Semplice, vero?
Io ci ho messo anni per arrivarci.
Anni di storie abortite perché pianificate con troppo dettaglio e troppo in anticipo, ingabbiate a forza in schemi troppo rigidi e definizioni che capivo (se andava bene) solo a metà.
Anni di frustrazione e ancora ne porto i segni addosso. Sono piccole, ma sono le mie cicatrici e non ho più voglia di nasconderle come se fossero qualcosa di poca importanza.
Questa fase è durata tanto, è durata troppo.
Questa fase è durata tanto, è durata troppo.
E poi, non so bene come sia successo, ci sono arrivata.
Non l'ho formalizzato in un aforisma, ma, in modo ancora più semplice, mi sono limitata a farlo.
Scrivere senza pensarci su.
Scrivere solo per il piacere di farlo, mandando alle ortiche le regole dei manuali e i patemi da "ma cosa dirà chi mi legge?" (era seguito subito da "chi vuoi che ti legga, cretina?").
Scrivere per raccontarmi una storia.
Scrivere come leggere, per voltare la prossima pagina e scoprire che cosa succede poi.
Ha funzionato.
Per sgombrare il campo da fraintendimenti, io i manuali li leggo. E li studio (non è scontato che sia la stessa cosa). Prendo pure appunti. In casa (e nel Paperwhite) ne ho tanti - alcuni li ho trovati utili, altri meno. Non li idolatro, non ci sputo sopra: mi limito a prenderli cum grano salis.
Ma per me il primo passo, la prima stesura, va fatta in piena e assoluta libertà.
Non è un'opzione fra tante, non ho un'altra scelta. Io o faccio così, o non funziono.
Perciò, questo è il mio consiglio.
Dimenticatevi i temi, gli archi di trasformazione, i viaggi dell'eroe e seguite l'istinto. Divertite voi stessi: scoprite i vostri personaggi, scoprite il loro mondo.
Siate curiosi. Siate esploratori. Osate. Mescolate generi diversi, non fuggite dalle stramberie, piuttosto fateci amicizia e nuotate in mezzo a loro. Scoprirete che non mordono, raccontano le barzellette. Escludete il mondo, non pensate al pubblico, a quel che va di moda, a quel che ha più possibilità di attrarre un editore. Scrivete per voi, e per voi soli, raccontatevi la storia che vorreste leggere. Godetevi la sensazione di non dover rendere conto di niente a nessuno.
Sentitevi liberi. Non c'è niente di meglio.
Portate a casa la prima stesura, mettete quel punto finale e amate il processo che vi porta a farlo. Amatelo ogni secondo che vi impegnerà, perché dopo le cose cambieranno.
Dopo dovrete essere rigorosi, critici, ferocemente pignoli e pretendere da voi stessi più di quanto il lettore più orrendamente maldisposto nei vostri confronti potrebbe mai fare.
Dopo vi preoccuperete della gestione del punto di vista, del viaggio dell'eroe e dell'arco di trasformazione del personaggio.
Dopo vi porrete il problema del tema portante e vi farete venire la nausea a forza di lavorare sulla struttura.
Dopo dovrete verificare ogni vite e ogni rivetto della vostra ambientazione, controllare ogni ruota dentata e ogni collegamento, più e più volte.
Dopo dovrete fare schemi, piani e diagrammi a blocchi.
Dopo dovrete smontare la vostra storia, scinderla nei in tutti i suoi elementi e poi ricombinarli insieme nel modo più efficiente. Tirarla, spingerla e pressarla per vedere fino a che punto è solida.
Dopo vi porrete il problema del tema portante e vi farete venire la nausea a forza di lavorare sulla struttura.
Dopo dovrete verificare ogni vite e ogni rivetto della vostra ambientazione, controllare ogni ruota dentata e ogni collegamento, più e più volte.
Dopo dovrete fare schemi, piani e diagrammi a blocchi.
Dopo dovrete smontare la vostra storia, scinderla nei in tutti i suoi elementi e poi ricombinarli insieme nel modo più efficiente. Tirarla, spingerla e pressarla per vedere fino a che punto è solida.
E tutto dovrà essere perfetto, a prova di bomba, non ci dovranno essere né infiltrazioni, né ruggine. Non potrete risparmiare sul lubrificante, perché questo meccanismo dovrà funzionare.
Lo dovete a voi stessi, alla vostra storia, a chi vi regalerà il proprio tempo (e, in alcuni casi, il proprio denaro) per leggervi. E anche perché, detto fuori dai denti, la rete è una giungla e là fuori ci sarà sempre qualcuno che proverà a farvi le pulci, si riterrà in dovere di farvi la lezione, di trattarvi come una merda perché non vi siete documentati abbastanza, o perché non avete gestito bene il punto di vista, o, semplicemente, perché lui, la vostra storia, l'avrebbe senz'altro scritta meglio. Peccato che non sia stato capace di pensarla. In ogni caso, dato che così è se vi pare, perché offrire il fianco a questi personaggi?
Sembra un mucchio di lavoro? Lo è.
Ma c'è un (piccolo) lato positivo: se avete fatto i compiti a casa, vi accorgerete che tutte le ore spese a leggere e studiare non sono andate sprecate. Non sono andate sprecate affatto, perché nel mettere insieme il vostro scritto avrete usato, anche senza accorgervene, anzi, la maggior parte delle volte proprio senza accorgervene, gli strumenti che avrete acquisito e le abilità che avrete forgiato durante lo studio e i ripetuti tentativi di creare una storia (perché tutti abbiamo alle spalle i ripetuti tentativi di creare una storia. Di solito sono imbarazzanti. I miei lo sono).
Secondo Brandon Sanderson (a proposito, le sue lezioni di scrittura sono disponibili on line e sono davvero ben fatte) ci sono scrittori che procedono creando un outline dettagliando molto in fase di pianificazione e ci sono scrittori che utilizzano l'intero first draft come fosse un outline.
Gli uni non sono meglio degli altri. Sono modi di procedere diversi.
Io appartengo al secondo gruppo. Adesso sono in grado di dirlo, ma ci ho messo anni per accettare che andava bene anche così. Tutte le persone intorno a me avevano un approccio del primo tipo e portavano a casa storie su storie. Io, per quanti sforzi facessi, neanche una.
Risultato: era colpa mia, avevo per forza qualcosa che non andava.
Non ero una scrittrice doc, plain and simple.
Non ero una scrittrice doc, plain and simple.
Adesso so che non esiste un modo giusto o uno sbagliato: esiste solo il modo che funziona per te. Se lo usi e scrivi è giusto. Se lo usi e non scrivi è sbagliato.
È come un paio di scarpe: ti deve calzare a pennello, altrimenti camminare è una tortura.
Salvo rari casi - e il manoscritto cui sto lavorando ora è uno di questi - non so mai all'inizio di cosa parlerà la storia. Non conosco la trama - se non come uno spunto iniziale, né riesco a dire a priori quale sarà il motore che la spingerà avanti. Se sono fortunata, lo scopro cammin facendo e la porto a conclusione. Se sono sfortunata - e mi è capitato - sono costretta a lasciarla stare fino a che non capisco qual è il nocciolo della questione. Una storia è rimasta bloccata in quel modo per due anni, in attesa che, il mese scorso, arrivasse il click nella mia testa. Ho trovato la chiave, l'ho infilata nella toppa e la porta si è aperta. Adesso la storia ha tutte le carte in regola per ricominciare a camminare come, anzi, meglio di prima.
Ho una lista di priorità, non posso lavorarci subito, ma so che quando lo farò avrò ben chiaro come maneggiarla e dove mi porterà.
Sono davvero un essere strano: sono una maniaca del controllo, eppure ho sprecato anni tentando di usare un approccio alla scrittura ultra-controllato e che con me non funzionava. Sono una maniaca del controllo e riesco a portare a conclusione una storia soltanto nella libertà più assoluta, con il controllo che non è proprio contemplato.
Forse anche di questo è responsabile l'altra me stessa. Forse anche di questo dovremmo parlare, sedute al tavolino e di fronte alla famosa birra.
Maledizione, mi toccherebbe dirle che ha ragione lei.
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