venerdì 30 novembre 2012

Una segnalazione veloce veloce...

Qualche giorno fa, sul sito di WD è uscito questo.
Il concorso ha un tema interessante (e il premio non è da buttar via, viva la sincerità).
Sallatelo!

mercoledì 28 novembre 2012

La scoperta dell'acqua calda: Solaris

No è che a volte scopro proprio l'acqua calda, io.
Quante volte ho letto/sentito dire che Solaris è un capolavoro? Infinite.
Poi ieri inizio a leggerlo e "Ooooh! Ma è un capolavoro!"
Maddai? Brava, hai vinto una medaglia d'oro con su scritto: "Sei una cretina".
Solaris è uno di quei libri che ti fanno dire: "Cazzo, la fantascienza è tutto".
Non tutto nel senso di "tutto quello che posso desiderare" (sono scema, ma non così scema), ma nel senso che è onnicomprensiva. 
Dentro ci trovi filosofia
Pensateci un momento. 
Riflessioni sul presente e sul futuro. Il rapporto uomo/macchina. La natura dell'intelligenza. Cosa vuol dire essere "umano" e cosa rende umano l'uomo.  Cos'è dio: un essere altro da noi, una superintelligenza aliena...
Insomma, tutto. Avete presente tutto? Ecco, quello.
Ora, Solaris è un pianeta. Un pianeta ricoperto completamente da un Oceano, che però non è proprio di acqua, ma lo vediamo poi. Su Solaris gli uomini hanno una Stazione. E lì approda Chris, il protagonista, che è uno psicologo, ma questo lo veniamo a sapere dopo. Chris arriva, sparato giù a bordo di una capsula abbastanza claustrofobica dalla nave Prometheus, e trova una situazione parecchio incasinata. 
Dei tre scienziati con cui deve prendere contatto uno è morto suicida, uno si è chiuso nel laboratorio "a lavorare" e non c'è verso di tirarlo fuori e il terzo sembra proprio fuori di testa e blatera avvertimenti vaghi su incontrare qualcuno di inaspettato e non fargli del male. Dato che la popolazione umana di Solaris sono solo loro tre - quattro col morto - sono assurdità.
Però, forse, tanto fuori di testa non è, perché Chris inizia a vedere in giro cose strane, cose che non dovrebbero esserci: prima una specie di Venere nera primitiva, poi Harey, la sua ex, che, scopriamo, si è suicidata dieci anni prima. 
A quanto pare, l'Oceano, no, un Oceano non è: è un'unica, enorme creatura composta di protoplasma, senziente e, in un qualche modo che nemmeno gli scienziati hanno ben chiaro, telepatica. E le strane cose che Chris vede sono dei costrutti a immagine e somiglianza di ciò che loro desiderano e, nello stesso tempo, temono. Una materializzazione senziente dei ricordi, che non è cosciente della propria vera natura ed è smarrita, confusa, impaurita.
Che si ripete, riproposta all'infinito, ogni volta che gli uomini, con l'astuzia o con la violenza, tentano di liberarsene.
Non ho ancora finito il libro, in realtà vorrei tuffarmici anche ora ma non si può, però è davvero stupendo. Profondo, intelligente, a tratti doloroso.
Il rimorso, la perdita, l'accettazione della parte oscura che ciascuno di noi ha... tutto questo viene portato alla luce, non c'è modo di fuggire, tu spazzi via quelle cose ed esse ritornano, inconsapevoli, oltretutto, delle tue azioni, come in un videogioco con le vite infinite.
Cosa vuole, l'Oceano? Torturarli? Studiarli? Comunicare con loro nell'unico modo che gli è possibile? 
Cos'è l'Oceano? Un'unica macrocellula da miliardi di tonnellate? Un dio menomato, onnipotente ma non creativo, che procede per imitazione?
A questo punto, conta poco il genere, conta poco che siamo su un altro pianeta e in un lontano futuro: il centro è l'uomo. L'animo umano.
Assolutamente da leggere.

martedì 27 novembre 2012

NaNo-WIN


Stasera ho tagliato il traguardo delle 50K. Sono una NaNo-winner!
Devo dire che, di tutti e tre gli anni di partecipazione, questo è quello che è andato più liscio.
Nel 2010, l'undici novembre, mio fratello ha avuto un bruttissimo incidente - fortunatamente risolto bene, ma credetemi: qualcuno da lassù deve averci messo una manina. Ovvio che non avessi né il tempo, né la voglia di scrivere. Quando le cose hanno iniziato a "normalizzarsi" (virgolette obbligatorie: si è fatto mesi di degenza) il NaNo mi ha aiutata a scaricare stress e tensione e sono riuscita a concludere.
Nel 2011 ci ha messo lo zampino il lavoro: alluvione il 25 ottobre e ho finito di fare la volontaria verso metà novembre. Sono arrivata in fondo letteralmente all'ultimo minuto, alle undici e cinquantotto. Mi sono regalata le spilline e Scrivener (e rimpiango ancora oggi di non aver comprato la mug).
A confronto, quest'anno è stata una passeggiata di salute. Intanto, avevo una storyline, per quanto flessibile, e poi il massimo contrattempo sono state due sere con il mal di testa.
In realtà, poi, le cinquantamila parole non mi sono mai bastate, ma va bene così. Tanto non mi bastano mai, prolissa come sono.
La storia del 2010 è finita. Va rivista, non appena sarò nel mood giusto.
La storia del 2011 è poco oltre la metà: stavo scrivendo quando è arrivata la notizia di UO e ho dovuto interrompere. Concluso quello, ho ri-iniziato a lavorarci... quando è arrivata la Sentinella. Dopo la Sentinella, Il sonno del faraone. Risultato? Il povero first draft è ancora lì che aspetta di essere concluso.
Anche la storia di quest'anno sbrodolerà oltre, ma mi sono imposta di finire il first draft il 30 ed è esattamente quello che intendo fare.
In altri termini, "da domani di nuovo sotto con le duemila parole al giorno". Non manca molto: giusto l'epilogo.
Ci sarà tempo per riscrivere, tagliare da una parte, rimpolpare dall'altra, consolidare le linee narrative che sono venute fuori durante la stesura, lavorare - ancora e sempre - sui personaggi. Non mi spaventa: è una fase del lavoro che amo molto.
Sono contenta di aver partecipato: era troppo tempo che non riuscivo a dedicarmi a un progetto con tanta costanza. Mi ha fatto bene: mi sento come quando esco dalla piscina dopo aver faticato. 
Stanca nel corpo, ma in pace con me stessa. A volte è l'unica cosa che conta.

Un buon libro.

Uno pensa che le recensioni più piacevoli sono quelle in cui ti fanno i complimenti senza se e senza ma. Quelle in cui ti dicono che il tuo libro è supercalifragilistichespiralidosamente fantastico e non c'è nessuno che scrive come te al mondo e che "ma dove sei stata, tutto 'sto tempo"?
Lo ammetto: sono dei bei grattini all'ego.
Però.
Non è per distinguermi, né per fare la precisina della fungia (cit.): è che io sono sempre pronta a pensare il peggio di quel che scrivo. E quando dico il peggio, intendo proprio Il.Peggio.
Perciò, quando fanno i complimenti, come dire, mi ritrovo a pensare che il recensore sia stato troppo buono. Vado più d'accordo con recensioni in cui si sottolineano pregi e difetti. (Questo non significa che poi io non mi fustighi in separata sede perché avrei dovuto fare meglio). 
Con quelle che sottolineano solo difetti vado d'accordissimo, nel senso che credo a ogni singola sillaba e, di conseguenza, inizia il tour nel magico paese del Faccio-Schifo-Dovevo-Rimanere-Inedita.
Questa, che ho scoperto oggi, mi ha resa felice.
Per alcuni aspetti, le mie scelte - stilistiche e di trama - non hanno convinto il mio recensore. E alcuni dei suoi appunti non hanno convinto me (altri, invece, sì).
Ma c'è una singola, singola frase che mi ha fatto toccare il cielo con un dito: Ultimo Orizzonte è un buon libro.
Scusate se è poco!

lunedì 26 novembre 2012

Aggiornamento NaNoso 2

Ci siamo quasi. Qualche parola più di duemilacinquecento mi separa dalla vittoria... anche se probabilmente per la conclusione me ne serviranno sessantamila, anziché cinquantamila.
Poco male. La soddisfazione di concludere la prima stesura (anche se fa così schifo che, probabilmente, vorrò strapparmi gli occhi quando la leggerò) non è paragonabile con nient'altro, per me!

Sing for Absolution

Sono di corsa, ma voglio condividere quello che sto ascoltando in loop stamani. 


(Scommetto che nessuno si spiega come mai il video mi piaccia tanto, eh?)

domenica 25 novembre 2012

Aggiornamento NaNoso!

In questi giorni, fra lavoro e NaNo, ho abbandonato un po' questo minuscolo angolo di cyberspazio.
Anche stasera, a dire la verità, sono qui piuttosto di corsa: sto cercando di rilassarmi un attimo prima di dare la scalata alle quarantaquattromila parole.
Ormai siamo in fondo: la barra blu del Word Count (quella sul sito del NaNo, l'altra, qui accanto, è rossa) è quasi piena. E non è stato facile, ieri ho tirato fuori più di quattromila parole per rimettermi in pari, dopo che tutta una serie di sfighe di vario genere e tipo mi avevano messo il bastone fra le ruote.
Comunque, ce l'ho fatta: sono tornata in carreggiata.
Sono arrivata al punto cruciale, tutto sta per compiersi e ho iniziato a mietere le prime vittime. Non vedo l'ora di metterci un punto per poi iniziare a lavorarci su. Una volta che la storia va dalla A alla Z la posso smontare e manipolare e quella è senz'altro la fase che mi piace di più.
Però prima la parola fine. Ed è per questo che vi dico ciao e filo a scrivere!

venerdì 23 novembre 2012

Un anniversario.


Ho sentito parlare di loro per la prima volta di loro sulla pagina Fb del Writer's Dream.
In termini a dir poco entusiastici e visto che, com'è noto urbi et orbi, WD non si fa certo scrupolo a bacchettare e smascherare (con giusta ragione) editori truffaldini e a pagamento, era un bel biglietto da visita.
Io alla pubblicazione unicamente digitale proprio non avevo pensato. A dirla tutta, avevo pensato poco pure alla pubblicazione tout court.
Però... però il manoscritto nel cassetto c'era.
Sapevo che il mio scritto valeva qualcosa e non per scienza infusa o egomania all'ennesima potenza, ma perché i riscontri al Torneo Letterario erano stati più che buoni. Ma sapevo anche che, per un mercato editoriale come quello italiano, era invendibile: un romanzo fantastico semi-dialettale, ambientato in una città sfigata, senza vampiri sbrilluccicosi, senza protagonista Mary Sue in distress e senza l'ombra di romance (anzi, con un velato accenno a un romance gay)? E chi mai ci avrebbe investito su dei soldi?
Voglio dire, era talmente chiaro che non mi ero nemmeno fatta del sangue marcio.
Ma quando ho letto la presentazione di WD mi sono detta: ben venga il digitale, se mi permette di scrivere quello che mi piace, come mi piace e di essere indipendente dalle mode del momento. Al grido (mentale) di "Stay Hungry, Stay Foolish", ho mandato il romanzo.
Ho trovato un editore con la E maiuscola, che mi ha proposto un contratto a regola d'arte, che mi ha trattata con professionalità assoluta (e contagioso entusiasmo), che ha curato l'editing del testo, che ne cura e ne curerà la promozione
Che ha creduto in me e nel mio romanzo e questo è più unico che raro.
Quando ho parlato con Andrea per la prima volta, subito dopo aver ricevuto la mail che mi comunicava il loro interessamento, ho avuto una sensazione piacevolissima e straniante. Mentre lo ascoltavo illustrare come sarebbe stato l'iter che ci avrebbe portato al testo finito, (editing in due fasi e correzione bozze) e lo ascoltavo dire cose del tipo "la promozione ci teniamo a curarla noi", avevo l'impressione di essere atterrata, non so bene come, nel Paese dei Balocchi dello scrittore esordiente, solo senza la fregatura di trasformarmi in ciuco.
È passato un anno.
Ultimo Orizzonte è lì, in vendita.
Dopo aver subito un editing lungo e accurato.
Dopo essere stato rivoltato come un calzino.
Dopo che un professionista con la P maiuscola l'ha letteralmente spulciato, trovando punti deboli, incongruenze, carenze nella caratterizzazione, spronandomi poi a porre rimedio, modificare, approfondire, senza mai accontentarsi del "buona la prima".
Dopo che le bozze sono state corrette, ri-corrette e poi corrette ancora una volta per buona misura.
E io sono qua a dire che un'altra editoria è possibile. E che WePub ne è un esempio.
Con loro non c'è trucco non c'è inganno, signore e signori. Sono esattamente quel che dicono di essere.
Perciò, se vi prendono, sentitevi fortunati: non potete trovare persone migliori.

Fantascienza verosimile: L'ultimo cosmonauta.

Manco a farlo apposta, già che in questi giorni rimuginavo su fantascienza e verosimiglianza (non c'ho un cacchio da fare, che volete?), mi arriva la mail di DelosBooks e, fra le altre cose, parla di questo libro.
Potevo farmelo scappare? Che domande, certo che no.
Ora, un paio di note veloci veloci: costa quattro euro e novantanove, che cominciano a essere tantini, per quello che mi riguarda. Lo so che il prezzo degli ebook è una delle diatribe del momento, ma non ci voglio entrare più di tanto: se costa troppo non lo compro e fine della storia. Però non ha i DRM e questa è una cosa furba: a me, come penso a ogni lettore del globo terracqueo che abbia familiarità con il digitale, rompono supremamente le scatole. Impedire la pirateria con un sistema che:
  • tratta il pubblico pagante come un potenziale ladro;
  • complica la vita;
  • si leva in quattro rapidi passaggi;
è proprio il modo migliore di invogliare la gente a comprare sì-sì. Perciò, brava la Delos che li ha tolti. Volesse il cielo che anche le altre c.e. arrivassero a fare lo stesso.
Comunque, non divaghiamo (cacchio, io divago sempre! Ma sarà possibile?): il libro.
Domanda secca: mi è piaciuto? Molto. Ho fatto fuori le cento pagine (centodue, per la precisione) in poche ore.
In pratica, è la storia del ritrovamento e dell'esplorazione di un'enorme nave aliena - che i russi hanno soprannominato Matrioska - che è comparsa nel sistema solare. Il racconto è ambientato nel futuro - in un futuro molto prossimo - in cui solo la Russia (e a fatica) sta continuando il programma spaziale. Saranno i tre cosmonauti Dimitri, Galenka e Jacov a cercare di svelare il mistero di questo enorme manufatto. Non voglio anticipare più di tanto la trama, solo incuriosirvi.
La narrazione - in prima persona, ma molto, molto ben gestita - è fatta da Dimitri, l'ultimo cosmonauta, appunto, dell'equipaggio della Tereskova (apro parentesi: adoro questo nome! La prima donna nello spazio: Valentina Tereskova. chiudo parentesi), la nave inviata a prendere contatto con la Matrioska tramite un rover apposito, il Progress. Ovviamente, le cose non sono andate lisce, infatti lui racconta anni dopo la fine della missione, quando riesce a evadere dall'istituto psichiatrico in cui è stato rinchiuso per cercare di trasmettere ciò che sa all'unica astronoma che era riuscita a intuire la vera natura della Matrioska e che, per questo, era stata ostracizzata. (E anche qui non vi dico di più.)
Le scene ambientate sulla Tereskova sono molto ben scritte e - sì - molto verosimili (del resto, Reynolds lavorava per l'ESA, quindi gioca in casa e scusate la quasi-rima). Non è male neanche quello che succede agli astronauti dentro la Matrioska - no che non ve lo dico! - ma è forse la parte con meno originalità. Invece, l'analisi della situazione sociopolitica russa, che si riesce a dedurre dal parlato e dall'ambiente in cui si muovono i personaggi, è la cosa migliore, secondo me. Reynolds non ci rifila pipponi per spiegarci la rava e la fava e lascia che noi lettori ci arrangiamo a capire... e fa bene. Inoltre, ci molla un bel colpo di scena finale e, sì, ci lascia con un po' di domande in sospeso, ma non per un difetto nella costruzione della trama. Solo perché quando si toccano certi paradossi - e qui taccio - è inevitabile porsi degli interrogativi.
Insomma, a me è piaciuto, l'ho trovato interessante, appassionante e ben scritto. I quasi cinque euro li valeva e penso che leggerò ancora qualcosa di questo autore.
La traduzione mi sembra ben fatta - quanto meno, non ci sono frasi palesemente a pera - il che è già qualcosa, visto l'andazzo attuale.
Un'ultima precisazione che non riguarda il libro, ma l'ebook: non so se sia il mio reader o meno, ma alcuni caratteri speciali - presumo la ç o qualche cosa del genere - non vengono visualizzati. Al loro posto c'è un punto interrogativo. Ecco, questo un po' mi dà fastidio.
Ah, l'autore ha un blog, questo. Ho dato solo un'occhiata, ma sembra interessante.


Adesso sto leggendo questo qui e devo dire che mi sta piacendo. Cioè, sono solo al secondo racconto (parla un pilota di cargo spaziali!), ma me lo sto godendo parecchio. E poi è lungo: quattrocento e passa pagine di racconti! Ho di che essere felice per un bel po'. Credo proprio che, se continua a mantere questa qualità, ve ne parlerò!

 

martedì 20 novembre 2012

Il primo meme della Parietaria

E così Domenico mi ha tirato dentro un meme. Il mio primo meme!
Si chiama Premio UNIA.
Perché "premio" non lo so, visto che non si vince niente, ma tant'è. La cosa funziona che io rispondo a delle domande e poi le passo ad altri sette disgraziati (che, immagino, saranno felicisssssimi).
Qual è il primo libro che hai letto in assoluto?
Facile! Arthur C.Clarke Le porte dell'Oceano.
Hai mai fatto un sogno ispirato a un libro che hai letto? Se sì, racconta.
Non mi ricordo quello che ho mangiato a pranzo, posso ricordarmi se ho mai fatto un sogno ispirato a un libro?!
Qual è la prima cosa che ti colpisce in un libro? La copertina, la trama o il titolo?
Dipende. A volte una cosa, a volte l'altra. Poi però il libro deve passare il test delle dieci righe, sennò rimane dove sta.
Ti è mai capitato di piangere per la morte di un personaggio? 
No. Sono donna di cuore duro e occhio arido!
Qual è il tuo genere preferito?
Ho dei problemi con il concetto di "genere", nel senso che di solito preferisco opere non ben inquadrabili. Mi piacciono le commistioni insolite. Tuttavia, sono più propensa alla letteratura fantastica (anche se poi non disdegno quella impegnata o i saggi). Ultimamente ho una spiccata monomania per la fantascienza. (Mannò! Non l'avreste mai detto, eh?)
Hai mai incontrato uno scrittore?
Qualcuno. Sono esseri umani pure loro: due gambe, due braccia, una testa, eccetera eccetera. Anche se alcuni sembrano convinti di essere super solo perché mettono parole in fila...
Posta un'immagine che rappresenta cosa significa per te la lettura:
Non un'immagine. Un video. Questo.

Adesso dovrei nominare sette disgr.. ehm, altri blogger, ma... siccome tutti quelli che conosco e stimo sono già stati tirati in mezzo, lo evito!

Domande sceme.

Sto pacciugando con la fantascienza. E questo, ormai, è noto urbi et orbi.
Ora, la fantascienza ha, per definizione, una parte di scienza.
(Sì, stasera sottolineo l'ovvio: sopportatemi, per favore).
Da un po' mi domando: ma un autore, quanto ne deve sapere?
Certo, se ha un background scientifico è meglio (ovviamente, deve anche essere un narratore dotato, altrimenti ciccia), ma se non ce l'ha... deve mettersi a studiare la meccanica quantistica, la teoria della relatività, quella dei wormhole oppure può farne a meno? Non sto parlando di un'infarinatura generale - secondo me ci vuole a prescindere - sto parlando di entrare un po' più nel dettaglio e nello specifico. Mi viene in mente che, ad esempio, Gibson entrò in contrasto con gli hacker perché, pur scrivendo di hacking e computer, era, in realtà, molto ignorante in merito e finì per "falsare" la cultura hacker piegandola ai suoi scopi letterari (e facendo un favore al mondo della narrativa fantastica, per quanto mi riguarda, perché adoro Neuromante).
Devi avere delle basi "serie", oppure devi essere bravo nel far credere al lettore che tu le abbia?
Magari a qualcuno sembrerà una domanda scema, ma continuo a girarci intorno e vorrei uno straccio di risposta, se possibile.
Collegata a questa, c'è un'altra questione: ma un autore, fino a che punto può dare per scontata la cultura generale in chi lo legge?
Non sto parlando degli spiegoni, sui quali ha fatto un ottimo post Germano.
Il discorso è che, per quanto mi riguarda e detto senza mezzi termini, sono una insopportabile so-tutto-io. Questo significa che, in genere, ho una buona base di conoscenze. Quando, però, trovo accenni o riferimenti a un argomento che non conosco, vado a informarmi per cercare di capire. Il corollario è che se mi trovo di fronte un autore che spiega cose che so già, nel senso che mi fa delle note a pié di pagina o delle appendici, mi infastidisco. Non sto quindi parlando del classico spiegone o dell'orrido as you know Bob (che, per inciso, detesto).
Il trait d'union fra i due dubbi di cui sopra è questo: credo che, se l'autore utilizza una terminologia tecnica, il lettore medio sia propenso a pensare che conosca ciò di cui sta parlando. Ovviamente, esagerare è controproducente: si finisce per confondere il lettore (il quale si scoccerà con giusta ragione).
Spiegare questi termini non ne "attenua" l'effetto? 
Non lo so, sarà che a me la specificità piace, ma quando trovo una terminologia particolare, specifica, su un dato argomento è come se quell'espressione, quelle parole, avessero un fascino speciale. Una specie di potere sulla mia immaginazione. Se però accanto - o a pié di pagina - inserisco la spiegazione, ecco, è come se questo potere si attenuasse.
Lo so, sono domande sceme. Prendetemi così, stasera.


giovedì 15 novembre 2012

Spesucce...

Io amo i banchetti dell'usato.
Sto parlando di quelli dei libri, ovviamente (e che altro?). Stamane che ero in giro, un po' giù per via di questioni di lavoro, mi sono fermata a curiosare e sono tornata a casa con:

Vita con gli orsi - Beth Day.

Letto, riletto, stra-letto. Valore affettivo: tendente a più infinito per una miriade di motivi.
Quando l'ho visto sopra gli altri, in bella mostra, mi è sembrato che il destino stesso l'avesse messo lì, apposta per me.

Fritz Leiber - Il grande tempo.
Soldati provenienti da tutte le epoche note (ed ignote) si danno appuntamento in un saloon extratemporale che si trova al di fuori dell'universo e in cui affascinanti entraineuses pensano a ristorare il morale della truppa. È in corso la più radicale e apocalittica delle guerre, quella dei Cambiamenti, e le due misteriose fazioni dei Ragni e dei serpenti non danno tregua alla realtà, che di battaglia in battaglia viene inesorabilmente modificata.
Solo leggere la sinossi mi ha fatto venire l'acquolina in bocca.
Ben tre romanzi completi!
Fuga nei mondi perduti - Non tutti i mondi della sfera di Gea sono civili colonie terrestri. Alcuni sono "mondi perduti", su cui Myron Tany e i suoi compagni d'avventura - una ciurma di desaparecidos dello spazio - inseguono il miraggio di una colossale fortuna.

Lurulu - Con questo inedito continua l'epopea di Myron Tany - sfuggendo a ogni regola e alla temibile polizia spaziale - su avamposti planetari dpve le condizioni di vita sono ancora selvagge e violente e dove tutto può accadere.

Oh. Ma solo io mi sono immaginata Myron Tany con la faccia di Mal?

I vandali dello spazio - in aggiunta allla pirotecnica saga, la ristampa di un grande classico: la storia di Dick, un giovane astronauta assetato di avventure, che riesce a scoprire il covo dei fuorilegge interplanetari e smascherarli.

Questo mi entusiasma un po' meno (ho idea che la quarta di copertina gli renda poca giustizia, ma vabbé).

Tutto e tre i  volumi per l'astronomica cifra di cinque euro. Cielo, sono davvero cicala inside, io...

mercoledì 14 novembre 2012

Donation day

Rapidissimamente: oggi è il Donation Day per il NaNo.
Se partecipare vi diverte, se non vedete l'ora che arrivi Novembre per poter iniziare la rincorsa del 50K, allora fate una donazione. Nella Donation Station ci sono varie opzioni, adatte a tutti i portafogli. Non siate tirchi, su!

My Two Cents sul Self-Publishing

Se ne fa un gran parlare, di 'sti giorni. 
Ora, come al solito, le reazioni in questo nostro paese da sceneggiate napulitane sono esagerate: chi plaude alla democratizzazione, chi esulta perché, finalmente, libertà-libertà da quel collo d'oca che è la selezione manoscritti (sia da parte delle c.e. che da parte delle agenzie letterarie), chi, invece, è in mood luttuoso, perché ah, adesso pubblicano cani e porci senza più il filtro qualità rappresentato dagli editor e dall'editing.

FILTRO CHE???!!

Tanto, partiamo da un presupposto: gli editori, quelli molto grossi, i marchi storici, possono dire quel che vogliono, in questi tempi bui di crisi e con in più l'assedio del digitale, ma l'epoca in cui facevano cultura con la C maiuscola è passata da un pezzo.
Non fanno cultura: cercano di vendere. Niente da eccepire: sono imprenditori, hanno da campà. C'hanno i conti da pagare: come se le permettono, sennò, le millemilioni di copie con cui ogni quindici giorni inondano le librerie (e che poi vengono impietosamente rese)?
Ora, questo ha un duplice effetto: da una parte, ci riempiono di schifezze, dall'altra hanno grandemente ristretto il campo "di interesse" dei manoscritti.
E qui facciamo un distinguo, perché, l'ho già detto, detesto le generalizzazioni: non a tutti gli editori interessano le vie già battute.
[Sì, sto parlando dei miei editori: Ultimo Orizzonte nell'editoria tradizionale non avrebbe trovato posto. È un romanzo di un genere incerto - perfino io non saprei definirlo - con delle parti in dialetto e senza storie d'amore di sorta. Queste caratteristiche lo facevano partire svantaggiato a prescindere, prima ancora di andare a considerare la scrittura.]
Ma, tranne rare eccezioni - che si fanno sempre più rare, man mano che case editrici che si occupavano in modo serio di fantastico chiudono o cambiano gestione - oggi, se non ci sono vampiri sbrilluccicosi, ragazze sfigate e bruttarelle che però in fondo in fondo sono speciali perché profumano, o sono state scambiate alla nascita, o hanno qualche potere particolare che nessun altro ha (e in virtù di cui conquistano er mejo der colosseo) non vai da nessuna parte. Hai voglia proporre fantascienza innovativa, o urban fantasy coi controcazzi, o steampunk, o cyberpunk: se non hai l'accoppiata sfigata/fiQuo non c'è storia.
In altre parole, quella del filtro come controllo di qualità della storia è una baggianata. Rappresentano un filtro, sì, solo quando si tratta di cassare cose che vanno un minimo al di là degli schemi ormai assodati.
Dall'altra parte, ci sono gli autori, a quanto pare liberi, finalmente, dall'obbligo di peregrinare - a volte per anni - da una casa editrice all'altra, spesso aspettando risposte che non arriveranno mai. E che, con questa storia del self-publishing vanno a nozze. Prima, avevano solo due modi per "uscire" a dispetto dei rifiuti e di un mondo nel quale è difficilissimo entrare: un editore a pagamento (con tutto quello che comporta) o un print-on-demand. I due metodi sono accomunati da un fattore: ti devi fare un culo così con la promozione. Bussare alle librerie per spacciare il tuo libro, mendicare recensioni, venderti l'anima per un briciolo di visibilità.
Con la rivoluzione digitale, questo ostacolo è stato superato alla grande: un ebook autopubblicato ha - potenzialmente - la stessa visibilità di uno dato alle stampe da una grossa c.e. e, anzi, ha un vantaggio in più.
Sì, avete capito bene: ha un vantaggio.
Perché? Perché Mondadori, Fanucci, Fazi, Einaudi, temendo di far concorrenza a se stesse, non metteranno mai un ebook a 0.99 centesimi - a parte durante l'orrida pratica dello sconto lampo - a fronte di un cartaceo che costa (quando va bene) dodici euro. Il self-publisher questo problema non se lo pone proprio: così, mentre il lettore non compra gli ebook Fanucci a sette euro (io ho preso il cartaceo di Dune a 4.90), i novantanove centesimi nell'ebook di uno sconosciuto ce li butta. Cazzo, costa meno di un caffé, ma perché no? Le grosse c.e. si danno la zappa sui piedi da sole, escludendo una grossa fetta di pubblico. E, di fatto, rappresentando una palla al piede per l'editoria digitale.
(Ah, sia chiaro: io non sono pro-digitale per via di Ultimo Orizzonte. Semplicemente, mi piace leggere. Leggerei anche sulla carta da culo, se mi fosse data la possibilità. Perciò, se con gli ebook leggo di più e spendo meno, ben venga.)
Comunque, stabilito che l'autore che si pubblica da sé ha un vantaggio, andiamo avanti: il discorso qualità del testo.
Le case editrici - quelle serie, sì - sul testo ci lavorano. Devono lavorarci. E tanto. Editing in diversi passaggi, correzione bozze e tutto quanto. E un testo lavorato dall'autore supportato da un bravo editor è senz'altro migliore di un qualsiasi manoscritto, anche di quello che ha subito diverse riscritture.
Il problema è che l'editing costa e tante c.e., sorprendentemente anche quelle grandi, lo saltano a pié pari.
Se fossimo, che so, nel regno delle favole, funzionerebbe così: l'editore cattivo manda in stampa solo libri porcate, ma gli autori bravi e coraggiosi, lo battono, auto-pubblicandosi e sfornando libri di alta qualità e che giungono così al pubblico affamato.
E tutti vissero felici e contenti.
(Sì, poi ci sarebbe la parte II, nella quale l'editore cattivo, compreso il suo errore, si redime e inizia a pubblicare cose degne di essere lette.)
Ma siccome non siamo nel regno delle favole, la questione è un tantino più complessa: nel variegato panorama delle opere auto-pubblicate ci saranno cose bellissime, che sono state ingiustamente rifiutate... ma la maggior parte saranno porcate senza vergogna, scritte da persone che non si pongono neanche il problema della qualità. Potrei farvi un paio di esempi di gente che dice "non rileggo mai quello che scrivo, l'importante è trasmettere emozioni" (e qui ci riagganciamo al volo alla tematica sole, cuore, aMMore e alla mia risposta: "dammi tre parole, vai a cagare").
In altre parole, siamo onesti: il self-publishing non è la terra promessa degli autori bravi schiacciati da un sistema editoriale che puzza di vecchio e di banale. È anche quello, in potenza, ma, nelle sue manifestazioni più eclatanti, il self-publishing è - e, soprattutto, sarà - la risposta ai più sfrenati desideri di qualunque geGno convinto di essere un predestinato della penna. 
Questo tanto per essere chiari.
Cosa penso io?
Penso che ci sia posto per tutti, a questo mondo. Mi infastidiscono le posizioni della serie "no, il self-publishing no, perché toglie spazio all'editoria tradizionale/abbassa la qualità/relega l'editing a processo opzionale".
E sapete perché? Per tre motivi.
Primo, perché non sopporto chi la fa cadere dall'alto, chi tenta di controllare cose che non ha alcun diritto di controllare. Se io voglio auto-pubblicarmi, (e non voglio, non ho il carattere giusto, ma faccio per dire), di certo non ho bisogno di chiedere permesso a nessuno!
Secondo, perché la qualità e l'editing ce li siamo già persi per strada da un po'.
E terzo perché sono stupide: il self-publishing è una realtà. Non ci si può nascondere dietro un dito: mentre quelli perdono tempo a discutere dei perché sì e perché no, la gente sforna ebook.
Tanto vale, farci i conti.
Non è l'editoria che deve farsi carico del ruolo di paladina dei lettori ignari (vedi la stronzata sulla qualità): siamo noi lettori a dover proteggere noi stessi, sia dalle puttanate che impestano il web, sia da quelle che impestano le librerie. 
Dobbiamo essere consapevoli di quel che leggiamo e di quel che acquistiamo.
Io non ho bisogno di un signor Mondadori, o Fanucci, o Fazi, o Mauri Spagnol che si assuma "l'onere" di, come dire, assicurarmi un rifornimento di libri di qualità (e che magari me lo faccia pesare). Non l'ha fatto prima, non si metterà certo a farlo ora.
Io decido quel che leggo. E quel che spendo per leggere. Alla fin fine, funziona come per la televisione: possono anche spacciarmi isole dei famosi e grandi fratelli, ma sono io quella che ha il telecomando in mano, fino a prova contraria. E se non voglio guardare trasmissioni-puttanata, cazzo, non le guardo.
Come non mi faccio abbindolare dalle stronzate spacciate come  il caso editoriale di turno, non mi faccio abbindolare nemmeno dal Pinco Pallino che si è auto-pubblicato.
Gli editori devono smetterla di pensare al popolo dei lettori come a delle galline in batteria, che trangugiano indifferentemente tutto quello che viene loro dato. 
Quanto agli autori che si auto-pubblicano, stabilito che hanno tutto il diritto di farlo, dovrebbero considerare che il self-publishing ha i suoi pro e i suoi contro: ad esempio, che sei alla mercé del tuo pubblico, senza intermediari. E c'è da prendere delle sonore stangate nei denti.
Date un'occhiata qui. Fate bene caso al punto 3: Use professional editors and cover designers to make your product as good as possible. Basically, it should be indistinguishable in quality from traditionally published books. Your cover should NOT look self-published.
Non è un consiglio scemo, comunque.

martedì 13 novembre 2012

Brace yourselves... minkions are coming!

Festeggiate con me! Oh gioia, oh gaudio!
No, siccome a quanto pare le chiavi di ricerca che vanno per la maggiore sono zozze e qui, dopo tre mesi circa di vita, non se n'era ancora vista nemmeno l'ombra, cominciavo a essere un po' preoccupata!
E invece, stamani ho trovato questa perla: fumetti porno possesioni.
Sporcaccione e pure asino: cosa voglio di più dalla vita?

P.S: grazie a Max per aver suggerito il titolo!
P.P.S: siccome Marco ha ragione (vedi commento sotto), via la foto!

For men only.

Non vi sto a raccontare perché e percome, poi finisce che divago, ma ieri mi sono imbattuta - per l'ennesima volta - in una delle credenze più diffuse nell'ambito della fantascienza: alle donne non piace con il corollario che non ci capiscono niente.
Ué, bello! L'ultima volta che ho controllato ero ancora una donna e a me la fantascienza piace più che tutto il resto! Come ti permetti di dire il contrario?
Però mettiamo le mani avanti: è anche un po' colpa nostra. Di noi donne, intendo. Se facciamo in modo che stronzate come le Cinquanta sfumature sbanchino le librerie, poi non è che possiamo pretendere di essere credibili.
Non ho cifre alla mano, ma penso sia ragionevole affermare, infatti, che il successo di romance, paranormal romance e, più in generale, della letteratura ad alto tasso di saccarosio e sesso sia decretato dalla componente femminile. 
Si dice che le donne leggono di più, ma, a quanto pare, non meglio.
Sapete cosa detesto, dell'affermazione sulla fantascienza? È onnicomprensiva.
Tutte le donne non leggono fantascienza (perché è troppo tecnica, perché non ci sono storie d'aMMore, perché non ci sono altre donne al centro della scena).
Come se noi fossimo tutte - e sottolineo tutte - nell'ordine: supremamente irrazionali e non in grado di afferrare dettagli tecnici, affamate solo di subplot sentimentali e, infine, molto sessiste (perché come altro potrei definire chi vuole per protagonista un appartenente al medesimo genere?).
Ci saranno anche quelle che vanno in brodo di giuggiole per quell'imbecille del protagonista delle cinquanta sfumature, e chi lo nega?, ma non siamo tutte così.
Ci sono donne che amano i dettagli tecnici. E più delle pseudo-acrobazie sessuali (alla vaniglia e non) del suddetto protagonista.
Ci sono donne alle quali le storie d'aMMore stanno supremamente sullo stomaco, specie quando il solito lui di turno piuccheperfetto deve salvare/accudire/pensare per la partner di turno.
Ci sono donne che alle eroine di oggi - quelle che ci propinano in libreria e in edicola - darebbero fuoco (per citare Pino Scotto).
Ci sono donne che leggono fantascienza. E tanta. Che la apprezzano. Che la capiscono.
Se parliamo poi di scrivere fantascienza, peggio che andar di notte. Non starò qui a farvi l'elenco di tutte le grandi autrici e non solo perché, con mia somma vergogna, finirei per citare solo scrittrici straniere, ma perché sarebbe come affermare che il genere femminile deve dimostrare qualcosa a qualcuno.
Come non fosse abbastanza doversi fare il mazzo per scrivere un libro degno di vedere la luce e lottare alla morte per trovare un editore decente, c'è anche da abbattere il muro del pregiudizio, quello vecchio come il mondo, che "ci sono cose da uomini e cose da donne".
In fondo, è solo qualche millennio che facciamo i conti con una stupidaggine di questo tipo.
Non voglio fare la femminista, è una generalizzazione e io le detesto, ma sapete che c'è?
Evitate di dire che "alle donne la fantascienza non piace", perché non è vero.
Evitate di dire che "non ci capiscono niente", perché abbiamo un cervello sviluppato e funzionante come, quanto (e, nel caso di qualcuno, più) del vostro.
Evitate di dire che "alle donne piacciono solo le storie d'amore": c'è anche chi ne ha abbastanza della versione riveduta, corretta e aggiornata di "e vissero per sempre felici e contenti".
No, perché fare di tutta l'erba un fascio a questo modo è un'ottima maniera per non farsi prendere sul serio.

lunedì 12 novembre 2012

Aggiornamento (NaNo-so e anche no)

Ci sono, sono viva!
Sono solo (nell'ordine): 
  • sommersa di lavoro, ma sono sicura che non ve ne può fregare di meno (giustamente), quindi passiamo oltre;
  • impegnata con il NaNo: per ora riesco a tenere il ritmo che mi sono imposta senza troppi problemi. Ho saltato una sola sera, causa emicrania di quelle con annesso mal di denti. Ho superato quota 21000 parole: in fase di revisione, dovrò usare una motosega per tagliare via le mie inutili prolissità, ma devo dire che mi sto divertendo. Ancora non conosco bene i personaggi e ogni tanto faccio cose assurde come dimenticarmene per strada qualcuno, ma in prima stesura ci sta. È anche vero che, come capita che te ne scordi qualcuno, può capitarti di scoprirne qualcun altro. A me è capitato e ne sono molto soddisfatta e intrigata! Questa sera mi aspetta una delle scene che pregusto da quando ho cominciato a progettare la storia: non vedo l'ora di mettermi sotto. Lavorare con una storyline - per quanto flessibile - mi si addice. L'obiettivo di oggi è superare le 23000 parole: mi avvicino alla metà del famigerato 50K e per ora ammetto di non sentire fatica. Il calendario che mi sono auto-imposta stabilisce di finire il first draft il 30 di questo mese e devo assolutamente rispettarlo. Bisogna che mi dia una bella smossa;
  • priva di connessione a casa: cose che capitano quando cambi gestore. Da un certo punto di vista, è una vera palla: niente serie tv, niente Fb. Niente blog. Niente Wikipedia quando ho bisogno di documentarmi. Dall'altra, devo dire che ho più tempo per scrivere, il che non è male, specie in periodo NaNoso.
Considerate le cause di forza maggiore, il blog andrà in onda in formato ridotto (mi piaceva dirlo!) finché non tornerò pienamente operativa.

giovedì 8 novembre 2012

I senza-tempo

La foto non è bella, lo so. Ma l'ho fatta io (nota pacciugona)
Da quando ho saputo che Messer Alessandro Forlani aveva vinto il premio Urania, ho atteso l'uscita de I senza-tempo.
Urania è speciale, per me, è un pezzo dell'infanzia, è il ricordo di una persona che non c'è più, è la porta per mondi nuovi e affascinanti, è il primo libro che ho letto. È anche uno (forse l'unico?) posto in cui si trovi della fantascienza in italiano.
Conoscere, anche se virtualmente, la persona che ha vinto il Premio Urania è straordinario. (Cioè, il Premio Urania! È una roba grossa, gente!).
Così, non appena il calendario è scattato su novembre ho cominciato a cercare il volume e - miracolo! - l'ho trovato quasi subito (non è che sia un buon posto, Spezia, per i bibliobulimici).
Me lo sono letto tutto d'un fiato ed eccomi qui a buttare giù le mie impressioni.
Innanzitutto, domanda secca: mi è piaciuto? Eccome!
A me e anche al piccolo nerd.
Avendo problemi con il concetto di "genere", adoro i libri in cui sono presenti influenze diverse e commistioni e I senza-tempo è uno di questi: c'è fantascienza, c'è qualcosa di fantasy, ci sono influenze steampunk, richiami a manga e anime e un bel po' di horror.
Dentro I senza-tempo ci sono tonnellate di fantasia. E tanta ironia, che ti fa ghignare anche quando, in effetti, la situazione per i protagonisti è brutta-brutta-brutta.
Io credo che il merito di tutto questo vada, senza nulla togliere agli altri, al villain per eccellenza: Monostatos, alchimista-negromante che si risveglia nel 2012, dopo un sonno di oltre 400 anni.
Monostatos è un sapiente del Seicento, quella è la sua mentalità, e lui, cattivo senza se e senza ma, la mantiene per tutta la storia. Lungi dal sentirsi "uomo del passato" - e dall'avere un complesso di inferiorità nei confronti degli umani moderni - si sente, al contrario, superiore a tutti loro. Li considera cibo, bestiame e non per via del fatto che effettivamente è di quello che si nutre, ma per il loro essersi annichiliti, per le facoltà impigrite e l'apatia intellettuale che li rende (oltretutto) insipidi e poco nutrienti. 
I suoi simili, gli altri senza-tempo (oh, sì ce ne sono altri), come scoprirà, si sono adattati, verrebbe da dire evoluti, hanno trovato il modo di vivere - se vivere si può dire - da nababbi, nascosti nelle pieghe della società al livello più altro, corrompendone il tessuto stesso e avvelenando l'intera realtà. Lui no. Lui resta fedele a se stesso, alfiere di un tempo andato e fiero di esserlo.
Se ne sbatte, Monostatos, di adattarsi al mondo: è il mondo che dovrà piegarsi, adattandosi a lui, che ha intenzione di consumarlo, insieme alla realtà stessa, fino all'annichilimento. 
Il contrasto fra il Ventunesimo secolo (2012-2024-2036), percorso dai prodromi di una crisi energetica strisciante che, con l'esaurimento dei combustibili fossili, sta riportando piano piano l'orologio indietro agli anni Sessanta del Novecento, e i modi di pensare, di parlare e di agire del senza-tempo, generano una sottile corrente di ironia che rende ancora più godibile la lettura. 
Onestamente, quando Monostatos scambia per carcerieri i vigilantes al servizio di un altro senza-tempo ("credevo vi tenessero in ceppi. Assaltavo una prigione per liberare un mio pari") e li massacra, sono scoppiata a ridere. Non per la scena del massacro - ne I senza-tempo sangue e budella e altre robe disgustose abbondano, ma è giustissimo così - ma per la toppata clamorosa.
Il gusto seicentesco è evidente negli ambienti in cui Monostatos vive, nelle creature delle quali si circonda, orrende commistioni di parti meccaniche e cadaveri (descritte in maniera evocativa e mai pesante), nel suo modo di parlare e nel suo gusto per la teatralità.
Il piccolo nerd, cui già brillavano gli occhi per via delle distorsioni nello spazio-tempo, ha iniziato a sorridere come lo Stregatto all'apparire del primo carrion. Quando sono comparsi gli Archiburoboti ha lanciato un urlo entusiasta E non vi dico come è andato in visibilio  per il Gigadaver. (Non capite? Filate in edicola e compratevi il volume!).
Per quanto riguarda i protagonisti umani, sono bei personaggi sia i tre ex-bambini, che Clara (e una menzione speciale per il tristissimo ex-bidello Stefano, poveraccio, guarda che fine gli hai fatto fare, Alessandro!), ma, onestamente, Monostatos giganteggia sugli altri e se li pappa a colazione (e non in senso lato).
Un difetto (che non è un difetto)? Troppo corto! Nel senso che la vicenda è compiuta così, finale aperto, ma è giusto, possiamo immaginarci Nauzika e Rommel (due dei protagonisti. Siete curiosi? Filate-in-edicola!) intenti nella loro crociata. (E, ovviamente, si fa il tifo per loro). Solo che se ne vorrebbe di più.
Due note.
Primo: la quarta di copertina non rende giustizia. I senza-tempo è molto più bello, ricco e divertente di come lo fa sembrare. Fidatevi.
Secondo: la copertina in sé e per sé. Richiama i primi Urania, quelli storici. Mi ha fatto strippare.
Adesso non mi resta che leggere l'appendice con le inchieste di Clara.
E voi cosa fate ancora qui? All'edicola, subito!
(Dimenticavo: bella la citazione su Raimondo di Sangro!)

martedì 6 novembre 2012

Survivor

No, è che ci sono delle volte in cui un po' ti senti una sopravvissuta.
Tipo ieri sera. Giornata pesante al lavoro, ma lasciamo stare, lo si sapeva, ero preparata. Arrivo a casa e il pensiero delle duemila parole, onestamente, mi sconfinferava molto poco. Voglio dire... c'erano la puntata nuova di Once Upon a Time e quella di Downton Abbey a fare le sirene della procrastinazione.
E invece no.
Perché ci siamo ritrovati senza telefono e senza rete: capita, quando cambi gestore telefonico.
Evvabbé, mi son detta, si vede che era destino. Meglio, nessuna distrazione, così scrivo e faccio la brava ragazza. (Notate, please, l'atteggiamento positivo: Pollyanna, prendi appunti!)
Mentre la carne scongela, accendo il netbook, per una rilettura veloce di quanto già fatto. E il progetto di Scrivener è vuoto.
Ho un momento di rigetto della realtà e lo spengo, ma, per non saper né leggere né scrivere, gli impedisco di backuppare.
Lo riavvio. Nisba.
Entro nella cartella Dropbox e cerco di far partire direttamente il project file, prima, e una conflicted copy, dopo. Quest'ultima risale alla fine d'agosto (pianificavo già allora), ma che, vogliamo pure fare gli schizzinosi in un momento di crisi nera?
Completamente. Vuoto.
Niente testo, niente appunti, niente index cards, niente immagini. 
Niente di niente.
Petrificus totalus, per dirla in modo potteriano. Fisso la schermata e non riesco a capacitarmi di come-diavolo-sia-possibile.
Dopo qualche decina di secondi, la guaina di pietra che avvolge il mononeurone si crepa e lascia passare un'onda sonora ad altissima frequenza. Traduzione: il backuuuuuup! dov'èèèèè il backuuuup?
In rapida sequenza: manuale (ovviamente in inglese, ma quello è il minore dei miei problemi), trovo la cartella dei back up. Dovrebbero essere file archivio, ma - che strano - hanno l'icona generica di Windows e non quella con la pila di libri. Va bene: don't panic (provo l'impulso di procacciarmi un asciugamano, che non si sa mai, ma soprassiedo). Seguo passo passo i consigli del manuale, perché lo so che, se tento di fare di testa mia, combino qualche casino.
Ligia come un soldato modello, copio l'ultimo .rar sul desktop e tento di aprirlo.
Solo che il pc non me lo riconosce.
Non c'è WinRAR. Ho un maledetto sistema operativo che non prevede uno strumento di apertura degli archivi di suo?! Ce l'aveva Xp, dannazione, Seven starter invece no? No. Rassegnati.
Ora, a questo punto ammetto di aver brevemente (ma intensamente) considerato l'idea di spalancare la finestra, afferrare il netbook (che è un cosino anche gradevole a vedersi, bianco e rosa pastello), e imbelinarlo di sotto con tanti saluti e baci.
Invece no. Mi sono fatta prestare una chiavetta USB dalla dolce metà (e dov'era la mia chiavetta, quando serviva? In ufficio), ho preso il file di backup e l'ho passato sul Vaio. Che è un computer serio - sette anni e fila ancora che è una bellezza - e ho finalmente potuto estrarre i dannati file dal dannato archivio.
Con il cuore in gola, ho avviato Scrivener. C'era tutto.
Ora, non so per quale motivo sia successo questo inconveniente, ma ho ottenuto due cose: ho imparato dove sono i back up ed ero talmente felice, dopo, che mi sono messa lì e, grata al mondo, ho scritto le mie duemila parole.
Tié, Pollyanna, piglia e porta a casa!


domenica 4 novembre 2012

NaNo-In-Progress

Avviso: per questo mese il blog sarà un tantino monotematico.
Come ha fatto Paolo, traccio un primissimo bilancio NaNoso.
Ieri sono stata proprio brava (e me lo dico da sola): duemilacinquecento parole e spiccioli dopo una giornata pesantissima. 
Sono in pari con il wordcount per oggi, ma si impone di andare avanti e mantenere la media.
Non mi preoccupa, visto che è domenica. Il difficile comincerà domani, quando avrò soltanto la sera (e si preannuncia una settimanaccia di quelle toste, probabilmente arriverò a casa ridotta uno straccio).
Anche stavolta, ho iniziato a fatica, poi ho cominciato a filare. 
Questa storia mi pone diversi problemi, perché ho deciso di cimentarmi con la fantascienza.
Ne ho letta tanta (il primo romanzo che mi hanno messo in mano è stato un Urania e non credo che avessi ancora otto anni), ma scritta quasi niente. Solo Il sonno del faraone
Quindi, sono un'assoluta esordiente e ne sto scontando il prezzo. Passare da un genere a un altro non è per niente facile: cambiano i tempi, i tagli, la terminologia. Sento molto l'incertezza di non sapere se stai facendo la cosa giusta nel modo giusto (ma questa dovrei proprio scrollarmela di dosso, ora. Avrò tempo in seguito per preoccuparmene). Inoltre, l'ambientazione è qualcosa di nuovo per me e, dopo due anni di Spéza, devo abituarmici.
Ma tengo duro e vado avanti: dovrò lavorare come un cane in fase di revisione, ma non mi importa. L'obiettivo attuale è - al di là delle duemila parole al giorno - arrivare al trenta di novembre con il first draft completo e la parola fine messa. Poi, un mese di decantazione, durante il quale non voglio neanche sapere che Kismet esiste, e dopo si comincia a ragionare.
Adesso, visto che ho tempo, mi concedo il lusso di rileggere tutto prima di attaccare.
Au revoir!

sabato 3 novembre 2012

Presa per sfinimento.

No, è che il piccolo nerd interiore è da ieri che pigola. Non so il vostro, ma il mio, quando non è a farsi i fatti suoi, attaccato a qualche videogame d'epoca - tipo Monkey Island II o Indiana Jones IV The Fate Of Atlantis -, pigola. Non lo fa a caso, è tutt'altro che scemo, lui: vuole qualcosa e sa che, se insiste abbastanza a lungo, la otterrà. Se non altro perché almeno sta zitto.
Volete sapere cosa pigola? Questo:
E provateci voi a lavorare e scrivere con qualcuno (stonato) che vi pigola faaaammi volare capitanooo senza una meta fra pianeti sconosciuti per rubare a chi ha di piùùùù (che poi non sa le parole, quindi ripete solo questo, ad libitum).
Insomma, è successo che ieri pomeriggio - giornata di non ponte, per me - sono approdata al parco vicino a casa con i cuginetti. Approdata fresca fresca (si fa per dire) di prove sul terreno, c'est a dire, fragrante di erba, fumi di scarico, olio e grasso di motore. (Capita, quando hai a che fare con un penetrometro leggero in età avanzata, ma ancora in gamba, eh, che poi si offende e rifiuta di accendersi quando sono nei pressi).
Comunque, dicevo, le giostre. A parte che conservano intatto quel fascino che sa più di aspettativa che di altro, il discorso è questo: da che mondo e mondo, alle giostre c'è la musica. Solo che - la cosa mi ha sorpresa, lo ammetto - non si trattava delle sigle dei cartoni animati di oggi (quali sono? Non lo so). Si trattava di una selezione quantomeno vintage: fra le canzoni spiccava, appunto, Capitan Harlock.
Che, ai tempi, ho guardato ben poco, o meglio, per niente: è andato in onda dal '78 al '79 e io avevo solo tre anni (però mi ricordo che avevamo un pupazzetto di gomma di Harlock, ereditato penso da un cugino più grande, che era fonte di aspra contesa fra me e mio fratello).
Per farla breve, ho deciso di guardare l'anime.
A quanto pare è un capolavoro assoluto (quantomeno il manga, l'anime credo che l'abbiano censurato a mostro, qui, come al solito). Ho iniziato il primo episodio - giusto iniziato, perché poi incombevano le duemila battute del NaNo - ma ho fatto in tempo a vedere l'entrata in scena e a pensare "Oh. Però l'Arcadia è figa!" (il piccolo nerd ha smesso di fare quella specie di lamento che lui chiama "cantare" per dirmi "Te l'avevo detto, io!").
Okay lo guardo e, lo ammetto, non solo per far star zitto il piccolo nerd: sono proprio curiosa. Tanto curiosa. E - proprio perché sono maniaca inside - ho già cominciato a pensare: "Sarebbe molto interessante leggere il manga..."

venerdì 2 novembre 2012

Il NaNo quotidiano.

Secondo giorno di NaNo e 2088 parole in saccoccia.
Ho ripreso l'inizio, rimpolpandolo, e adesso mi è leggermente più gradito (ma solo leggermente). Poi, fatto quello, sono andata avanti, arrivando fino a un cambio scena.
Ho scoperto qualcosa che non mi aspettavo del mio protagonista. Non so se sia normale che questi se ne escano con 'ste sorprese a questa maniera, ma ormai sono rassegnata: funziona così.
Sono contenta perché ho avuto meno difficoltà di ieri a ingranare - in realtà, non ho avuto difficoltà in senso assoluto. 
Potrei andare avanti, ma preferisco riflettere un po' su quello che mi aspetta domani. E poi non voglio strafare: credo che l'importante sia disciplinarmi, acquisire una routine. Questo significa niente eccezioni, né in senso positivo né in senso negativo.
Visto che sono stata brava e ho fatto i compiti, adesso mi premio: infuso caldo e bel libro. (Anche perché è stata una giornataccia e sono effettivamente molto stanca).

giovedì 1 novembre 2012

NaNo-Start


Ho rotto tanto le scatole e finalmente è cominciato! Il NaNo! Sono una donna felice!
Visto che la dolce metà ha deciso che dovevamo andare all'Ikea, ho potuto scrivere solo stasera, ma ero operativissima già da stamattina. Mi sono portata dietro netbook e manuali e, durante il viaggio, ho messo a punto gli ultimi dettagli di pianificazione. 
Poi, una volta a casa, sono partita all'attacco. Tutto sommato, l'impatto con la pagina bianca è stato tosto: in genere, quando mi rendo conto che "non va" non mi forzo a scrivere, ma, cavolo, saltare il primo giorno mi sembrava proprio un brutto modo di iniziare.
Devo dire che, dopo le prime trecento parole, però, ho cominciato a procedere bene.
Il bottino di stasera è di 2050 parole: ho deciso di seguire i consigli (vabbé, più che "consigli" gli "ordini") di Novelist's Boot Camp e di fissare un obiettivo di scrittura giornaliero: duemila parole almeno, e sono decisissima a rispettarlo. (Mi piace un sacco il tono da "poche mozze e scrivi" di questo manuale. Voglio farmi fare una tazza con il logo del Boot Camp e la scritta "Stop sniveling e do push-ups").
Ho riletto quel che ho scritto? Sì.
Ne sono soddisfatta? Assolutamente no, è un tappami Levante da manuale! L'immagine di apertura è loffia, i dialoghi non mi convincono, il punto di vista che ho scelto mi desta qualche perplessità e l'ambientazione - che mi piace - è ancora un po' troppo in sordina. Ma per ora va bene così, mi sono divertita a scrivere e tanto basta.
A differenza degli scorsi anni, ho uno straccio di storyline e sono riuscita a pianificare con abbastanza precisione: ho i primi quattro giorni di lavoro solo da scrivere ("solo", come fosse facile). Mi sono fermata perché ho raggiunto un bivio e voglio riflettere bene su cosa comporta lo scegliere l'una o l'altra soluzione.
Domani altre duemila parole, con un setting diverso da quello di oggi, che mi incuriosisce davvero tanto e non vedo l'ora di mettere in scena. Se chiudo gli occhi riesco a vederlo!