mercoledì 14 novembre 2012

My Two Cents sul Self-Publishing

Se ne fa un gran parlare, di 'sti giorni. 
Ora, come al solito, le reazioni in questo nostro paese da sceneggiate napulitane sono esagerate: chi plaude alla democratizzazione, chi esulta perché, finalmente, libertà-libertà da quel collo d'oca che è la selezione manoscritti (sia da parte delle c.e. che da parte delle agenzie letterarie), chi, invece, è in mood luttuoso, perché ah, adesso pubblicano cani e porci senza più il filtro qualità rappresentato dagli editor e dall'editing.

FILTRO CHE???!!

Tanto, partiamo da un presupposto: gli editori, quelli molto grossi, i marchi storici, possono dire quel che vogliono, in questi tempi bui di crisi e con in più l'assedio del digitale, ma l'epoca in cui facevano cultura con la C maiuscola è passata da un pezzo.
Non fanno cultura: cercano di vendere. Niente da eccepire: sono imprenditori, hanno da campà. C'hanno i conti da pagare: come se le permettono, sennò, le millemilioni di copie con cui ogni quindici giorni inondano le librerie (e che poi vengono impietosamente rese)?
Ora, questo ha un duplice effetto: da una parte, ci riempiono di schifezze, dall'altra hanno grandemente ristretto il campo "di interesse" dei manoscritti.
E qui facciamo un distinguo, perché, l'ho già detto, detesto le generalizzazioni: non a tutti gli editori interessano le vie già battute.
[Sì, sto parlando dei miei editori: Ultimo Orizzonte nell'editoria tradizionale non avrebbe trovato posto. È un romanzo di un genere incerto - perfino io non saprei definirlo - con delle parti in dialetto e senza storie d'amore di sorta. Queste caratteristiche lo facevano partire svantaggiato a prescindere, prima ancora di andare a considerare la scrittura.]
Ma, tranne rare eccezioni - che si fanno sempre più rare, man mano che case editrici che si occupavano in modo serio di fantastico chiudono o cambiano gestione - oggi, se non ci sono vampiri sbrilluccicosi, ragazze sfigate e bruttarelle che però in fondo in fondo sono speciali perché profumano, o sono state scambiate alla nascita, o hanno qualche potere particolare che nessun altro ha (e in virtù di cui conquistano er mejo der colosseo) non vai da nessuna parte. Hai voglia proporre fantascienza innovativa, o urban fantasy coi controcazzi, o steampunk, o cyberpunk: se non hai l'accoppiata sfigata/fiQuo non c'è storia.
In altre parole, quella del filtro come controllo di qualità della storia è una baggianata. Rappresentano un filtro, sì, solo quando si tratta di cassare cose che vanno un minimo al di là degli schemi ormai assodati.
Dall'altra parte, ci sono gli autori, a quanto pare liberi, finalmente, dall'obbligo di peregrinare - a volte per anni - da una casa editrice all'altra, spesso aspettando risposte che non arriveranno mai. E che, con questa storia del self-publishing vanno a nozze. Prima, avevano solo due modi per "uscire" a dispetto dei rifiuti e di un mondo nel quale è difficilissimo entrare: un editore a pagamento (con tutto quello che comporta) o un print-on-demand. I due metodi sono accomunati da un fattore: ti devi fare un culo così con la promozione. Bussare alle librerie per spacciare il tuo libro, mendicare recensioni, venderti l'anima per un briciolo di visibilità.
Con la rivoluzione digitale, questo ostacolo è stato superato alla grande: un ebook autopubblicato ha - potenzialmente - la stessa visibilità di uno dato alle stampe da una grossa c.e. e, anzi, ha un vantaggio in più.
Sì, avete capito bene: ha un vantaggio.
Perché? Perché Mondadori, Fanucci, Fazi, Einaudi, temendo di far concorrenza a se stesse, non metteranno mai un ebook a 0.99 centesimi - a parte durante l'orrida pratica dello sconto lampo - a fronte di un cartaceo che costa (quando va bene) dodici euro. Il self-publisher questo problema non se lo pone proprio: così, mentre il lettore non compra gli ebook Fanucci a sette euro (io ho preso il cartaceo di Dune a 4.90), i novantanove centesimi nell'ebook di uno sconosciuto ce li butta. Cazzo, costa meno di un caffé, ma perché no? Le grosse c.e. si danno la zappa sui piedi da sole, escludendo una grossa fetta di pubblico. E, di fatto, rappresentando una palla al piede per l'editoria digitale.
(Ah, sia chiaro: io non sono pro-digitale per via di Ultimo Orizzonte. Semplicemente, mi piace leggere. Leggerei anche sulla carta da culo, se mi fosse data la possibilità. Perciò, se con gli ebook leggo di più e spendo meno, ben venga.)
Comunque, stabilito che l'autore che si pubblica da sé ha un vantaggio, andiamo avanti: il discorso qualità del testo.
Le case editrici - quelle serie, sì - sul testo ci lavorano. Devono lavorarci. E tanto. Editing in diversi passaggi, correzione bozze e tutto quanto. E un testo lavorato dall'autore supportato da un bravo editor è senz'altro migliore di un qualsiasi manoscritto, anche di quello che ha subito diverse riscritture.
Il problema è che l'editing costa e tante c.e., sorprendentemente anche quelle grandi, lo saltano a pié pari.
Se fossimo, che so, nel regno delle favole, funzionerebbe così: l'editore cattivo manda in stampa solo libri porcate, ma gli autori bravi e coraggiosi, lo battono, auto-pubblicandosi e sfornando libri di alta qualità e che giungono così al pubblico affamato.
E tutti vissero felici e contenti.
(Sì, poi ci sarebbe la parte II, nella quale l'editore cattivo, compreso il suo errore, si redime e inizia a pubblicare cose degne di essere lette.)
Ma siccome non siamo nel regno delle favole, la questione è un tantino più complessa: nel variegato panorama delle opere auto-pubblicate ci saranno cose bellissime, che sono state ingiustamente rifiutate... ma la maggior parte saranno porcate senza vergogna, scritte da persone che non si pongono neanche il problema della qualità. Potrei farvi un paio di esempi di gente che dice "non rileggo mai quello che scrivo, l'importante è trasmettere emozioni" (e qui ci riagganciamo al volo alla tematica sole, cuore, aMMore e alla mia risposta: "dammi tre parole, vai a cagare").
In altre parole, siamo onesti: il self-publishing non è la terra promessa degli autori bravi schiacciati da un sistema editoriale che puzza di vecchio e di banale. È anche quello, in potenza, ma, nelle sue manifestazioni più eclatanti, il self-publishing è - e, soprattutto, sarà - la risposta ai più sfrenati desideri di qualunque geGno convinto di essere un predestinato della penna. 
Questo tanto per essere chiari.
Cosa penso io?
Penso che ci sia posto per tutti, a questo mondo. Mi infastidiscono le posizioni della serie "no, il self-publishing no, perché toglie spazio all'editoria tradizionale/abbassa la qualità/relega l'editing a processo opzionale".
E sapete perché? Per tre motivi.
Primo, perché non sopporto chi la fa cadere dall'alto, chi tenta di controllare cose che non ha alcun diritto di controllare. Se io voglio auto-pubblicarmi, (e non voglio, non ho il carattere giusto, ma faccio per dire), di certo non ho bisogno di chiedere permesso a nessuno!
Secondo, perché la qualità e l'editing ce li siamo già persi per strada da un po'.
E terzo perché sono stupide: il self-publishing è una realtà. Non ci si può nascondere dietro un dito: mentre quelli perdono tempo a discutere dei perché sì e perché no, la gente sforna ebook.
Tanto vale, farci i conti.
Non è l'editoria che deve farsi carico del ruolo di paladina dei lettori ignari (vedi la stronzata sulla qualità): siamo noi lettori a dover proteggere noi stessi, sia dalle puttanate che impestano il web, sia da quelle che impestano le librerie. 
Dobbiamo essere consapevoli di quel che leggiamo e di quel che acquistiamo.
Io non ho bisogno di un signor Mondadori, o Fanucci, o Fazi, o Mauri Spagnol che si assuma "l'onere" di, come dire, assicurarmi un rifornimento di libri di qualità (e che magari me lo faccia pesare). Non l'ha fatto prima, non si metterà certo a farlo ora.
Io decido quel che leggo. E quel che spendo per leggere. Alla fin fine, funziona come per la televisione: possono anche spacciarmi isole dei famosi e grandi fratelli, ma sono io quella che ha il telecomando in mano, fino a prova contraria. E se non voglio guardare trasmissioni-puttanata, cazzo, non le guardo.
Come non mi faccio abbindolare dalle stronzate spacciate come  il caso editoriale di turno, non mi faccio abbindolare nemmeno dal Pinco Pallino che si è auto-pubblicato.
Gli editori devono smetterla di pensare al popolo dei lettori come a delle galline in batteria, che trangugiano indifferentemente tutto quello che viene loro dato. 
Quanto agli autori che si auto-pubblicano, stabilito che hanno tutto il diritto di farlo, dovrebbero considerare che il self-publishing ha i suoi pro e i suoi contro: ad esempio, che sei alla mercé del tuo pubblico, senza intermediari. E c'è da prendere delle sonore stangate nei denti.
Date un'occhiata qui. Fate bene caso al punto 3: Use professional editors and cover designers to make your product as good as possible. Basically, it should be indistinguishable in quality from traditionally published books. Your cover should NOT look self-published.
Non è un consiglio scemo, comunque.

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