo! E com'è che non ci riesci? Sembra tutto così semplice!
Perché saper smontare una storia - saperne identificare le parti - non vuol dire saperne costruire una. Proprio per niente.

E sempre in It ecco qua un metodo giusto da applicare ai manuali di scrittura:

"Allora da dove dovrei cominciare?"
 "Cominciare cosa, diavolo?"
"Le ricerche storiche su questa zona. La comunità di Derry."
"Oh. Bene. Comincia con il Fricke e il Michaud. Si reputa che siano i migliori."
"E dopo che ho letto quelli?"
"Letti? No, diavolo! Buttali via! Questo è il primo passo. Poi leggi Buddinger. Branson Buddinger era un ricercatore maledettamente scalcagnato e afflitto da strafalcioneria cronica, se è vero solo metà di quel che ho sentito da ragazzo, ma quando si trattava di Derry, aveva il cuore al posto giusto. Ha cannato quasi tutti i fatti, ma li ha cannati con sentimento, Hanlon."
Io risi un poco e Carson distese le labbra incartapecorite in un sorriso, un'espressione di buonumore che era per la verità un po' inquietante. In quel momento sembrò un avvoltoio che monta soddisfatto la guardia a un animale appena ucciso, in attesa che raggiunga il grado giusto di succulenta decomposi zione prima di cominciare a desinare.
"Quando finisci con Buddinger, leggi Ives. Prendi nota di tutte le persone che intervistò. Sandy Ives è ancora all'Università del Maine. Professore di demologia. Dopo che hai letto il suo libro, vallo a trovare. Offrigli una cena. Io lo porterei all'Orinoka, perchè all'Orinoka le cene non finiscono mai. Strizzalo per bene. Riempi un taccuino di nomi e indirizzi. Parla ai vecchi intervistati da lui, quelli che ci sono ancora, perchè alcuni di noi sono ancora qui, ah-ah-ah! E fatti dare altri nomi anche da loro. Alla fine avrai tutta la base di cui hai bisogno, se solo hai in zucca metà del sale che credo io. Se avrai scovato abbastanza persone, avrai scoperto alcune cosucce che non ci sono nelle cronache scritte. Allora forse scoprirai che ti disturbano i sonni."

Per quanto riguarda l'approccio ai manuali di scrittura - il mio approccio - è molto simile a questo.
Prima leggo, poi si screma: mi tengo i fatti. Mi tengo gli strumenti.
Cos'è un arco di trasformazione del personaggio. Com'è fatto. Mi chiedo a cosa serve, perché ho smesso di dare per scontato che tutto ciò che è scritto nel manuale sia oro colato. Mi chiedo come posso usarlo a vantaggio della mia storia.
Il resto... dipende.
Butto via senza rimorsi i meravigliosi esempi che fanno sembrare tutto facile: di come si analizza una storia ne ho piene le tasche. Puah.
Per quanto riguarda i consigli riguardo a metodi di scrittura più o meno famosi-validi-miracolosi, diciamo che possono succedere due cose.
La prima: se a pelle mi sembrano stronzate, oppure se mi rendo conto che non riesco nemmeno a capire cosa sta tentando di spiegarmi l'autore, via, via, via lontanissimo da me. Che sia colpa delle mie facoltà intellettuali scarse o che siano stronzate sul serio, non cambia il risultato: non mi si adattano, quindi li casso. Vaya con Dios.
La seconda: se mi sembra che possano adattarsi al mio modo di essere e di ragionare, li adotto. Parecchi suggerimenti del mio adorato BootCamp rientrano in questa categoria.
In altre parole, non rifiutate a priori e non trangugiatevi tutto: leggete e selezionate usando la più importante delle vostre dotazioni di serie.
L'intelligenza.