mercoledì 27 febbraio 2013

Riflessioni a caso sulla scrittura.

Oggi voglio parlare di scrittura. 
Non so bene cosa vi dirò, visto che vado a braccio, ma tant'è: abbiate pazienza con me, oggi.
No, è che sto completando una storia, con le mille parole al giorno. (A proposito, ieri sera ho centrato l'obiettivo. Sabato e domenica mi sono riposata e lunedì sera... ero troppo depressa dal penoso spettacolo elettorale.)
Inizialmente, a questa storia tenevo tantissimo. Tenevo ai personaggi, cosa per me molto insolita. Poi è successo qualcosa: ha iniziato a diventare più lunga, più complicata e con personaggi parecchio diversi da com'erano all'inizio, al punto che sembravano snaturati.
Infine, e questa è la cosa peggiore, ha cominciato a sembrarmi irrimediabilmente stupida. Più la leggevo e più mi domandavo come avessi potuto, in coscienza, essere soddisfatta di quella porcheria. 
L'ho mollata lì. Anzi, non solo l'ho mollata lì: l'ho nascosta a me stessa, una deformità di cui dovermi vergognare.
Questo la dice lunga sul mio (stupido) desiderio di perfezione, sulla mia (stupida) paura del giudizio e sulla mia (stupida) sindrome da prima della classe. Da qualche parte ho letto che non ci si deve vergognare dei propri errori (e non intendo quella frase da Smemoranda stile "non pentirti di quel che hai fatto se quando l'hai fatto eri felice". Onestamente: è una stronzata). 
Ci si deve vergognare dei propri errori? Dipende dagli errori, mi pare ovvio. 
Se ho messo sotto un pedone per una manovra errata... direi che vergognarsi è poco. 
Se ho scritto qualcosa che mi sembrava bello e poi mi sono accorta che era una stupidaggine (e che nessuno ha letto), posso evitare di fustigarmi. In teoria. Perché (ve l'ho già detto che sono stupida?) mi fustigo lo stesso.
Detto questo, visto che non ho la testa per riprendere in mano tre progetti più succosi - dei quali due con first draft completo - e che ho bisogno, un bisogno disperato, di routine ho ritirato fuori dalla naftalina la storia stupida.
E vado avanti, senza pensare alla qualità né del prima, né dell'adesso. Senza pormi domande sul perché i personaggi siano diventati quel che sono. O che cosa potrebbe pensare qualcuno leggendola (i miei fallimenti li tengo per me).
L'unico obiettivo è mettere un punto. Finirla. Finirla per non averla più in sospeso, a ciondolare in fondo al ripostiglio della mia mente.
Non so se questo atteggiamento da "ti tolgo di mezzo perché non ne posso più di te" sia "da scrittrice". 
Ultimamente ho smesso di chiedermi cos'è da scrittore e cosa non lo è. Sono un po' stufa di sentirmi inadeguata. Ok. Molto stufa.
Non giro con il block notes, non rubo pezzi di realtà da mettere nelle mie storie, non parlo con i personaggi, tantomeno li vedo. Per me non sono reali come persone vere: sono personaggi. Non so dire cosa sia la scrittura per me. Non mi è necessaria come respirare, non è la mia valvola di sfogo, né il mondo incantato nel quale fuggo quando quel che mi circonda diventa insopportabile: quando quello che mi circonda diventa insopportabile, vado in piscina. O a correre. O bisticcio con qualcuno per futili motivi (l'unico, vero motivo è che mi girano le palle).
La sola cosa che faccio "da scrittrice" (e le virgolette sono d'obbligo, perché sono un geologo e non una scrittrice) é che mi metto lì e scrivo. 
E non vedo niente di speciale in questo, altra cosa che mi sta dando sempre più sui nervi. Se scrivi non sei meglio degli altri. Niente aura dell'intellettuale, o stronzate del genere.
A volte, quando scrivo mi diverto. Magari parecchio. A volte mi angoscio. A volte mi arrabbio. 
E a volte, semplicemente, mando affanculo storie moleste.


1 commento:

  1. Prima di tutto, sono contenta che tu abbia rispolverato quella storia. E curiosissima. Ma proprio issima.
    E per il resto, te l'ho sempre detto: fregatene di quello che è o non è da scrittrice. Non esistono due scrittori uguali al mondo. Devi solo avere il coraggio di essere la scrittrice che TU sei, non pensare a quello che non fai e "gli altri sì".
    Terzo: le storie hanno i loro tempi. Qualcuna ha una gestazione di pochi mesi, altri si trascinano anni. Ma arriva il momento buono, prima o poi. Anch'io ho storie importanti in stand by, ma il loro turno arriverà. E il tempo che passa le arricchisce e risolve i problemi che c'erano, le cambia, e, credo, le rende migliori.
    (Nota: l'aura dell'intellettuale proprio no, percaritàdellaDea. E scrivere non è una scusa per sentirsi migliori di altri. Rende semplicemente diversi - come tante altre cose, eh, a costo di essere banale, "siamo tutti diversi". Tu puoi dire di essere una geologa e solo poi anche una scrittrice, ma scrivere è comunque parte della tua definizione, indipendentemente dalla priorità che le dai. E cambia, in qualche modo, quello che sei, il modo in cui osservi le cose e le persone.)

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