lunedì 30 settembre 2013

Once Upon A Time S03 E 01 - The Heart of The Truest Believer

Ci siamo, finalmente!
Il momento è arrivato: siamo approdati  a Neverland.
Dopo due stagioni di Storybrooke, il cambio di ambientazione ci voleva e Neverland - per quel poco che se n'è visto - merita assai.
È oscura, complicata e, a quanto pare, obbedisce a regole che con la fisica hanno ben poco a che fare.
Cercherò di spoilerarvi il meno possibile, ma ci sta che qualcosa mi scappi sull'onda delle good vibes - no, entusiasmo sarebbe troppo, ma buone vibrazioni sì - quindi siete avvisati.
Dunque, dove eravamo rimasti? Ah sì: Henry rapito e portato a Neverland da quei due bei tomi di Greg e Tamara, il dream team di nonnini, mamme & amici di famiglia di vecchissima data all'inseguimento a bordo del Jolly Roger e, giusto perché le cose non sono abbastanza incasinate, Neal vivo - ma ferito - sbalzato nella Foresta Incantata giusto in tempo per venire soccorso da Aurora, Philip e Mulan (sì, ma che gran coincidenza).
Come primo episodio direi che è ricco di spunti: c'è un sacco di carne al fuoco, da qualsiasi parte la si prenda.
Tanto per cominciare, scopriamo quasi subito chi è il misterioso boss di Greg e Tamara e, anche se non è poi una gran sorpresa (del resto, le linee narrative convergevano tutte lì), resta da capire per quale motivo li abbia, diciamo così assoldati. Dall'altra parte, sulla nave, la tensione esplode - causando la prima dimostrazione del fatto che a Neverland non valgono le leggi fisiche della Terra e che anche la magia ha un comportamento tutto suo. 
Come dice Mr.Gold rivolto a Emma - vestito a la Rumplestiltskin per l'occasione (commento parecchio sarcastico di Hook: Oh, that's a great use of our time... a wardrobe change), Neverland is a place where imagination runs wild. Sadly, yours doesn't.
Così, mentre lui parte alla ricerca di Henry - che, nel frattempo, è nei casini per conto suo e non vi dico perché - gli altri vengono lasciati sul Jolly Roger e, dopo essere più o meno sopravvissuti a un attacco da parte delle sirene - ma io avrei preferito il kraken -, pensano bene di mettersi a litigare nel bel mezzo di una tempesta. Vedere Regina e Snow prendersi a sberle urlandosi di tutto è divertente, ma non tanto quanto vedere LOLlo - sì, è lolloso come sempre, by the way - rifilare a Hook un papagno perché ha chiamato Snow "slag" (non è un modo da gentleman, no. In realtà lui dice "slags", perché in quel momento Regina e Snow si stanno accapigliando, ma giustamente LOLlo di Regina se ne sbatte).
Insomma, la nave rischia di andare a picco, ha di prua un'onda che manco ne La tempesta perfetta e questi si prendono a sberle, mentre Emma è l'unica a cercare di far qualcosa di sensato tipo tenere il timone. E quando si accorge che la tempesta non è per colpa delle sirene, ma per colpa dell'odio che li divide lo dice anche... ma praticamente il ponte della nave si è trasformato in un un ring della World Wrestling Federation e nessuno se la fila di pezza. Così lei si butta in acqua.
Sì, avete capito bene. Si butta in acqua. E si becca anche un bozzello sulla crapa, giusto per gradire. Così tutti fanno fronte comune per salvarla e la tempesta si placa.
Nel frattempo, Neal, dopo aver saputo che i suoi salvatori conoscono Emma e Snow - maaaa che coincidenzaaaa signora mia! -, vuole a tutti i costi poter vedere Emma e va con Mulan al castello dell'Oscuro - alias il suo papi - che però è occupato da uno squatter d'eccezione: Robin Hood, il quale si sente in debito con Rumplestiltskin - del resto, lui ha risparmiato la sua vita, anche se, secondo me, è più in debito con Belle - e, quando sente che Neal è in realtà Baelfire, il figlio dell'Oscuro, lo lascia cercare per il castello: Neal vuole un gingillo magico che gli permetta di contattare Emma. Lo trova - ma non vi dico come - e scopre tadadà! che lei non è a Storybrooke: è a Neverland!
Nel frattempo, gli altri sono sopravvissuti alla tempesta perfetta - ma il Jolly Roger imbarca acqua - e sono stati costretti a sbarcare. E viene il momento del discorso epico motivazionale di Emma - che si auto-elegge leader. Neverland è un posto in cui credere è fondamentale e giusto questo devono fare. Credere in loro come gruppo - oltre alle ovvie rimostranze di Regina - c'è da segnalare Hook il quale, con quella nonchalance molto british - unita alla figaggine intrinseca - se ne esce: Actually, I quite fancy you from time to time, when you're not yelling at me.
E Rumplestiltskin? Ed Henry?
Rumplestiltskin ha un confronto molto serrato con il capo dei ragazzi perduti dal quale, stranamente, esce sconfitto. Però il nostro Oscuro sa parecchie cose. Molte più di quante non ne riveli (del resto, sappiamo bene com'è fatto).
Quanto ad Henry... mettiamola così: è faccia a faccia con qualcosa di molto, molto pericoloso.
E adesso... si aspetta domenica prossima.

venerdì 27 settembre 2013

Doctor Sleep - Stephen King

Quando venne fuori la notizia che il Re stava lavorando sul seguito di Shining, presi la cosa con un bel po' di scetticismo.
Minestra riscaldata! Non lo leggerò mai!
Dovete capirmi, gli ultimi  libri dello zio Steve non mi sono piaciuti granché. Full Dark No Stars, a mio modesto parere, è più mestiere che altro, Joyland, suvvia, è un modesto raccontino. Sì, l'ambientazione nel Luna Park è suggestiva, ma se togliamo quella e il ragazzino... resta poco.
Andando più indietro, non sono riuscita a finire 11/22/63 perché - spiace dirlo - mi annoiavo.
E The Dome... beh, The Dome ha un finale che grida EPIC FAIL (proprio così, a lettere maiuscole).
Ho letto quasi tutti i libri di King - non tutti, la maggior parte - e, a malincuore, resto innamorata più della sua produzione anni Settanta-Ottanta. Quando si tratta del Re, Le notti di Salem, It e L'ombra dello scorpione sono la mia personale trinità.
Anche Shining non mi dispiace affatto: è un buon libro. Un King ancora immaturo, ma è senz'altro un buon libro. E l'Overlook Hotel è entrato nell'immaginario collettivo. Insomma, come si poteva anche solo pensare di eguagliarlo?
Ma poi Doctor Sleep è uscito - in America, sia chiaro, se lo volete in italiano mi sa che dovrete aspettare ancora un po' - e grazie al cielo esiste la Kindle Edition (a un prezzo vergognoso, devo aggiungere)... insomma, ho deciso di leggerlo.
Volete sapere com'è? Ve lo dico.
È un gran libro.
Dopo un breve prologo, un paio di anni dopo la conclusione di Shining, ritroviamo Danny - ormai adulto - e alle prese con gli stessi demoni del padre: l'alcolismo e la rabbia.
Non ha perso il suo potere - lo shine - e l'alcool è l'unica cosa che lo aiuta a tenere a bada visioni, premonizioni e brutti sogni. La sua vita è un intervallo sbiadito fra una sbronza e l'altra, un lavoro e l'altro, una città e l'altra, in una fuga che sembra infinita e che si arresta, dopo un'esperienza scioccante che fa capire a Dan di aver toccato il fondo, a Frazier, nel New Hampshire.
Lentamente e faticosamente, lui ritrova un suo equilibrio - sempre in lotta con il demone della bottiglia che lo tenta - e diventa Doctor Sleep, l'infermiere che aiuta, insieme al gatto Azreel detto Azzie, i degenti dell'ospizio Helen Rivington House nel momento del trapasso.
Nella vicina Anniston, intanto, una bambina nasce con la camicia: è Abra Stone e, se paragoniamo lo shine di Danny a una torcia... quello di Abra è un faro. Ben presto, Dan si accorgerà di lei e i due faranno amicizia.
Ma un faro attrae anche l'attenzione e, nel caso di Abra, è quella di una bizzarra tribù di gente. Si riferiscono a loro stessi come True Knot e, a vederli, sono solo un gruppo di persone di mezz'età che viaggiano in RV. Puliti, simpatici, con tutte le licenze in ordine e soldi in tasca.
Hanno dei nomi un po' strani, un po' pirateschi - Rose the Hat, Barry the Chink, Crow Daddy, i gemelli Pea e Pod, Snakebite Andi - ma sembrano a posto.
Sembrano.
Perché loro sono vecchi, molto più di quanto non appaiano. Hanno poteri paragonabili a quelli di Dan e Abra... e si nutrono di quel che loro chiamano "steam". L'anima nel momento del trapasso, arricchita da dolore e paura, di bambini speciali. Bambini dotati.
Hanno messo gli occhi su Abra, ma, prima di arrivare a lei, dovranno vedersela con Dan.
Mi sbagliavo. Doctor Sleep non è una minestra riscaldata.
Semplicemente, Doctor Sleep non è Shining. Non gli assomiglia nemmeno.
Sono passati oltre trent'anni e si percepiscono tutti: King ci racconta, con una mano lievissima, una storia diversa: non ci sono orrori che ghignano dietro porte chiuse, o follia sanguinaria, o ossessioni.
In Doctor Sleep il tema della morte è onnipresente e trattato in alcune delle pagine più crude e strazianti che mi sia mai capitato di leggere. Non è la morte che viene improvvisa, quella che ti raggiunge dopo aver buttato giù una porta col martello da roque, con sangue, urla e pezzi di cervello che schizzano in giro. È la  morte - ancora più orrenda, se vogliamo - che ti consuma lentamente nel letto d'ospedale e che trasforma un essere umano nel pieno possesso delle sue facoltà in un relitto. Quante probabilità ci sono di rimanere bloccati dalla neve in un hotel infestato?
Per questo Shining è divertente. Fa paura, ma alla fine sai che a te non potrà mai capitare. È innocuo. Empatizzi con il bambino inseguito dalle siepi a forma di animale - o dal padre impazzito - e magari ti godi un po' di sana adrenalina, ma quando chiudi il libro sei al calduccio nella poltrona, con una tazza di té lì accanto, i biscotti e, magari, la coperta sulle gambe e il gatto che fa le fusa. La paura resta nel libro.
Ma quante sono le probabilità sono di invecchiare, ammalarsi, perdere piano piano le proprie facoltà, finire in un letto d'ospizio?
Scommetto che, al pensiero, avete sentito un brivido. Una stretta allo stomaco. O qualcosa del genere. L'ho sentito anche io. Questa paura non se ne va quando chiudi il libro.
E, a bilanciare l'ombra, la luce: Doctor Sleep è una storia di amore, di redenzione e di perdono - per se stessi, per gli altri.
È una storia sul saper chiedere aiuto e sul saperlo accettare. Sulle debolezze e sul saper accettare anche quelle. È anche la storia - epica - di una lotta per la propria vita nel senso più profondo del termine. Non riuscirete a mollarla finché non sarà finita.
Great job, Uncle Steve!


giovedì 26 settembre 2013

Dee incazzose, zombie, licantropi, legionari nerboruti, principesse egiziane di moralità elastica e mostri tentacoluti...

...a leggere proprio non ci si annoia mai. Del resto, se ancora non l'avevate capito, è questo il bello.
Oggi vi parlo di un paio di ebook appena usciti che mi sono rigorosamente comprata (a un costo irrisorio: ottantanove centesimi uno e un euro e quattordici l'altro) e che hanno ampiamente ripagato il loro prezzo.
Disclaimer: gli autori sono due amici. Ma il primo che si azzarda a tacciarmi di amykettismo verrà preso metaforicamente a calci nel sedere. Non sono qui a fare favori a chicchessia, amici o non amici.

Marina Belli - Vento di Cambiamento.
Nato originariamente come blog novel nell'ambito del progetto Risorgimento di Tenebra (un esperimento di scrittura collettiva che prevedeva di postare nel proprio blog i capitoli di una storia che coniugasse un'ambientazione risorgimentale ibridata con elementi fantastici e horror) Vento di Cambiamento è diventato una novelette di 90 pagine.
23 marzo 1849: il generale Alessandro La Marmora è stato ferito a una gamba durante la disastrosa battaglia di Novara. Gli austriaci stanno vincendo e si mormora che i morti stessi siano scesi in campo per aiutarli.
La Marmora non è tipo da credere a fandonie di questo genere, almeno finché non viene morsicato e quasi ucciso da un paio di cadaveri piuttosto voraci che attaccano la locanda in cui è alloggiato. Momento peggiore proprio non potevano scegliere: lui è allettato - a causa di una ferita alla gamba - e il suo attendente è andato a cercargli un medico, visto che quello militare, ahimé, ha tirato le cuoia. Ma il generale ha fortuna e viene salvato per un pelo, ma proprio per un pelo, dal suo attendente, Dossi, e dal suo nuovo medico: il dottor Biscior.
Ben presto il generale si ritroverà coinvolto, insieme a Biscior, che sa molto più di quanto non dica ed è molto più di quanto non appaia, in una lotta contro il tempo per ritrovare una misteriosa iscrizione trafugata da una chiesa che inneggia alla misteriosa Diva Silica.
Fra macchinari retrofuturistici, zombie inarrestabili e pericolosi licantropi, il generale avrà il suo bel daffare per portare a casa la pelle... Un'avventura senza un momento di tregua che lo cambierà. Letteralmente.
C'è molto che mi è piaciuto in questa storia. Prima di tutto, l'ambientazione e il richiamo a miti e leggende locali (la Donna del Zoch!): Marina, novarese, gioca in casa e lo fa bene.
Inoltre, è evidente l'accuratezza della documentazione: in genere, il Risorgimento - per quanto molto importante per la storia patria - non è uno dei periodi storici che restano più impressi e lei ha fatto i compiti a casa con competenza e professionalità. Non è da tutti, scusate se è poco.
La guest star Giuseppe Ravizza e il suo cembalo scrivano, riadattato per far "parlare" la testa mozza di uno dei Lazzari (non li chiamano certo zombie!), è un tocco di genio. La Marmora-Biscior sono un perfetto complemento l'uno dell'altro e le loro dinamiche sono divertenti e movimentate. Mi piacerebbe leggere altre avventure con loro due.
Se aggiungete a tutto questo un ritmo che non cala mai, una trama che va dall'inizio alla fine senza sprechi e senza arzigogoli inutili e un'accurata revisione ed editing (non troverete un refuso, uno!) otterrete un ottimo prodotto che, quando ce vò ce vò, mangia la pappa in testa a tutto - e dico tutto - quel che c'è sugli scaffali delle librerie italiche oggi. Autori fentasi, prendete appunti.

Marina, ottima scrittrice, è la padrona di casa di Space of Entropy. Sul suo blog troverete i link agli altri suoi ebook. Che state aspettando?

Davide Mana - Bride of  The Swamp God.
Egitto - 276 d.C. 
La terra dei Faraoni è ormai una provincia romana e le glorie del passato sono sepolte nella sabbia. Lo sa bene Sesto Cornelio Aculeo, centurione della Seconda Legione Traiana. A lui non è che piaccia granché l'Egitto: paludi, moscerini e umidità, per non parlare degli autoctoni, sono abbastanza per dargli sui nervi. Ma anche tre dei suoi sottoposti si sono messi d'impegno per rompergli le balle: dopo aver acquistato una "antica" mappa (di dubbia fattura), hanno ben pensato di disertare per darsi alla caccia al tesoro fra le paludi del delta del Nilo. E lui deve trovarli e riportarli indietro prima che Primo Cornelio, il suo superiore, scopra quel che è successo. Se i tre demens gli scappano, sarà lui a doverne rispondere... e con un capo soprannominato "cedo alteram" (dammene un'altra) per l'abitudine di rompere il frustino sulla schiena dei colpevoli non è che ne abbia proprio tanta voglia.
Così si mette sulle tracce dei tre, inoltrandosi negli acquitrini alla luce di una grossa luna.
Ma gli acquitrini, a quanto pare, sono parecchio frequentati quella notte: anche Amunet, splendida principessa egizia dalla lingua tagliente e dalla moralità piuttosto labile, è in giro, accompagnata da Kleonicos, un vecchio schiavo greco, e dalla guardia del corpo, nubiano muto Pankratios. E lei non è alla ricerca di un tesoro con una mappa falsa in mano, no. Amunet non è certo un tipo che vaga a caso: sa precisamente dove sta andando e a fare cosa. La sua meta è il tempio perduto di Isfet, divinità tentacolare che dorme un sonno millenario. Lo risveglierà, ne diventerà la Sposa e avrà il mondo ai suoi piedi.
Ma le cose non vanno come previsto né per Aculeo né per Amunet che si ritrovano a costretti a fare fronte comune per salvarsi da un orrore inimmaginabile.
Il racconto di Davide aveva tutte le carte in regola per piacermi e, infatti, mi è piaciuto, e tanto. L'ambientazione è fantastica, l'avventura corre dall'inizio alla fine senza mollare un secondo, lo stile è asciutto e incisivo e la coppia di protagonisti è azzeccatissima: Aculeo e Amunet hanno una chimica innegabile. I richiami lovecraftiani si sprecano e, per chi non lo sapesse, io adoro Lovecraft.
Insomma, arrivi alla fine e ne vuoi ancora. Mi piacerebbe leggere altre loro avventure. Nella postfazione Davide rivela che ha altre idee per loro e altre ambientazioni. Il pensiero mi ha stampato in faccia un sorrisone. Potendo scegliere, direi la Via della Seta, grazie.

Davide, paleontologo, scrittore e traduttore è il padrone di casa del blog Strategie Evolutive e del bellissimo Karavansara.

mercoledì 25 settembre 2013

Il modo "giusto" di usare un manuale di scrittura...

...non è relegarlo all'ingrato compito di sostutitivo della carta igienica.
Ho faticato parecchio a capire il modo giusto - che poi, giusto per me - di approcciarmi a questo tipo di strumenti.
Perché - non dimentichiamolo mai - di questo si tratta: strumenti.
Oggetti che sono nati per essere utilizzati, rispondendo a delle esigenze pratiche.
Voi non ne sentivate l'esigenza? Perfetto, potete anche smettere di leggere: quel che dirò non potrà in alcun modo interessarvi.
Ad essere sincera (anche un po' brutalmente) non ho grande stima di chi sputa sopra i manuali affermando che non ne ha bisogno. Non è una questione di manuale-sì-manuale-no-manuale-forse. È una questione di atteggiamento: è come se dicessero che non hanno bisogno di imparare. E se non pensi di aver bisogno di imparare, due sono le cose. O sei un genio, o sei un arrogante all'ultimo stadio. I genii sono rari. Gli arroganti... beh, quelli no.
Dall'altra parte, non ho grande stima nemmeno di quelli che se non hai letto millemila manuali allora non sei nessuno. Anche in questo caso a non andarmi giù è l'atteggiamento: giudicare gli altri dall'alto della propria (presunta?) preparazione è un'altra cosa che non sopporto. Più nello specifico, è l'atto del giudicare a non andarmi giù.
Pensare di avere già la conoscenza in tasca (per concessione divina o chissà che altro) è il modo più rapido per precludersi l'occasione di migliorare, ma anche pretendere di diventare buoni scrittori solo studiando, molto semplicemente, non funziona.
Conoscere le tecniche non è abbastanza. È una condizione necessaria, ma non sufficiente.
Detto questo, per molto tempo ho gravitato intorno all'estremo di chi studia con fin troppo impegno. Perché dico "fin troppo"? Perché nella mia ansia di imparare finivo per perdere di vista il semplice fatto che il manuale è, come ho detto, uno strumento.
Stamani ho tirato fuori L'arco di trasformazione del personaggio. Mi serviva vedere uno schemino.
Questo manuale lo odio e, nello stesso tempo, gli sono affezionata. Lo odio perché mi ha mandata in crisi di brutto e ci sono affezionata perché è anche quello che mi ha spinto a cambiare il modo di approcciarmi ai manuali stessi.
Sentite qui:

Per definire un tema, è utile che cominciate col definire il soggetto o l'argomento preminente della storia. Poi chiedetevi cosa avete da dire voi su questo argomento. Per esempio, se il soggetto tematico di una storia è la famiglia, dovete decidere cosa pensate voi della famiglia.

Vi ricorda niente? A me sì. Com'è che era? Ah sì, e chi se la dimentica?

Se segniamo la perfezione di una poesia sull’asse orizzontale di un grafico e la sua importanza su quello verticale, sarà sufficiente calcolare l’area totale della poesia per misurarne la grandezza.

A mio modesto - modestissimo - avviso un suggerimento come quello che vi ho riportato sopra è spazzatura. Anzi, è un rifiuto pericoloso.
Similmente, come si fa a mettersi lì e dire: "Ok, adesso voglio scrivere una storia sulla famiglia. Vediamo, cosa penso io della famiglia?"
Andiamo, è pura follia.
L'altro giorno stavo rileggendo It per l'ennesima volta e ho trovato una frase che si adatta perfettamente a quel che penso:

non potreste permettere a un racconto di essere soltanto un racconto?

L'inghippo de L'arco di trasformazione - così come di altri manuali - è che ti insegnano a smontare una storia (prendendo ad esempio la struttura di film famosi). Oh, è fantastico quando ti fanno notare come tutto si incastri perfettamente: tema, antagonista, ambientazione... è un orologio svizzero!
Toh, ma è facile. Ti metti lì a provare e... non ci riesci. Orpo! E com'è che non ci riesci? Sembra tutto così semplice!
Perché saper smontare una storia - saperne identificare le parti - non vuol dire saperne costruire una. Proprio per niente.

E sempre in It ecco qua un metodo giusto da applicare ai manuali di scrittura:

"Allora da dove dovrei cominciare?"
 "Cominciare cosa, diavolo?"
"Le ricerche storiche su questa zona. La comunità di Derry."
"Oh. Bene. Comincia con il Fricke e il Michaud. Si reputa che siano i migliori."
"E dopo che ho letto quelli?"
"Letti? No, diavolo! Buttali via! Questo è il primo passo. Poi leggi Buddinger. Branson Buddinger era un ricercatore maledettamente scalcagnato e afflitto da strafalcioneria cronica, se è vero solo metà di quel che ho sentito da ragazzo, ma quando si trattava di Derry, aveva il cuore al posto giusto. Ha cannato quasi tutti i fatti, ma li ha cannati con sentimento, Hanlon."
Io risi un poco e Carson distese le labbra incartapecorite in un sorriso, un'espressione di buonumore che era per la verità un po' inquietante. In quel momento sembrò un avvoltoio che monta soddisfatto la guardia a un animale appena ucciso, in attesa che raggiunga il grado giusto di succulenta decomposi zione prima di cominciare a desinare.
"Quando finisci con Buddinger, leggi Ives. Prendi nota di tutte le persone che intervistò. Sandy Ives è ancora all'Università del Maine. Professore di demologia. Dopo che hai letto il suo libro, vallo a trovare. Offrigli una cena. Io lo porterei all'Orinoka, perchè all'Orinoka le cene non finiscono mai. Strizzalo per bene. Riempi un taccuino di nomi e indirizzi. Parla ai vecchi intervistati da lui, quelli che ci sono ancora, perchè alcuni di noi sono ancora qui, ah-ah-ah! E fatti dare altri nomi anche da loro. Alla fine avrai tutta la base di cui hai bisogno, se solo hai in zucca metà del sale che credo io. Se avrai scovato abbastanza persone, avrai scoperto alcune cosucce che non ci sono nelle cronache scritte. Allora forse scoprirai che ti disturbano i sonni."

Per quanto riguarda l'approccio ai manuali di scrittura - il mio approccio - è molto simile a questo.
Prima leggo, poi si screma: mi tengo i fatti. Mi tengo gli strumenti.
Cos'è un arco di trasformazione del personaggio. Com'è fatto. Mi chiedo a cosa serve, perché ho smesso di dare per scontato che tutto ciò che è scritto nel manuale sia oro colato. Mi chiedo come posso usarlo a vantaggio della mia storia.
Il resto... dipende.
Butto via senza rimorsi i meravigliosi esempi che fanno sembrare tutto facile: di come si analizza una storia ne ho piene le tasche. Puah.
Per quanto riguarda i consigli riguardo a metodi di scrittura più o meno famosi-validi-miracolosi, diciamo che possono succedere due cose.
La prima: se a pelle mi sembrano stronzate, oppure se mi rendo conto che non riesco nemmeno a capire cosa sta tentando di spiegarmi l'autore, via, via, via lontanissimo da me. Che sia colpa delle mie facoltà intellettuali scarse o che siano stronzate sul serio, non cambia il risultato: non mi si adattano, quindi li casso. Vaya con Dios.
La seconda: se mi sembra che possano adattarsi al mio modo di essere e di ragionare, li adotto. Parecchi suggerimenti del mio adorato BootCamp rientrano in questa categoria.
In altre parole, non rifiutate a priori e non trangugiatevi tutto: leggete e selezionate usando la più importante delle vostre dotazioni di serie.
L'intelligenza.

martedì 24 settembre 2013

Appunti

Se c'è una cosa - una - della quale vado fiera sono i miei appunti.
Lo sono sempre stata, fin dai tempi della scuola, ma adesso lo sono ancora di più.
Dall'ultima volta che ho postato, sono cambiate un po' di cose, scrittoriamente parlando. Ho preso la decisione - non facile - di mollare Kismet. Stavo andando avanti ("trova il tuo modo, piantala di lamentarti e mettiti a lavorare, cretina", ve lo ricordate?), ma non era quel che volevo.
Ci stavo male, era frustrante e per nulla divertente. E, scusate, ma io scrivo se mi diverto: se deve diventare peggio di una colonscopia anche no, grazie.
E Kismet stava diventando decisamente peggio di una colonscopia, visto che si portava dietro strascichi di auto-fustigazione del tipo appendi la penna al chiodo, non scriverai mai più nulla di buono. Oltretutto, continuavo a bisticciare con quei cavolo di personaggi.
Così, non senza aver ringhiato e provato a evitare l'inevitabile, mi sono arresa. Ho ripreso in mano altro.
Un'altra storia, quella finita subito dopo Ultimo Orizzonte, un'altra prima stesura incasinatissima da riscrivere di sana pianta. Ma questa volta sono più a mio agio. Perché i personaggi sono i miei personaggi e li maneggio bene e perché la trama è più nelle mie corde.
Quando ho deciso di dedicarmi a questo progetto - e stavolta non ci sono santi, lo si porta in fondo - la prima cosa che ho fatto è stata rileggere tutti gli appunti che avevo preso in merito alla riscrittura: ambientazione, trama, temi... tutto quanto.
E mi sono accorta che avevo per le mani un sacco di lavoro. Avevo fatto un sacco di lavoro per poi mollarlo lì a fare non si sa bene che cosa.
A volte penso che a fregarmi sia la maledetta fretta: non mi concedo il tempo per pensare alle cose, deve essere tutto perfetto alla prima (bella stupidaggine, lo so) e se non è così... terremoto e tragggedia.
Così, eccomi qua: a ricominciare, stavolta prendendomi il tempo che mi serve. Facendomi delle domande - mi faccio sempre un sacco di domande, quando pianifico una storia, a volte mi infastidisco da sola.

Ho una specie di elenco, su un foglio a parte: le cose importanti da sapere (rischio di perderne qualcuna per strada, se non me le scrivo!). I perché i percome. E le risposte arrivano, in ordine sparso, quando meno me lo aspetto - tipo, quando sono mezza addormentata - e magari sono davvero molto semplici (io sono per il keep it simple) e mi meraviglio: come ho fatto a non pensarci prima?
Dovrei proprio imparare ad avere pazienza...

domenica 15 settembre 2013

I miti della Parietaria 6: Vicolo Cannery

Avevo detto che costui sarebbe tornato fra i miti della Parietaria, no?
Per il ritorno della rubrica domenicale - ferma da troppo tempo - ho scelto lui. E ho scelto un'altra storia semplice, eppure molto diversa da Uomini e Topi.
Ho scelto Vicolo Cannery e non posso presentarvela se non con le parole del suo autore (e chi meglio di lui?)
Cannery Row in Monterey in California is a poem, a stink, a grating noise, a quality of light, a tone, a habit, a nostalgia, a dream. Cannery Row is the gathered and scattered, tin and iron and rust and splintered wood, chipped pavement and weedy lots and junk heaps, sardine canneries of corrugated iron, honky tonks, restaurants and whore houses, and little crowded groceries, and laboratories and flophouses. Its inhabitants are, as the man once said, “whores, pimps, gamblers, and sons of bitches,” by which he meant Everybody. Had the man looked through another peephole he might have said, “Saints and angels and martyrs and holy men,” and he would have meant the same thing.

Vicolo Cannery è la storia semiseria, picaresca, saggia e universale dei personaggi che la popolano e che riescono a essere, a loro modo, epici.
Su tutti svettano Mack e i suoi amici, i vagabondi che abitano nel Palace Flophouse, un vecchio deposito alimentare riadattato a casa, il cinese Lee Chong, proprietario del più fornito emporio del Vicolo (e anche del Palace Flophouse), Dora, la tenutaria del Bear Flag, il bordello locale, e le sue ragazze che devono comportarsi come signorine beneducate e sono dedite ad opere di carità, Henri il pittore, che costruisce da nove anni una barca e non la inaugurerà mai perché ha paura del mare, e soprattutto Doc, il Dottore, che vive e lavora al Western Biological e si occupa di preparare e studiare animali (marini, ma non solo) che poi vende alle università della California.
Le loro avventure - specie quella del disgraziato party dato in onore di Doc - non posso riassumervele. Se volete una trama, una da manuale, con il problema esterno e quello interiore, in Vicolo Cannery non la troverete. Qui trovate altro. Trovate il genio, puro e semplice. E una scrittura che è delizia suprema per occhi e palato. Steinbeck è superbo, che descriva il negozio di Lee Chong o il laboratorio di Doc. Ma se volete sapere qual è il mio pezzo preferito... eccovelo.

Doc was collecting marine animals in the Great Tide Pool on the tip of the Peninsula. It is a fabulous place: when the tide is in, a wave-churned basin, creamy with foam, whipped by the combers that roll in from the whistling buoy on the reef. But when the tide goes out the little water world becomes quiet and lovely. The sea is very clear and the bottom becomes fantastic with hurrying, fighting, feeding, breeding animals. Crabs rush from frond to frond of the waving algae. Starfish squat over mussels and limpets, attach their million little suckers and then slowly lift with incredible power until the prey is broken from the rock. And then the starfish stomach comes out and envelops its food. Orange and speckled and fluted nudibranchs slide gracefully over the rocks, their skirts waving like the dresses of Spanish dancers. And black eels poke their heads out of crevices and wait for prey. The snapping shrimps with their trigger claws pop loudly. The lovely, colored world is glassed over. Hermit crabs like frantic children scamper on the bottom sand. And now one, finding an empty snail shell he likes better than his own, creeps out, exposing his soft body to the enemy for a moment, and then pops into the new shell. A wave breaks over the barrier, and churns the glassy water for a moment and mixes bubbles into the pool, and then it clears and is tranquil and lovely and murderous again. Here a crab tears a leg from his brother. The anemones expand like soft and brilliant flowers, inviting any tired and perplexed animal to lie for a moment in their arms, and when some small crab or little tide-pool Johnnie accepts the green and purple invitation, the petals whip in, the stinging cells shoot tiny narcotic needles into the prey and it grows weak and perhaps sleepy while the searing caustic digestive acids melt its body down.
Then the creeping murderer, the octopus, steals out, slowly, softly, moving like a gray mist, pretending now to be a bit of weed, now a rock, now a lump of decaying meat while its evil goat eyes watch coldly. It oozes and flows toward a feeding crab, and as it comes close its yellow eyes burn and its body turns rosy with the pulsing color of anticipation and rage. Then suddenly it runs lightly on the tips of its arms, as ferociously as a charging cat. It leaps savagely on the crab, there is a puff of black fluid, and the struggling mass is obscured in the sepia cloud while the octopus murders the crab. On the exposed rocks out of water, the barnacles bubble behind their closed doors and the limpets dry out. And down to the rocks come the black flies to eat anything they can find. The sharp smell of iodine from the algae, and the lime smell of calcareous bodies and the smell of powerful protean, smell of sperm and ova fill the air. On the exposed rocks the starfish emit semen and eggs from between their rays. The smells of life and richness, of death and digestion, of decay and birth, burden the air. And salt spray blows in from the barrier where the ocean waits for its rising-tide strength to permit it back into the Great Tide Pool again. And on the reef the whistling buoy bellows like a sad and patient bull.


Dopo Vicolo Cannery, Mack, Doc e alcuni degli altri - e qualche peculiare nuova aggiunta - tornano in Quel Fantastico Giovedì - altra storia della quale vi parlerò. Da Vicolo Cannery è stato anche tratto un film, negli anni Ottanta, ma dubito che lo guarderò, preferisco mantenere intatta la mia adorazione per il libro.

E adesso, come al solito, volete sapere dove potete trovarlo?
In italiano e cartaceo, potete provare il libreria, c'è una edizione economica Bompiani che viene via a poco più di sette euro. In alternativa, lo ordinate on line, tipo su Amazon.
In italiano e digitale, sempre Bompiani ve lo fornisce a 6.99 euro (Bookrepublic) che, francamente mi sembrano tantini, specie se paragonati al prezzo del cartaceo, ma tanto siamo sempre lì con il conto, no?
Se invece volete provare il brivido della lingua originale - e personalmente ve lo consiglio - a poco più di sei euro trovate il cartaceo, mentre per cinque e cinquanta vi portate via il digitale. (Su Kobobooks c'è - a sette euro e spicci - anche l'edizione Penguin in digitale. Io ho quella e devo dire che è ottima).

Vicolo Cannery - John Steinbeck, 1945

venerdì 13 settembre 2013

Il blues della scribacchina.

Lo so, lo so, lo so: avevo detto che la Parietaria sarebbe stata meno abbandonata a se stessa.
È che il lavoro su Kismet procede lento e faticoso, spesso sono tentata di buttare 'sta storia nel cesso. Nei momenti peggiori, sono tentata di buttare nel cesso la scrittura in toto. Mi semplificherebbe la vita.
Il malumore - perché è inutile che mi nasconda dietro un dito: questa situazione mi mette di pessimo umore - mi porta a non volerne più sapere nemmeno del blog.
Ma, alla fine, eccomi qui.
Sto lavorandoci su. Mi sento persa, perché la storia non mi convince, i personaggi non mi convincono, la scrittura non mi convince, io non convinco me stessa, ma stringo i denti e vado avanti.
Avevo progetti per questa storia, ma più il tempo passa, meno mi sembrano buone idee.
E, comunque, detesto quando non so da che parte rigirarmi: sono una persona logica, accidenti.
Ho una serie di spunti interessanti che non vedo l'ora di scrivere (uno in particolare mi fa sbavare, è una di quelle ambientazioni sporche, puzzolenti e rugginose che piacciono a me), ma per poterlo fare mi servono delle scene di collegamento e, prima di scriverle, ho bisogno di sapere che ci stanno.
E per me "ci stanno" vuol dire che hanno una funzione chiara e logica nel contesto. Non che sono appese lì a caso, giusto perché mi servono per andare da una parte all'altra della storia. Oltretutto, sono questioni che non dipendono tanto dai protagonisti, quanto dalla situazione esterna: sono "mosse" da altri personaggi, che però stanno sullo sfondo.
Avete presente quando i personaggi, oltre ai loro personali casini, si trovano nel bel mezzo di una roba più grande, tipo... una guerriglia fra religioni diverse?
Ecco, più o meno la situazione è questa. E siccome me ne sono resa conto dopo aver finito la prima bozza, raccordare la nuova cornice con il già scritto non è proprio semplicissimo. Significa ripartire dall'outline.
Beninteso, non sono affezionata alle mie stesse parole: se c'è da tagliare taglio, non faccio storie. Preferisco conservare, quello sì, spunti e suggestioni, ma so che posso sempre giostrarli in modo diverso. Se devo tagliare un capitolo o due, pace.
Ma lavorare sull'outline... mi manda ai matti. Non voglio dire "non lo so fare" perché suona stupido, e infantile, e quello che non si sa si impara, piantala di lamentarti e mettiti a lavorare, cretina.
Però la verità è che, come ho detto, sono persa.
Non lo so, come fanno gli altri. Vorrei proprio saperlo. Oppure, come sopra: trova il tuo modo, piantala di lamentarti e mettiti a lavorare, cretina.


L'immagine l'ho presa da qui

mercoledì 4 settembre 2013

Il fantasma del pirata Barbanera (1968)

Ci sono dei vecchi film che, quando li riguardo, mi fanno lo stesso effetto della prima volta: a dispetto degli anni, perché sono tutti molto vecchi, e del numero di volte che li ho guardati, mi piacciono ancora.
Uno è Operazione Sottoveste. L'altro Il Gran Lupo chiama. Poi ci sono A qualcuno piace caldo, il già citato Viaggio al centro della Terra e un altro paio di film Disney: Pomi d'ottone e manici di scopa e, soprattutto, Il fantasma del pirata Barbanera.
Perché adoro questo film? Perché, partendo da premesse semplici, riesce ad essere molto divertente. E perché Peter Ustinov nei panni di Barbanera è impagabile: rozzo, sporco, ubriacone, casinista e di una simpatia travolgente. 
Il pirata, costretto da una maledizione (quella della sua decima moglie!) a dimorare nel limbo, viene evocato per caso da un allenatore di atletica salutista e fin troppo ligio a doveri e morale, con il quale è costretto a fare coppia fissa, dato che è il solo a poterlo vedere e sentire.
La maledizione può essere sciolta solo nel caso in cui Barbanera dimostri un briciolo di umana bontà e Steve, l'allenatore, farebbe di tutto per poterselo levare dalle scatole, visti i guai e le figuracce che Barbanera gli procura...
Non è un capolavoro della filmografia: è un film per famiglie, ricco di buoni sentimenti e avventure innocue, ma se volete un'ora e mezzo di divertimento leggero, va più che bene.


(A proposito: il film è tratto da un libro, Blackbeard's Ghost, dell'autore Ben Stahl. La trama è un po' diversa da quella del film, ma io sto cercando di recuperarlo perché pare sia molto divertente...)

martedì 3 settembre 2013

Un anno di parietaria

Eggià.
La Parietaria compie un anno. A me i bilanci non piacciono quindi evito di farne.
Mi limito a dire che bloggare mi diverte, sono contenta di avere iniziato e continuerò.


lunedì 2 settembre 2013

It's a long way to the top (if you wanna rock 'n' roll)

La comunità degli aspiranti-scrittori, esordienti-a-vita, geGni-incompresi è, in Italia, vasta e, come definirla senza essere offensivi? Ecco qua: variegata.
Chiunque ci abbia bazzicato per un po' ha un'idea abbastanza precisa di ciò di cui parlo.
E questo è uno dei presupposti di questo post.
Il secondo è una constatazione: ormai, fin troppo spesso (non dico sempre perché non voglio essere così negativa) accade che le persone vogliano raggiungere subito il risultato, senza sforzo, quasi per magia.
La gavetta fa schifo ed è frustrante (verissimo), ergo non vuole farla più nessuno.
L'ossessione per le "scorciatoie" riguarda quasi ogni campo. E come si prendono, queste scorciatoie? Facile: oggi, l'autostrada per il successo passa per i famigerati talent show.
Non hai uno straccio di abilità, né alcun tipo di merito, ma vuoi diventare famoso (e, possibilmente, ricco)? Vai al Grande Fratello.
Vuoi rinverdire i fasti di una carriera ormai da tempo in naftalina? L'isola dei famosi è quel che fa per te.
Ti piacerebbe diventare uno chef, ma sei una casalinga di Voghera? Masterchef ti risolve il problema.
Sei un/a cantante ma nessuno ti si fila? Ancora qui stai? X-factor ti aspetta! (o Amici, tanto sono uguali).
Sei tamarro e fiero di esserlo? Mostra tutta la tua tamarraggine in Tamarreide (vorrei cavarmi gli occhi per quello scampolo di puntata che ho visto).
E adesso prendiamo la scrittura.
Ora, in Italia, si sa, ci sono pochissimi lettori, ma tantissimi - sigh - aspiranti scrittori (il che spiega, fra l'altro, una qualità media vergognosa). Inoltre, tutti - e dico proprio tutti, senza limiti d'età e sesso - sognano la botta di culo, il manoscritto autopubblicato (o la fanfiction) che capita nelle mani della grande CE, viene dato alle stampe in millemila copie, sbanca il mercato (o almeno così si dice) e magari vince pure un premio, (si sa che la realtà a volte supera la fantasia).
Fare due più due era facile e, infatti, eccolo qua: a novembre inizierà Masterpiece.
Non ci volevo credere, ma tant'è, lo fanno sul serio. Non riesco a immaginare con quali modalità, però.
Se hai di fronte wanna-be cantanti non è che ci voglia tanto: dai loro delle cover. Con gli wanna-be cuochi ti limiti a farli cucinare. Gli wanna-be voglio-stare-in-tv-e-mi-va-bene-tutto sono ancora più facili da gestire: li piazzi a fare giochi cretini rinchiusi per qualche mese in una casa senza contatti con l'esterno.
Ma gli scrittori? Come te la giochi, con loro? La mia creatività si inceppa e non sa fornirmi una risposta.
Vedremo.
Nel frattempo, i giornali, on line e non, continuano a rimarcare: cinquemila! Cinquemila manoscritti!
Sono tanti, eh. Ma fate un rapido confronto con quanta gente va ai provini del Grande Fratello o di X-Factor e vi accorgerete che, in fondo in fondo, la scrittura non tira. E, a riprova (se ce ne fosse bisogno), guardate la collocazione nel palinsesto: Rai Tre - questo era prevedibile - in seconda serata. Perché mica possono mettere in prime time gente che discetta di scrittura!
Per quanto mi riguarda, aspetto la prima puntata con ansia. Ah, poter ammirare l'ensemble di personaggi che si contenderanno i favori della giuria! (Ma chi ci sarà, in giuria, poi? Io punto su: Fabio Volo, Baricco, Faletti e Ligabue).
Ho aspettative altissime. Per la serie vedo, prevedo e a volte stravedo anche, mi aspetto un bel po' di egomaniaci che pensano di essere il non plus ultra del talento letterario, mediamente ignoranti (non solo riguardo la scrittura creativa, ma in generale, e non ditemi che sono stronza: date uno sguardo alla qualità lessical-sintattica e grammaticale delle ultime uscite in Italialand e poi ne riparliamo), convinti che i manuali di scrittura imbriglino il talento e tarpino le ali alle eMMoZZioni e fautori del "la mia scrittura trasmette sole, cuore e aMMore".
Vedere la scrittura diventare carne da macinare in un talent dovrebbe darmi fastidio? Mah, forse. Non riesco a risentirmene, però. Sono convinta che in Italia gli sbocchi per le persone di talento - ma talento vero, intendo - siano tristemente scarsi. Ok, in pratica inesistenti. E no, non è vero che "se sei bravo prima o poi un editore lo trovi". Ne conosco a pacchi, di gente brava sul serio, che un editore non l'ha trovato.
Di sicuro, alle selezioni si sono presentate anche persone meritevoli.
Tuttavia, a giudicare da quel che esce in libreria, mi sento di affermare che la professionalità e la serietà purtroppo non pagano. E, al posto di un noioso scrittore che, tanto per dire una parolaccia, prima di iniziare la stesura, si documenta, meglio un adolescente che scrive a forza di starnuti e con motivazioni quali l'intramontabile "tanto è fantasy" e il sempre versatile "perché sì". O la sgallettata convinta che i vampiri siano nati con Tuailait e che Edward sia trp fiko!!!111!!
Infine, dato che uno dei peggiori difetti degli aspiranti scrittori - insieme all'avere un ego ipertrofico e alla tendenza ad alternare stati di esaltazione a depressione cosmica (e lo so, perché ce li ho anche io) - è la sordità selettiva che li affligge di fronte alle critiche, penso che ne vedremo delle belle. Si fa per dire, eh.



domenica 1 settembre 2013

I buoni propositi del post-vacanze

Quel che più mi piace del tornare dalle ferie è il sentirsi fisicamente ed emotivamente rigenerati e carichi. E dunque, eccomi qui: fisicamente ed emotivamente rigenerata e carica.
Ho una bella lista di cose da fare e di atteggiamenti da cambiare.
Quindi, dichiarazione pubblica di intenti.
1. in vacanza, mi sa che l'ho detto, non ho scritto una riga. Ma che una riga. Non ho scritto una parola. Solo che, dopo mesi di tira e molla, di impegno concesso a fasi alterne e spesso malvolentieri, ho voglia di ricominciare: ci sono due storie finite che aspettano la revisione-riscrittura, una piantata a metà, il romance a quattro mani da pianificare (sì, non ho ancora rinunciato all'idea) e più un tot di suggestioni nuove che mi sono venute fuori dai luoghi visitati. (Io non so perché, ma quando qualcosa di nuovo si profila all'orizzonte è sempre un luogo, mai un personaggio). In definitiva: finire le riscritture, finire la storia iniziata, portare a casa la prima stesura del romance. E, già che ci sono buttare giù appunti: la mia immaginazione ha visto un posto, c'est a dire che qualcosa bolle in pentola.
2. a differenza degli altri anni, sono partita lasciando alcuni lavori da iniziare: quindi, domani ci saranno telefonate da fare, crediti da recuperare (e quando mai...) e sopralluoghi da organizzare. Finiti la stanchezza e lo scazzo: si deve cominciare a produrre sul serio.
3. la crociera è stata meravigliosa, ma, sotto un certo punto di vista, anche disastrosa: sto parlando della mia forma fisica. Guardiamo in faccia la realtà: ormai ho accumulato (non solo in questi dieci giorni, eh) un sovrappeso di almeno una decina di chili. E, onestamente, non mi piace affatto quel che vedo nello specchio: non mi ci riconosco. Da domani, dieta seria. Tutto pesato. Se non devo andare a vedere un lavoro (lo saprò domattina presto, nel caso), vado in piscina. L'acquagym inizierà a ottobre, ma questo non mi impedisce di andare a nuotare. E voglio ricominciare a correre (anche se i primi tempi sarà un incubo di sudore e affanno). Insomma, ci metterò dei mesi, ma 'sti chili in più devono sloggiare.
4. il blog. Questa povera parietaria è alquanto abbandonata a se stessa. E, anche se è un'erbaccia infestante, non se lo merita, poverina. Perciò: più cura per il blog. (Sembra uno slogan elettorale, lo so).

Mi sono domandata: "Ci riuscirò?"
Subito ho pensato: "Io ci provo."
Poi mi è venuto in mente questo.