venerdì 15 febbraio 2013

You can do it.

La foto (bellissima) viene da qui
Correre non è uno sport facile. 
Perché? Perché non è divertente (almeno, non per me). Soprattutto, non lo è durante. Per quanto mi riguarda, a dirla tutta, lo trovo noioso, specie se, come me, corri intorno a un parco che ha un perimetro di un chilometro esatto. Non è tanto differente dall'essere un criceto sulla ruota.
(La domenica, però, vado al mattino e mi tolgo lo sfizio di correre sul mare: lì la cosa cambia).
Prima di tutto, è un esercizio di volontà. Sei sola, con giusto il lettore mp3 a farti compagnia, e, come se non bastasse, sembra che l'universo intero cospiri contro di te: la gravità ti fa sentire tutto il peso, l'aria non è abbastanza. Il tuo stesso corpo si ribella e non collabora: i muscoli fanno male, per non parlare della milza, quella dannata!, e poi si suda e se fuori è freddo (come in queste sere) finisce che hai caldo e i brividi nello stesso tempo. Mettiamoci pure che lo sai che domani sera sarà la stessa storia, più o meno, e che non smetterà di essere così per tanto, tanto tempo. 
E ti ritrovi a farti l'unica domanda. Quella fondamentale.
Non è "Doctor Who?", è: 
"Ma a me, chi me lo fa fare di soffrire come un cane?"
Dopo, c'è il bivio.
Due scelte. 
La prima è ovvia. Ti fermi. Ci sono un sacco di cose più divertenti da fare, e poi è tardi, vuoi andartene a casa, farti la doccia, stranarti sul divano, che poveretto soffre di solitudine (devi pure preparare la cena, ma non ne hai nessuna voglia). Perché che sarà mai, puoi sempre riprovarci domani e, anche se non ci riesci, mica casca il mondo. Non vinci e non perdi.
La seconda è ricacciare indietro la domanda (e tutte le implicazioni e i suggerimenti di Cervelloh riguardo ad attività alternative infinitamente più piacevoli) e continuare ad andare. Sbanfando come un ippopotamo sovrappeso, con la schiena zuppa, le gambe che pesano manco fossero pietra, e l'acuta consapevolezza di essere al minimo storico del tuo (già di per sé parecchio scarso) fascino.
Lo so, somiglia un po' al classico "stretta è la via che porta al paradiso" o come cavolo era (non sono ferrata in queste cose), ma è più o meno così che funziona.
Correre necessita di una strano tipo di concentrazione: è un'attività che esclude divagazioni, pensieri, valutazioni di qualsiasi sorta. Se pensi a regolare il fiato, è la volta che vai in affanno. Se ti fai pippe mentali sul ritmo è la volta che lo rompi. Devi lasciare andare tutto e, semplicemente, muoverti. Non si tratta di ascoltare il tuo corpo, perché questo implica un certo grado di controllo su di esso e invece lui si regola benissimo anche da sé: devi permettergli di farsi gli affari suoi e startene brava e zitta in un angolo.
Se ci si riflette su, correre ha molto in comune con il concetto di desiderio. Ma non in un senso astratto, no. In uno parecchio concreto: volere qualcosa - ad esempio, raggiungere i chilometri che ti sei prefisso - anche a costo di soffrire. Non tanto, eh, non si sta parlando di auto-martirizzarsi. Solo un po'.
Se lo vuoi davvero raggiungere, quell'obiettivo, devi pagare. Con il sudore, i crampi se capitano, il fiatone e la sensazione di essere un bruco che striscia con fatica infinita. 
E poi succede qualcosa
Dopo che hai stretto i denti (metaforicamente, sei pur sempre a corto di fiato e la bocca ti serve per incamerare più aria possibile) e hai deciso che no, non molli manco morta, arrivi a un certo punto, oltre il disagio fisico, l'affanno e tutte le seccature annesse e connesse (che ci sono e continuano ad esserci, beninteso), in cui ti rendi conto che tutto dipende solo da te.
Non c'è nessuno a dirti di no, nessuno cui rendere conto, nessuno che ti dica "Tanto non ce la farai mai" a raggiungere il tuo obiettivo giornaliero e, se ti va, a superarlo.
Ci siete tu e la strada. Basta. Sapete come ti fa sentire, questo? Libero.
E quando ti rendi conto che ce la puoi fare sul serio, che ce la stai facendo e che, anzi, puoi andare ancora oltre... allora ti ripaga di tutto.
Ne L'arte di correre, Murakami traccia un parallelo fra la corsa, intesa non come gara, ma come preparazione alla gara, e la scrittura. E ha ragione: le due cose si assomigliano. Scrivere è un esercizio di volontà. Un'attività che necessita di disciplina e sacrifici. E nella quale si deve imparare a credere, perché è faticosa, è frustrante, ti porta un sacco di rogne e rotture di scatole, prima, dopo e durante e devi proprio volerla a tutti i costi, quella storia, per sopportarne le implicazioni.

Il dolore non si può evitare, ma la sofferenza è opzionale.
Supponiamo per esempio che correndo uno pensi: "Non ce la faccio più, è troppo faticoso". 
La fatica è una realtà inevitabile, 
mentre la possibilità di farcela o meno è ad esclusiva discrezione dell'individuo.

Murakami Haruki - L'arte di correre

(Così, en passant: è un bellissimo libro. Dategli un occhio, se vi va.)

4 commenti:

  1. Corri Valeeee, corriiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!
    Ti stimo, io in primavera a volte vado con il brother a correre al Valentino (il parco che c'è a Torino intorno al finto Borgo Medievale, non so se hai presente) e lui mi molla alla prima curva, perché io non ce la faccio (pant, pant!). Per cui, ti attribuisco un rispettone!

    RispondiElimina
  2. Ho sbirciato il Valentino (purtroppo solo passando in macchina) e mi è sembrato un posto fantastico! Quando il brother ti molla, tu lascialo andare e continua con il tuo passo, senza fermarti! XD

    RispondiElimina
  3. A me correre invece piace, proprio per la componente di fatica boia che implica. Correre è una fatica bastarda, per tutti, sempre, perchè sei tu che sfidi te stesso e perciò, in linea teorica, raggiungere una linea di comfort dove non c'è poi così tanta fatica è virtualmente impossibile.

    A livello pratico mi permetto di darti un consiglio, se già non lo stai facendo: procurati, anche a buon prezzo, un abbigliamento da corsa adatto, almeno per la parte alta del corpo. Vedo gente che va a correre in felpa con sotto magliette di cotone e mi viene male per loro, o sono superuomini e superdonne o s'ammalano ogni due per tre. Il comfort durante la corsa è importante, e l'abbigliamento cambia l'esperienza. Idem per le scarpe, specie se corri fuori... non occorre spenderci triliardi ma servono le scarpe giuste. Mi raccomando!

    Other than that... continua! Io odiavo correre quando ho cominciato, invece ora mi piace. Go Vale!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Go me! Tranquilla, Socia che sono attrezzata: abbigliamento tecnico da freddo (quando cambierà la temperatura prenderò quello più leggero) e scarpe adatte!

      Elimina