sabato 3 agosto 2013

Sulla pelle viva

Quando ero piccola, fino a circa, boh, undici-dodici anni, passavo almeno quindici giorni d'estate a Calalzo di Cadore.
Il viaggio era lungo, l'aria condizionata ancora da venire e stare in macchina con due bambini piccoli - e inclini a litigare - non doveva essere facile. Una delle cose che ricordo bene era mia mamma che diceva: "Dai dai, che ora arriva la diga!". Io e mio fratello ci attaccavamo, non senza sgomitare, al finestrino di sinistra. Con il passare degli anni, la cosa si era evoluta in: "Mamma, ma quanto manca ancora per la diga?"
Quello scudo chiaro, lassù in cima, che sembrava appeso alle montagne in modo così precario ci affascinava. E nessuno di noi si chiedeva come mai Longarone fosse così diverso dai paesi cadorini. Vajont era un nome, il nome della diga, nient'altro.
Sono passati gli anni, abbiamo smesso di andare a Calalzo (quantomeno, tutti e quattro, i miei ci vanno ancora) e io, onestamente, alla diga non pensavo più.
Fino alla sera del 9 ottobre 1997 quando Rai2 trasmette Racconto del Vajont, il monologo di Marco Paolini. Ne rimaniamo colpiti tutti, in particolare io e mio padre. Esce il libro di Paolini. Lo compriamo. Ed è a quel punto che scopriamo che esiste un altro libro sul Vajont.
Un libro scritto - nel 1983, a vent'anni dalla tragedia e all'indomani della conclusione del processo in Cassazione - da una giornalista, Tina Merlin, la prima a denunciare, quando ancora la diga era in costruzione, che sarebbe accaduto qualcosa di tragico. Che il monte non era sicuro. Che la vita delle persone veniva messa in pericolo per una mera questione di interesse economico.
Quel libro è Sulla pelle viva.
E ora, se siete furbi, andate a cercarlo e ve lo leggete. Lo leggete tutto. Note incluse, perché sono fondamentali.
Scoprirete che nulla è cambiato, dagli anni Trenta ad oggi. Che la politica e gli interessi economici si scambiano favori e si danno pacche sulle spalle, facendo i propri comodi e calpestando le persone.
Scoprirete che c'erano state avvisaglie di instabilità già durante le fasi di costruzione. 
Scoprirete che gli esperti della commissione di collaudo ministeriale si sono fatti mandare le relazioni dalla SADE - la società privata proprietaria della diga fino alla statalizzazione - perché il Vajont l'hanno visto poco e male, impegnati in pranzi e cene a Venezia.
Scoprirete che chi all'interno delle istituzioni ha cercato di vederci chiaro e fare il suo lavoro bloccando il cantiere - che è ancora privo del permesso di costruire! - è stato trasferito, così, da un giorno all'altro, in un'altra sede.
Scoprirete che ci sono state simulazioni con un invaso in scala al Centro Modelli Idraulici di Nove a Vittorio Veneto e che si è evitato di simulare lo scenario peggiore, una frana unica, preferendone una in due tempi, e di volume decisamente inferiore - 40 milioni di metri cubi, inizialmente, 200 milioni, poi -, a fronte dei 300 milioni effettivi. E che la velocità stimata di movimento si rivelò essere un terzo di quella effettiva.
Scoprirete che la relazione del professore universitario che descriveva le disastrose conseguenze di una frana in due tempi di 200 milioni di metri cubi, compreso il pericolo per la vallata, è stata insabbiata in un cassetto e non è stata trasmessa al Ministero.
Scoprirete che questa simulazione stabiliva la quota di sicurezza a 700 m e ricordiamoci bene che si erano prese in considerazione le ipotesi più convenienti. E che, al momento del disastro, si stava tentando di scendere a 715 m, perché la quota di massimo invaso era 722.5 m.
Scoprirete quel che successe dopo il disastro, ai sopravvissuti. Non sarà una scoperta piacevole.
Assisterete impotenti alla strenua resistenza degli abitanti di Erto e Casso, due frazioni della vallata del Vajont, che tentarono, senza riuscirci di fermare la corsa alla costruzione. E se vi ricorderanno le lotte dei No-TAV, beh, avrete ragione.

Inizia l'ultimo giorno. Il 9 ottobre 1963 è una stupenda giornata di sole. Di questa stagione, la montagna è splendida, rifulge di caldi colori autunnali. La gente di Casso va e viene ancora dal Toc, portando via dalle case e dagli stavoli più cose possibili. Ma altra gente non vuole abbandonare le case e i bene malgrado l'avviso fatto affiggere dal Comune, pressato dalle richieste provenienti dal cantiere... 
[Viene la sera] e la gente, adesso, è tutta nei bar a vedere la televisione. sono ancora pochissimi i televisori privati e, in eurovisione, c'è la partta di calcio Real Madrid - Rangers di Glagow. Due squadre molto forti, una partita da non perdere. E infatti molta gente è scesa dalle frazioni a Longarone, e anche da altri paesi della valle, per godersi lo spettacolo nei bar. La gente si diverte, discute, scommette sulla squadra vincente.
Sono le 22.39.
Un lampo accecante, un pauroso boato.
Il Toc frana nel lago sollevando una paurosa ondata d'acqua. Questa si alza terribile centinaia di metri sopra la diga, tracima, piomba di schianto sull'abitato di Longarone, spazzandolo via dalla faccia della terra. A monte della diga, un'altra ondata impazzisce violenta da un lato all'altro della valle, risucchiando nel lago le frazioni di San Martino e Spesse.
La storia del "grande Vajont", durata  vent'anni, si conclude in tre minuti di apocalisse,
con l'olocausto di duemila vittime.

(Tina Merlin - Sulla pelle viva)




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