lunedì 29 luglio 2013

Little Brother - Cory Doctorow

Ci sono cose che ti spaventano pur essendo inventate. E ci sono cose che ti spaventano perché sono troppo reali.
Un esempio? Little Brother.
Il romanzo di Doctorow - che è stato anche tradotto in italiano da Newton Compton con il titolo X (e per una volta non hanno fatto messo un titolo accazzo!) racconta la storia di Marcus, un diciassettenne di San Francisco. 
Marcus è un ragazzino qualunque, mediamente imbranato con l'altro sesso, un po' nerd, traffica parecchio con i computer. Questa sua dimestichezza lo aiuta di aggirare i sistemi di monitoraggio, controllo e sicurezza che ormai a scuola la fanno da padrone, in particolare il sistema di riconoscimento della camminata (adottato perché un sistema di riconoscimento facciale è stato ritenuto lesivo della privacy), i vari arphid - sistemi di tracking applicati, per esempio, ai libri della biblioteca - e, soprattutto, gli SchoolBook, i computer forniti a ciascuno studente dalla scuola stessa e che, nelle intenzioni, dovrebbero servire al posto dei libri di testo, impedendo nel contempo che vengano effettuate con essi attività non consentite - tipo andare on line o chattare fra studenti (ma che sono equipaggiati con il più rumentoso armamentario marca Microsoft). La vera passione di Marcus è un gioco on line che si chiama Harajuku Fun Madness che è composto non solo da quiz on line ma da alcune parti che devono essere completate girando per la città. Non è un gioco semplice e Marcus gioca insieme al suo team di amici: Darryl, Jolu e Van, che è l'unica ragazza.
Fin lì mi ricordava parecchio Ready Player One, e  mi andava benissimo, adoro quel libro. Solo che Doctorow mi ha tirato il tappeto da sotto i piedi: no, non assisteremo alle peripezie dei quattro mentre tentano di vincere HFM. Perché, proprio mentre sono in giro, dopo essere scappati da scuola per cercare un indizio di HFM, il Bay Bridge e una parte del BART (Bay Area Rapid Transit) vengono fatti saltare. Attentato terroristico.
Ed è qui che il racconto si fa interessante (e oltremodo spaventoso). Perché i ragazzi - che stanno cercando aiuto, visto che Darryl, nella ressa, è stato accoltellato -, vengono sequestrati da dei militari non meglio identificati. Vengono incappucciati, con le mani e i piedi legati da fascette plastiche, caricati su una nave e, infine, gettati in cella. Perché? Da chi?
Dalla Homeland Security, sulla base del famoso Patriot Act, sì, proprio quello che Bush Jr. cacciò giù nel gargarozzo agli americani all'indomani dell'undici settembre.
Da quell'esperienza, Marcus riemergerà cambiato per sempre: spezzato e umiliato, senza Darryl, scomparso nel buco nero di questa fantomatica prigione, ma anche deciso a farla pagare ai suoi aguzzini che, in nome di un sospetto, hanno violato la sua privacy, l'hanno detenuto senza informare i genitori, minacciato, fatto oggetto di vessazioni psicologiche per poi rilasciarlo - dopo avergli fatto firmare "alla cieca" dei documenti che li mettono al sicuro da future ripercussioni. La storia è quella di una guerra, una guerra che vede contrapposti gli Xnetters, ragazzi che vogliono il diritto a vivere in un paese che non tratta la propria costituzione e il Bill of Rights come "una traccia da seguire", e la Homeland Security, che invece propugna un inasprirsi delle misure di sicurezza - che comporta pesanti restrizioni alle libertà personali - in nome di una lotta al terrorismo che, di fatto, si rivela un fallimento. Non è un caso che, degli attentatori del Bay Bridge nulla si sappia mai. Questa contrapposizione arriva fino al nucleo stesso della società, dentro le case delle persone, anche quella di Marcus che, con sommo disappunto e rabbia, si ritrova a vedere il padre - un democratico - che appoggia le misure proposte dal DHS.
Il libro soffre - a mio parere - di pesanti spiegoni in merito a tecnologie di rete e crittografia, che però sono necessari per capire cosa Marcus fa e come riesce a farlo.
Il mio consiglio è: leggetelo. Se non altro perché è inquietantemente verosimile.
Svendere le proprie libertà personali in cambio di una (supposta) sicurezza non è mai una buona idea. Mai.
Ah, prima che mi dimentichi: pensate che certe cose succedano solo in America?
Allora vi dico due parole.
1. Anagrafe.
2. Tributaria.
L'agenzia delle entrate, con il beneplacito del nostro governo, si permette di spiare i nostri conti correnti con la scusa di "stanare gli evasori fiscali". Ragion per cui eh, attenti a conservare ogni documentazione fiscale per dimostrare che tutte le transazioni sono legittime. Perché, in teoria, la presunzione di innocenza sarebbe sancita dalla costituzione, ma in questo caso, no. Dobbiamo dimostrare di essere innocenti perché il fisco, è evidente, parte dal presupposto che siamo colpevoli. E questo mi infastidisce anche se, e sia chiaro, chi evade le tasse non è un furbo, non è un Robin Hood dè noantri, non è un bandito galantuomo. Chi evade le tasse è un criminale.
Siete ancora convinti che certe cose succedano solo altrove?




EDIT: visto quanto detto nei commenti, ve lo specifico qui: è possibile scaricare Little Brother anche dal sito dell'autore http://craphound.com/ 
Vorrei aggiungere, però, una cosa. Il fatto che un autore metta a disposizione gratuitamente il frutto delle sue fatiche è meraviglioso. Per questo sarebbe carino, invece di scaricare come si dice "a ufo", usare quel bel tastino "donate" e comprarselo, il libro. Che tutto quello che volete, ma anche gli scrittori devono mangiare, eh.

venerdì 26 luglio 2013

Scrittura&Lettura

Periodo indaffarato, nonché piagato da un caldo orrendo e un'afa tropicale.
Vi dico solo che il mio ufficio, al pomeriggio, è invivibile. (Infatti ieri, invece di venire a lavorare, ho preso il traghetto e me ne sono andata al mare!)
La mia avventura anglofona procede, ma sono arrivata alla prima difficoltà seria.
Anche se mi secca orribilmente ammetterlo, quando scrivo l'elemento che mi crea più problemi sono i personaggi (dice: e sticazzi!). Il setting è la cosa che mi diverte e mi piace di più, con il plot diciamo che pasticcio ma me la cavicchio, i personaggi invece sono un osso duro da rodere.
Fra tutti quelli che mi creano problemi, il protagonista di Kismet vince la palma d'oro come miglior rompiballe. Non so proprio come prenderlo, 'sto tizio.
Conosco la sua storia - nei dettagli, oltretutto - ma, porca paletta, non so proprio che tipo sia.
La sensazione è avere di fronte un oggetto misterioso che non sai bene come approcciare. E così lo guardi, lo riguardi, gli giri intorno, fai un passetto e ti avvicini, ma poi ti allontani subito dopo. Per ora, me la sono cavata, perché costui non è il primo a entrare in scena. (E sì, lo so che poi chi legge non capisce che il protagonista è lui, ma cosa vi devo dire?).
Adesso, però, siamo alla resa dei conti: è arrivato il suo turno. E sono arrivati i problemi (per me).
Così, ho provato a fare qualcosa che non avevo mai tentato prima. Ho provato il metodo del dossier. Nella terza lezione - quella sulla caratterizzazione dei personaggi - Sanderson parla di vari metodi per "lavorare" sui personaggi. En passant, nomina anche questo, dicendo esplicitamente che lui non lo usa. Ma... ve l'ho mai detto che sono un bastian contrario?
Da tutte quelle domande qualcosa è venuto fuori, ma ho la sensazione di non aver ancora centrato l'obiettivo. Mi ci sono avvicinata, sono lì-lì, ma ancora manca qualcosa.
In compenso, sono molto soddisfatta del setting. Anche se ci sono cose da precisare, la Kismet mi piace proprio tanto. (E anche a chi legge, visto che è arrivato un altro feedback positivo! Sì, mi sto bullando. Prendetemi così, fra un po' cadrò nell'abisso del "fa tutto schifo" per poi vagare nelle "desolate lande della paranoia" e sarà molto peggio).
Voglio superare quest'impasse e andare avanti. Quindi oggi, dopo aver finito la relazione per un pergolato del piffero - regge pannelli solari, non viti - mi metterò al pezzo.
Quanto al resto, sto leggendo Little Brother, di Cory Doctorow. Mi sta piacendo da impazzire, anche se è un pugno nello stomaco. (Sono sempre più meravigliata del fatto che certe cose qui da noi non arrivano).
Lasciatemelo finire, ve ne parlerò!

martedì 23 luglio 2013

Signs of life

Mentre ero impegnata a fare altro, la Parietaria ha superato le ventimila visite. Il che mi lascia basita, visto che non mi-ci avrei dato una lira bucata. Me ne sono accorta tardi, mi è dispiaciuto non vedere il counter con tutte le cifre tonde.
Per il resto:
  • Il lavoro è tanto, rincorrere i debitori mi assorbe un sacco di tempo (ma porta anche frutti, fortunatamente).
  • Ho prenotato le vacanze! Non vi dico ancora dove vado (in un certo senso, ancora non lo so di preciso, ma spero di riuscire a vuotare il sacco presto). Ovviamente, aspettative altissime.
  • Sono sempre più soddisfatta sia dell'effetto che la sfida di scrivere in un'altra lingua ha su di me - rinnovato entusiasmo! -. sia dei risultati - perché i commenti sono tutti positivi, yeah! L'atmosfera, per quel che ne posso percepire data la distanza e le modalità, è davvero positiva e propositiva: non si ha per niente la percezione di esasperata competitività fra partecipanti, ma piuttosto di una solidarietà da "siamo tutti nella stessa barca cumpà, siamo tutti qui per imparare". Ed è bellissimo! Una boccata di aria fresca. Il mio wordcount - mille parole a settimana - per ora è fermo a circa trecento: sono arrivata a uno snodo cruciale e devo scioglierlo senza commettere stupidaggini. Ho un piccolo progettino che riguarda questa storia, ma per poterlo attuare prima devo finirla... e quindi, al lavoro: due relazioni da preparare e una da finire, ma prima voglio mettere insieme almeno altre duecento parole.


venerdì 19 luglio 2013

Il paradiso dei calzini

Dove vanno a finire i calzini
quando perdono i loro vicini
dove vanno a finire beati
i perduti con quelli spaiati
quelli a righe mischiati con quelli a pois
dove vanno nessuno lo sa
Dove va chi rimane smarrito
in un'alba d'albergo scordato
chi è restato impigliato in un letto
chi ha trovato richiuso il cassetto
chi si butta alla cieca nel mucchio
della biancheria
dove va chi ha smarrito la via
Nel paradiso dei calzini
si ritrovano tutti vicini
nel paradiso dei calzini..
Chi non ha mai trovato il compagno
fabbricato soltanto nel sogno
chi si è lasciato cadere sul fondo
chi non ha mai trovato il ritorno
chi ha inseguito testardo un rattoppo
chi si è fatto trovare sul fatto
chi ha abusato di napisan o di cloritina
chi si è sfatto con la candeggina
Nel paradiso dei calzini..
nel paradiso dei calzini
non c'è pena se non sei con me
Dov'è andato a finire il tuo amore
quando si è perso lontano dal mio
dov'è andato a finire nessuno lo sa
ma di certo si trovera' la'..
Nel paradiso dei calzini
si ritrovano uniti e vicini
nel paradiso dei calzini
non c'è pena se non sei con me
non c'è pena se non sei con me


giovedì 18 luglio 2013

Pacific Rim


Wooohoooo! Ieri sera io e il piccolo nerd - con la mia dolce metà al rimorchio - siamo usciti dal cinema esaltati come non mai.
Perché? Effetto Pacific Rim.
Allora, non vorrei ripetere quel che altri hanno già detto, anche perché di Pacific Rim se n'è parlato, se ne sta parlando e, suppongo, continueremo a parlarne per un bel po', ma eh, tutto quel che mi viene in mente è

FIIIIIICOOOOO!

Allora, Pacific Rim è fico. Ma non fico così. Fico all'ennesima potenza.
Che posso dirvi? Che se siete stati bambini negli anni Ottanta - cresciuti a pane e Ufo Robot (e Mazinga Z, e il Grande Mazinga, e Goldrake, e Daitarn 3), o se siete appassionati di Gundam (e di Evangelion e, in definitiva, di robottoni), non ve lo potete perdere.
Sul serio, non potete.
E ve ne dico anche un'altra: fatevi un favore. Andate a vederlo al cinema. Investite i soldini del biglietto, non state a scaricarvelo, perché questi sono i film che vanno visti in sala, con lo schermo grande, il sistema audio che pompa a tutto volume. Non so come sia in 3D (la dolce metà ha letteralmente preteso il 2D), quindi su quello non so che dirvi. L'importante è che sia al cinema.
Pacific Rim è un compendio. Avete presente tutte quelle cose che ci hanno esaltati da bambini - i robottoni giganteschi, i mostri venuti da strane dimensioni e decisi a invadere la terra devastando le metropoli, i piloti coraggiosissimi e votati al sacrificio con le tutine aderenti, il testone del robot che percorre il tunnel e si va a innestare sul corpo?
Ci sono tutte. Ma proprio tutte. E sono bellissime. Meglio di quand'erano disegnate - beh, ovvio - meglio ancora di come potevate immaginarvele. E sembrano vere. Plausibili. Robot alti come palazzi che combattono mostri ancora più grandi... e sembrano veri!
La CGI c'è, ma non si vede. Ed è fantastico.
E gli jaeger! Quanto sono fighi gli jaeger... Gipsy Danger, Cherno Alpha, Striker Eureka, Crimson Typhoon, ho imparato i nomi a memoria sentendoli una volta sola. E, finito il film, me lo sarei riguardato daccapo. È un trip che non finisce. Ne vuoi dell'altro, ne vuoi di più. Vuoi altri jaeger, tutti diversi, vuoi altri kaiju, altre basi segrete o quasi.
Personalmente, ho gradito di più le sequenze nello Shatter Dome - le officine, gli jaeger in riparazione, insomma, la parte tecnica che i combattimenti fra jaeger e kaiju (anche se la scena della nave usata come mazza - e quella dei container ridotti a tirapugni - mi hanno esaltato. E, ah, anche quella sott'acqua, quando Striker Eureka caccia fuori i pugnali è una roba da urlo).
Insomma, cavolo, ancora qui state? Prenotatevi i biglietti!

lunedì 15 luglio 2013

Riding my panda!

Continuano le mie avventure con l'inglese, fra perplessità, errori e qualche divertente fraintendimento. Per ora ho ricevuto due feedback e sono abbastanza positivi - il che mi rende felice, chevvelodicoaffà.
La decisione di partecipare a questo corso, per quanto azzardata, si sta rivelando quella giusta: mi sono sbloccata e sto riscrivendo la storia in un modo finalmente "mio".
Doverla riscrivere in un'altra lingua mi costringe la me stessa attaccata come una cozza al testo originale a lasciarlo andare: non posso conservare le frasi così come sono. Sono costretta a ripensarle e, nel far questo, finisce che ripenso tutto quanto. Considerato che prima faceva pietà, direi che è altamente positivo.
I cambiamenti che ho apportato sono tanti, ho appena cominciato e sono/saranno radicali. Già un personaggio è volato nel paradiso dei personaggi esclusi, come successe a Kevin Costner per Il grande freddo e un altro si appresta a seguirne le orme.
Ho pensato che farla semplice può essere un'ottima idea.
Finalmente, la Kismet ha iniziato a prendere forma davanti ai miei occhi: la vedo, la sento, la annuso (e non è un odore molto piacevole). I personaggi - anche se uno alla volta - hanno iniziato ad agire per conto loro, come è giusto che sia.
Le lezioni di Sanderson sono appassionanti e divertenti e ho scoperto di non essere l'unica che usa un intero first draft semplicemente come outline. Lo so, è roba da matti. Però ti fa sentire meno strana. Oggi dovrebbe andare on line la seconda, il che vuol dire che ho tempo fino a lunedì prossimo per postare altre mille parole.
Oltretutto, saranno mille parole scritte direttamente in inglese: avendo cambiato il plot, per questa parte, ho bisogno di un paio di scene di raccordo.
A questo punto, la vecchia me avrebbe detto: "Speriamo bene".
La nuova me invece dice...
L'immagine viene da qui


sabato 13 luglio 2013

Avventurieri sul crocevia del mondo.

Ci sono delle volte in cui, per un motivo o per l'altro (solitamente, o perché sono depressa o perché, al contrario, sono contenta) ho voglia di comprarmi qualcosa.
Non è che sia tanto importante il "che cosa", quanto l'atto stesso del comprare.
Va da sé che, novantanove virgola nove volte su cento, il nuovo acquisto è un libro o meglio, un ebook, visto che delle mie remore all'acquisto del formato cartaceo vi ho già parlato qui.
Ora, siccome non è importante il che cosa e la "voglia di shopping" nasce priva di un ben definito bersaglio, ho chiesto consiglio ad alcuni compagni di avventure.
Questo post ne è la conseguenza.
Chiariamo una cosa: conosco Davide e ho stima di lui, sia come blogger, che come autore, che in quanto persona dotata di un'enciclopedica cultura in merito alla narrativa fantastica.
E poi è un geologo, come me (ok, quest'ultima è irrilevante).
Ma se vi consiglio di comprarvi il suo libro e leggervelo, non è certo per amykettismo: è perché il libro è bello. Punto.
Si tratta di un saggio molto interessante e molto divertente che nasce dalla passione del suo autore per le esplorazioni, le avventure, l'orientalistica, la via della seta e, perché no?, per la narrativa pulp.
E se vi state domandando: "Ma io cosa devo aspettarmi?"
Diciamo una sfilata di  avventurieri, studiosi, maneggioni e spie, dei quali Davide racconta in tono divertito e divertente. Gente che si imbarca in viaggi lunghissimi attraverso territori selvaggi solo per vedere cosa c'è alla fine della strada e che fa scoperte straordinarie cercando tutt'altro (dando la caccia a qualche leggenda, tipo lo yeti, o l'anello mancante fra l'uomo e la scimmia), o che rischia la decapitazione solo per il gusto di entrare - travestendosi da portatore locale - in un territorio proibito. Che si trova ad aver a che fare con Bolscevichi, Nazisti, Musulmani Cinesi, reincarnazioni più o meno probabili (e parecchio instabili mentalmente) dei Lama, briganti e predoni di vario genere.
Insomma, il Crocevia è un ottimo esempio di divulgazione, si legge d'un fiato, è pieno di notizie e aneddoti interessanti, con un solido inquadramento storico-politico, una storia non-storia che avrà su di voi due effetti collaterali.
1. vi spingerà a volerne ancora, ragion per cui vi ritroverete a desiderare di saccheggiare l'intera bibliografia che Davide - da buon studioso - ha inserito alla fine del testo. (Mossa intelligente, comunque, visto che sennò si sarebbe ritrovato me attaccata stile zecca: "Oh, ma mi dici il titolo del libro di Tizio? Dove lo trovo il libro di Caio?")
2. vi farà rimpiangere il fatto che oggi il mondo è davvero piccolo. Possiamo compiere spostamenti enormi in poche ore o, con un semplice click, vedere posti lontanissimi. Ma le avventure lungo la Via della Seta di cent'anni fa... quelle erano un'altra cosa, purtroppo.
Ancora qua, state? Filate a comprarvelo!

venerdì 12 luglio 2013

Saddle up my panda



Dunque, non volevo dire niente, anche perché la figura di palta è davvero probabile, ma è risaputo che non tengo nemmeno il semolino, quindi vi spiffero la mia ultima follia.
Anche perché erano mesi che attendevo di compierla!
Sto partecipando a questo: una classe di scrittura creativa on line che segue il corso tenuto da Brandon Sanderson alla Brigham Young University.
[Meglio che ve lo dica: è gratis ed è appena iniziato. Basta registrarsi qui e si può cominciare!]
Ci sono le lezioni in video, e poi si devono postare - sull'apposito forum - almeno mille parole a settimana (lo scopo è arrivare fra quattro mesi ad avere una novel di circa trentamila parole). Altro obbligo è quello di commentare almeno quattro altri testi (con un minimo di centocinquanta parole).

Volete sapere la genialata? Se lo scribacchino vuol vedere i commenti al suo pezzo, deve sbloccarsi dei "crediti reputazione". Come? Facile: ti vengono assegnati quando commenti gli altri. Altrimenti, e qui sta il nocciolo della questione, vedi che qualcuno ha scritto qualcosa a margine del tuo testo, ma... col cavolo che lo leggi!
Fantastico, vero? Il piccolissimo particolare è che devo farlo in inglese.
Non ho problemi di comprensione dei testi - o del parlato - visto che tutto quello che leggo e guardo ormai lo leggo e lo guardo in lingua originale, ma scrivere? Quella è tutta un'altra cosa.
Sto facendo una fatica bestiale. Però è divertente, molto. E proficua, visto che la sto usando per riscrivere Kismet e che il nuovo incipit è decisamente migliore di quello precedente (non che ci volesse poi molto, quello vecchio era una vergogna).
A volte bisogna fare cose nuove, per sbloccarsi!

lunedì 8 luglio 2013

Oggi parlo di me - La sentinella del Golfo

In genere, non parlo di Ultimo Orizzonte, qui. Tantomeno, del suo non voglio dire prequel, sennò qualcuno mi cazzia, ma del racconto che ne condivide l'ambientazione e i protagonisti: La Sentinella del Golfo.
Perché?
Perché mi va e perché è uscita questa recensione che è stata un balsamo sulle mie ferite (il periodo non è felice, no, ma cerco di non indulgere nel pensiero negativo, di cui sono assoluta specialista).
La Sentinella è nata per via della partecipazione a The INCIPIT e, sì, mi ci sono divertita, ma... è stata anche una faticaccia, perché era essenziale rimanere entro un numero stabilito di episodi - il che non era poi tanto un problema - ma soprattutto di battute.
E io sono prolissa, ma aiutatemi a dire prolissa. Con duemila battute faccio fatica anche a dire "ciao, come stai?".
Quindi, per me, la Sentinella è stata una sfida difficile, anche perché Spéza è un posto che ha bisogno di descrizioni. Cioé, più che altro succede che, quando inizio a scriverne, mi vien voglia di esplorarla e finisco per debordare dai limiti imposti.
Il peggio è che mi ci diverto, quindi anche tagliare, condensare, escludere, diventa una mezza tragedia.
Si dice che facendo qualcosa di nuovo si impara. Per una sbrodolatrice come me, quindi, è stato utile avere dei limiti invalicabili?
Sì e no. Sì, nel senso che oh, volere volare ho dovuto per forza limitarmi. E no, nel senso che prolissa sono e prolissa rimango: il dono della sintesi, evidentemente, non è fra i miei superpawa!
Comunque, giusto per non smentirmi, ho divagato e debordato.
Volevo solo ringraziare Marco per le belle parole e la bella recensione!