martedì 19 novembre 2013

Mastercoso, lì, Masterpiece.

In realtà, mi ero ripromessa di non parlarne. Non volevo regalare a questo programma nemmeno un briciolo di visibilità.
Che tanto, secondo me, qui vale il nel bene o nel male purché se ne parli.
Non se l'é filato nessuno, ma, oh, è uno degli hashtag più discussi di Twitter!
No, ma vantatevene.
Solo che non riesco a togliermelo dalla testa e questo non è un complimento, signori autori, proprio no. 
Non è possibile girare la cosa in positivo, così come, rassegnatevi, non è lusinghiero il fatto che i giudici vengano messi in difficoltà dai testi proposti loro. O meglio, lo sarebbe, se a rendere ardua la scelta fosse l'eccellenza. Ma qui il problema è che fa tutto schifo uguale.
In questi due giorni ne ho lette e sentite di  ogni: chi si scandalizza per la mercificazione della cultura e chi mal sopporta lo snobismo dei lettori, chi parla male dei casi umani e chi taccia i detrattori di essere solo dei segati invidiosi.
Chi dice che Masterpiece è un'idea geniale e chi che è una stupidaggine, chi dice che ci voleva e chi dice che anche no.
Io sono del partito dell'anche no. E, prima che vengano fuori delle questioni, sì, scrivo. E no, non mi hanno segata: non mi sono presentata. Non mi ha mai sfiorato l'idea di farlo.
Perché?
Perché nel mezzo televisivo conta il personaggio e io l'avevo già detto, in tempi non sospetti, che avremmo visto  una sfilata di casi umani.
Ah, il caso umano! La miglior pubblicità che sia mai stato inventata. Come vende il caso umano, nient'altro mai.
Ok, sono cinica, lo ammetto.
Però scusate, a me sono cadute le braccia. Ora, io di scrittori ne conosco. Magari non saranno De Carlo, ma ne conosco una buona cinquantina.
Dite che cinquanta non è un campione statistico rappresentativo?
Mettiamola così: se davvero scrivere fosse sofferenza e travaglio interiore, almeno uno dei miei amici dovrebbe essere sofferente e tormentato. Come minimo eh.
Non nego che qualcuno sia un po' strano - me compresa -, ma non ce n'è uno, nemmeno uno, che scriva per esorcizzare demoni interiori, gridare aiuto, et similia.
Tutti, però, a scrivere si divertono. Lo fanno perché a loro piace (e anche per altri motivi, come abbiamo abbondantemente spiegato con le storie del cesso). Vivo nel bel mezzo di un'anomalia statistica, tutti che si divertono e nemmeno uno che soffre?
Forse noi autori di fantastico siamo l'eccezione che conferma la regola? 
Non lo so, ma immagino che, a confronto con uno scrittore allegro e ben pasciuto,  sia molto più fico qualcuno che scrive per lanciare un grido d'aiuto. O che, quando gli domandano cosa faccia nella vita, non risponda l'idraulico, l'infermiere, l'impiegato, la segretaria, la bibliotecaria, il traduttore o - why not - il geologo, bensì: io soffro.
Sentite qua come vi riempie bene la bocca: io soffro.
Quando leggo un libro, io non inizio dalle note biografiche dell'autore: non me ne frega una mazza di chi sia, cosa pensi, se abbia traumi psicologici o meno. Compro (e leggo) il libro perché mi interessa la storia, a prescindere da chi l'ha scritta.
Non escludo che, dopo, mi venga la curiosità di conoscere l'autore, ma se faccio ricerche  in questo senso, non è perché mi interessi qualcosa del suo vissuto: è per sapere, nell'eventualità che il libro mi sia piaciuto, se abbia scritto altro oppure no.
L'impressione che ho avuto io è stata non solo che si sia cercato il personaggio  più che la storia (e che, in questo senso, la scelta sia stata dettata da una gran paraculaggine), ma che non ci si sia nemmeno posti il problema di avere in questo programma degli scrittori nel vero senso del termine.
Tolto il primo concorrente - buttato fuori con il giudizio che  il testo è "ben scritto ma poco sincero" che, personalmente, mi fa pensare a una becera scusa per favorire altri con vissuti più telegenici - gli altri non sono scrittori.
È gente che si è messa lì e ha buttato giù delle parole e che, quando ha raggiunto una certa quantità di pagine, si è detta "ho scritto un romanzo".
Non ce n'era uno, nemmeno uno, che avesse scritto qualcosa di altro da sé.
Chi è stato in prigione ha scritto un poliziesco.
Chi è stata anoressica ha scritto di un personaggio con la medesima malattia.
Chi lavora in fabbrica ha scritto la storia di un personaggio che lavora in fabbrica.
Lo scrittore, quello vero, è uno che si mette una maschera. È uno che conta balle travestite da verità e (ma più raramente) verità travestite da balle.
Lo scrittore è uno che vi prende per il culo e sapete che c'è, che gli piace, si diverte se può farvi credere una cosa e poi tirarvi il tappeto da sotto i piedi con un colpo di scena. Non vede l'ora di farlo.
Ti mostra una cosa con la mano destra, ma vai a sapere cosa sta combinando con la sinistra.
Non gli interessa raccontarti i fatti suoi: gli basta (e avanza) raccontarti quelli dei suoi personaggi che, a proposito, non sono suoi alter ego. Lo scrittore vero non lo troverete nel suo libro perché è dietro le quinte che gioca a fare Dio, una pratica assai più soddisfacente.
È uno che non sa nemmeno pensare di non trasformare in storia - o in dettagli per una storia - tutto quel che gli capita: quello che ha mangiato a colazione, lo stralcio di conversazione origliato sull'autobus, la vecchietta che attacca bottone in coda dal dottore... ogni cosa.
Uno scrittore, uno vero, quando gli chiedono di scrivere una lettera, non penserà, ma nemmeno per un secondo, di usare la sua voce: chi glielo fa fare? È noioso! E poi sono buoni tutti. No, lui creerà un personaggio, così, al volo. E inizierà a giocare con il registro linguistico, magari ci infilerà qualcosa di un po' disturbante, per il solo gusto di rompere le palle, e i dettagli giusti, per capire quant'è bravo, specie se il tempo stringe, a far sembrare reale il personaggio al lettore con il minimo indispensabile di tocchi azzeccati.
Questi qui, invece, hanno dimostrato una penosa mancanza di fantasia. E di talento.
Mi direte che una prova come quella cui sono stati sottoposti non è facile.
Uno scrittore scrive, miei signori. È quello che sa fare meglio, a volte la sola e unica cosa che sa fare. È una macchina da storie, è con quel filtro che guarda il mondo. Perciò quella non avrebbe dovuto essere percepita come una prova, ma come un invito a nozze.
Solo che questi sono così impegnati a soffrire che hanno dimenticato che scrivere è, prima di tutto, un divertimento.
Se avete demoni interiori da esorcizzare, non vi servono carta e penna. Vi serve un analista.
Infine, un'ultima nota su qualcosa che mi ha dato particolarmente fastidio.

8 commenti:

  1. Applausi... non aggiungo altro!

    No, anzi, una cosa la dico: la frase alla fine ha disturbato anche me...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Fa il paio con "a scrivere non si impara, è come starnutire". Bah.

      Elimina
  2. Gli autori del fantastico non sono l'eccezione.
    Non sono autori.

    Secondo l'illuminato parere della giuria: le storie fantastiche sono roba da bambini.
    gne gne gne

    E noi dovremmo dar credito a questi personaggi...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Giusto, come ho potuto osare l'accostamento autore+fantastico? Vado a flagellarmi per espiare!

      Elimina
  3. Brava. Brava. Brava. Ma brava davvero, accidenti!

    RispondiElimina