mercoledì 2 gennaio 2013

Buoni propos... ma anche no.

Primo post dell'anno.
Quindi, a logica, dovrei fare quella cosa dei buoni propositi, che però evito perché tanto non li rispetto mai.
Che poi, son sempre i soliti. Il primo è "dimagrire". 
Ok, adesso potete anche ridere.
Invece, vi parlo di una roba che ho scoperto tipo l'altroieri grazie al commercialista. No, vi spiego: il mio commercialista è un figo pazzesco. Non in senso fisico, però scusate: è un ex-surfista, appassionato di fumetti (in particolare, Hugo Pratt), va a LuccaComics tutti gli anni, gli piace la fantascienza, mi ha consigliato un sacco di bei libri e bei film. Per dire, la prima volta che ho sentito nominare Iron Sky è stato da lui.
Comunque, si parlava di serie Tv e lui mi ha nominato The Prisoner.
Non so se l'avete mai sentita, io confesso l'inioransia e vado a spiegare per gli inioranti come me (quindi, se siete già informati, prendetela per quel che vale).
The prisoner è una serie inglese del 1967 (gli americani l'hanno rifatta nel 2009, ma il remake ancora devo guardarlo: sono andata diretta sull'originale) e parla di un agente segreto inglese che, dopo aver rassegnato le dimissioni, si ritrova catapultato dentro il Villaggio.
In pratica, arriva a casa deciso a farsi la valigia e a sparire - dopo aver cazziato di brutto l'ex-capo - e invece viene narcotizzato e si risveglia in un villaggio costruito su un'isola. 
Il Villaggio, a guardarlo così, sembrerebbe pure un bel posto: lindo, in ordine, con un sacco di gente - vestita in modo assurdo, ma vabbé - con delle attività ricreative per divertirsi, belle casette in cui abitare.
Un sacco di verde, giardini, piscine, un porticciolo delizioso, la spiaggia...
(Esiste davveero 'sto posto: è il villaggio turistico di Portmeirion, in Galles. Non è un'isola, però: è solo alla foce del fiume Dwyryd).

 
Se vuoi andare da qualche parte, ti basta chiamare un taxi: ci sono un sacco di Mini Moke pronte a scarrozzarti (c'è da dire che i taxisti filano come disperati, strombazzando per far spostare i pedoni).
Sapete qual è il problema?
Che da lì il nostro eroe non se ne può andare. Il fatto è che ha rassegnato le dimissioni, ma sa un sacco di cose. A quanto pare, non si può correre il rischio che le spifferi in giro. Perciò, invece che ucciderlo o sbatterlo in galera, è imprigionato in questa specie di gabbia dorata e non ha più nemmeno il suo nome.
Nel Villaggio, è solo e soltanto il Numero Sei. 
La cosa non è che gli stia tanto bene (la catch phrase è "I'm not a Number, I'm a Person") e, ovviamente, tenta di scappare fin dal primo giorno. Ma mica è facile, eh.
Tanto per cominciare, nonostante l'apparenza, il Villaggio è ipertecnologico. 
Ci sono microfoni spia e telecamere nascoste ovunque. Non si può fare nemmeno un passo senza che chi di dovere lo sappia. La sorveglianza armata è dappertutto, anche se mimetizzata in modo da essere invisibile. E poi c'è il Rover, che è la cosa più strana - e più affascinante, nonché il colpo di genio - di questa serie.
Il Rover è una specie di gigantesco pallone bianco - che pare uscito da una copertina dei Pink Floyd - e che sembra avere vita e volontà proprie. Quando tenti di scappare, ti insegue, ti ingloba  in una scena che fa un po' film horror e ti risvegli in casa, costretto a riprovarci daccapo.  Ammesso che tu ne abbia ancora voglia.
Ora, a questo punto uno si domanda: "Ma perché? Chi è il responsabile di tutto questo?"
In pratica, il "chi di dovere". Chi di dovere sarebbe il Numero Uno. Solo che non si vede mai. L'unico con cui lui ha contatti - e che cambia ogni volta - è il Numero Due. È il Numero Due a spiegargli perché si trova lì e perché non potrà mai uscirne. E anche cosa vogliono da lui.
Sì, perché, oltre a tenerlo di fatto sotto chiave, vogliono sapere per quale motivo ha dato le dimissioni. E il nostro non apre bocca. Al che, gli viene minacciosamente promesso che parlerà. Eccome se parlerà.
La bellezza di questa serie, che è molto Sixties, sta proprio nell'assurdo tenuto sotto controllo. Non c'è niente di particolarmente disturbante, nel Villaggio, ma, se lo guardi nell'insieme, è un carosello di pazzia. È un mondo fuori dal mondo, con regole simili al nostro (emblematico quando consegnano al Numero 6 i documenti, la tessera sanitaria, la carta di credito, insomma, tutto quello che serve per essere inserito nella macchina burocratica), ma profondamente diverso. È un mondo doppio, fatto di apparenze, dove nulla (e nessuno) è come sembra. 
E questo aspetto è così patinato, così volutamente finto, che non puoi fare a meno di domandarti quale sia la realtà dietro i veli e le maschere. 
Una serie che conta molto di più sulla tensione e sullo script che non sugli effetti speciali. Notevole, davvero.

2 commenti:

  1. Uh, sì. Una cosa bizzarra, tipicamente inglese. Non ti voglio rovinare il finale, ma ti anticipo che ha deluso un sacco di gente...

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