mercoledì 25 febbraio 2015

Un ragazzo qualsiasi


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Una delle cose che mi fanno escludere a priori l'acquisto di un libro - ma stiamo larghi, pure l'occhiata all'estratto gratuito - è questa frase:

Tizio è un ragazzo qualsiasi

Buona parte della letteratura in vendita - e sto parlando di generi che spaziano dallo young adult al paranormal romance, passando per cinquanta sfumature di fentasi idiota - ha una sinossi che inizia con quelle parole.
Ecco, no.
E vi spiego anche perché.
Perché siamo tutti diversi e ciascuno di noi - senza eccezione - ha in sé qualcosa di speciale. Qualcosa che lo distingue e lo rende unico. Magari è una cosa piccola, come un particolare bernoccolo per, che ne so, fare decorazioni da tavola, non è che serva essere un genio della matematica o un artista eccezionale.
Ma ce l'hai solo tu. Siamo oltre sei miliardi, su questa terra... e non c'è un altro uguale a te.
Se definisco una persona "qualsiasi", è come se dicessi che è trasparente. Si confonde nella massa. Non ha niente, ma proprio niente di speciale. Triste, vero?
Adesso applichiamo la cosa a un personaggio.
I personaggi, per quanto ben delineati siano, devono - devono proprio - avere qualcosa di unico, direi di paradigmatico.
Non leggiamo storie per sentirci raccontare del macellaio sotto casa e della sua vita noiosa fra negozio, casa e serate di fronte ai telequiz. Leggiamo storie che parlano di esperienze fuori dal comune che capitano a persone che hanno in sé qualcosa di diverso, che magari neanche loro all'inizio sanno di avere, per cui le esperienze finiscono per cambiarle. 
Magari in peggio, ma le cambiano.
Se lo scrittore - o la scrittrice - mi dice, già dalla sinossi, che il protagonista è qualsiasi, mi sta dicendo che è uguale a mille altri. Che non ha nulla che lo distingua, neanche l'abilità di fare centrotavola.
Penso che sia uno dei peggiori modi di presentare un personaggio.
Non è ancora entrato in scena, di fatto il lettore non ha ancora aperto il libro, e già è stato bollato.
Ma che razza di credibilità posso attribuirgli?
A me non interessano le vicende di un tizio, o di una tizia, uguale a mille altri! A me interessano le vicende di una persona che ha un carattere ben definito, delle abilità, dei gusti. Che magari cucina malissimo ma è un genio a fare i centrotavola (sì, ora la smetto, coi centrotavola).
Quindi, anche solo per questo, senza andare a considerare l'errore di utilizzare aggettivi generici e che non dicono nulla, lo scrittore ha toppato. Dimmi che tizio è un impiegato insoddisfatto, dimmi che fa il gelataio e sogna di sbarcare a Hollywood, dimmi che è un buttafuori con la passione dei gatti, o uno studente liceale che scrive di nascosto per non essere preso in giro.
Abbi pietà di 'sto poveraccio, evita di dirmi che è qualsiasi. Se tu per primo, autore, lo tratti così, come pensi che lo tratteranno i lettori?
Che poi, mettiamoci pure un corollario.
Il povero personaggio, molto spesso, in realtà qualsiasi non lo è, ma nel senso peggiore. 
Perché, ad esempio, è un ragazzo qualsiasi che vive solo perché gli è morta tutta la famiglia fino alla settima generazione in un ciclone di sfiga tale che uno, così per pietà, gli consiglia immantinente un viaggetto a Lourdes, mentre si dà una discreta toccatina o caccia fuori il cornetto portafortuna. O la nostra ragazza qualsiasi la famiglia ce l'ha, ma niente niente sarebbe meglio che non l'avesse, perché la trattano in un  modo che, a paragone, Cenerentola era una viziata del cavolo.
Questo perché l'autore, o l'autrice non ha né gli strumenti né la preparazione per calare il suo personaggio in un ambiente familiare che sia anche un minimo dotato di senso.
E, visto che in fondo quel che gli interessa è solo la storia d'aMMore, non fa né uno, né due ed elimina il problema alla radice: stermina la famiglia del protagonista (o la rende così spregevole che il poveraccio ci passa, e con giusta ragione, meno tempo possibile) e si toglie dai piedi una complicazione.
Tornando al disgraziato aggettivo "qualsiasi", mi sono chiesta: ma perché uno scrittore dovrebbe svalutare in modo così maldestro la sua propria creazione? E, soprattutto, perché lo fanno così tanti scrittori?
La risposta non mi è piaciuta.
Al di là della crassa incompetenza - e di scrittori incompetenti ce ne sono a iosa - il fatto è che si cerca di spingere il pubblico - quel pubblico fatto da adolescenti in piena crisi ormonale, diciassettenni tutte ciccia e brufoli che sognano il principe azzurro e così via - a identificarsi con il personaggio stesso.
Si dà un/a protagonista qualsiasi a gente che si sente qualsiasi.
E ci siamo passati tutti, più o meno, nel sentirsi qualsiasi. Voglio dire, ho ritrovato i diari del liceo svuotando la stanza per creare la cameretta di Davide e, sì, quella fase è toccata pure a me.
Poi finisce, eh. Si sopravvive e si cresce.
Volete un esempio? Ve ne faccio due - che poi in realtà è uno solo - prendete quell'idiota della protagonista di Tuailait e prendete la sua omologa delle sfumature.
Sono qualsiasi nel senso più bieco del termine. Insipide, uguali a mille altre.
Le due autrici, bontà loro, quando devono tirare fuori una ragione plausibile per la quale il fico di turno le insegue manco fossero gelati nel deserto, se ne escono rispettivamente con: "ha un odore che mi attira" e "si morde il labbro".
Hey, laggiù, io avrei detto plausibile!
Queste due sono al limite dell'impedito sociale, neanche troppo simpatiche, non dimostrano né carattere né intelligenza, non hanno una conversazione interessante, non hanno opinioni proprie, non sono neanche delle bellezze stratosferiche da giustificare - almeno - un'attrazione fisica... ma insomma, in quale angolo del mondo reale due così attirerebbero l'attenzione non dico del maschio alfa, ma di un qualsiasi maschio in generale? In nessuno, siamo sinceri.
Solo che non siamo nel mondo reale. Siamo nel "tanto è fantasia". E così, legioni di adolescenti (e donne) che si sentono qualsiasi sognano e sbavano su questa favoletta sentendosi consolate, quasi prendendosi una rivincita sulla bella della classe o sulla vicina di casa magra e truccatissima che pare una delle desperate housewives.
Sì, anche questo è molto triste.
Lasciate perdere le storie di gente qualsiasi. Sentitevi speciali. Sentitevi unici. 
 Lo siete.

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5 commenti:

  1. Mamma mia, insopportabile 'sta storia del "ragazzo qualsiasi"! Purtroppo condivido in pieno l'analisi dei molti lettori che "si sentono persone qualsiasi". Solo che, purtroppo, dissento su un punto. "Si cresce e passa", hai detto. Eppure la presenza di "personaggi qualsiasi" anche nei libri "per signore" (50sfumaturedimerda, per esempio), o in generale per adulti, indica che evidentemente questa sensazione cominciamo a portarcela appresso anche in tarda età...

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    1. Sarà perché sono due momenti critici della vita: l'adolescenza e la crisi della mezza età?
      Non so, quel che so è che è triste la mancanza di sicurezza in se stessi e nel proprio valore che questo atteggiamento evidenzia.

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  2. Sai che c'è?
    In verità nessuno si vede come un "qualcuno tra la folla" ma ci si immedesima quando va a leggere.
    Comunque Cenerentola non riusciva ad aprire i barattoli. E le sorelle le strappano il vestito. E allora va a scuola di lotta. E quando le sorelle ci riprovano lei fa "Ah - uatà!" E poi va al ballo.

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  3. Arrivo qua su (meritata) segnalazione.
    Non solo il tizio qualunque è poco interessante, ma penso sia anche deleterio... a meno che non si tratti di una storia in cui il protagonista in qualche modo emerge dal suo essere qualsiasi, forse (ma in tal caso non sarebbe tale e non rientra nella casistica di cui parli). Credo vada di pari passo con la finta convinzione di una vita senza prospettive, un eterno presente. Personalmente ho trovato nei libri, fin da piccolo, gli spunti per guardare un po' più in là e a valorizzare ciò che mi rende speciale*. Piccole cose? Soprattutto le piccole cose. Per cui, per cortesia, almeno non toglieteci i personaggi speciali nella narrativa!

    * E ho odiato, per quanto ben scritto, Revolutionary Road.

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