Alla fine di settembre del 2013, a un mese esatto dal mio rientro dalle ferie, ero di nuovo punto e accapo: stress a livelli di guardia, notti insonni passate a fare conti (la gente non pagava e avevo parecchie spese da sostenere) e un diffuso senso di fallimento che mi avvelenava la vita.
Perfino di scrivere proprio non se ne parlava. Posso anche fare finta che non mi importi della scrittura, ma la verità è che non riuscire a produrre nulla contribuiva a ridurre ai minimi termini la mia già scarsa autostima.
Tutto il bene che avevo tratto da dieci giorni di crociera se n'era andato in un lampo giù per il gabinetto e la mia vita era di nuovo sui binari per Depressione di Sotto - abitanti:1 (la sottoscritta).
Mi guardavo intorno e tutto quel che vedevo era gente più realizzata, più soddisfatta e più felice di me. Gente che aveva quel che io desideravo e non riuscivo ad ottenere.
Non è che questo mi rendesse una compagnia piacevole.
Stava andando a rotoli tutto quanto. Stavo andando a rotoli io.
Volete sapere la cosa peggiore? Ne ero perfettamente cosciente e non muovevo un dito.
Ma non riuscivo a trovare l'energia per fare qualcosa. Proprio come una medusa - una medusa molto stanca e svogliata - galleggiavo, lasciandomi trascinare dalla corrente (riservandomi, però, il diritto di lamentarmi del dove mi portava).
Il guaio dell'inazione è che è così terribilmente comoda.
È come un paio di ciabatte sformate, che ormai sono adattate ai tuoi piedi. A tutti piace un bel paio di ciabatte comode, per stare in casa. Il problema era che, metaforicamente, io le usavo anche per uscire con la motivazione 'sono così comode, perché dovrei fare la fatica di mettermi un paio di scarpe?'. E, in ogni caso, uscivo (sempre metaforicamente) il meno possibile perché 'è così comodo stare in casa, perché dovrei fare la fatica di uscire?'
È un circolo vizioso. Non devi fare nulla: non devi pensare, non devi impegnarti, non devi impiegare alcuna energia. Ti limiti a respirare e lasciare che le cose vadano da sé. Il rovescio della medaglia? Ansia e insoddisfazione, ma delle volte è un prezzo che sei disposta a pagare.
È un semplice bilancio costi-benefici. A volte, il non impegnarsi vale bene un po' d'ansia.
Non questa volta. Questa volta il non-impegno mi stava costando caro.
Ci sono dei momenti in cui capisci di essere arrivata a un bivio e di dover prendere, per forza, una decisione, in un senso o nell'altro. Per me, uno di questi momenti è stato a settembre del 2013.
In un modo confuso, ma pressante, capivo che avrei dovuto per forza fare qualcosa. E farla subito.
La mia risposta (e non nascondo che mi ci è voluta una spintarella) è stata realizzare un desiderio che avevo da anni e che non avevo mai concretizzato (sempre perché costava fatica): cercare un centro yoga e andare a provare.
A posteriori, posso dire che questo passo, così piccolo da essere insignificante, è stato il primo di un viaggio. Un viaggio che mi impegna ancora adesso. Un viaggio non facile, che mi mette di fronte - sempre - a me stessa e alle mie difese.
Ho delle buone difese, io. Ci ho messo quasi trentotto anni a costruirle. Non sono facili da buttare giù, neanche quando ci provi dall'interno.
Andare in palestra, fare acquagym, correre sono tutte attività che non richiedono nulla alla tua mente. Solo la determinazione di sottoporti a un regime di sforzo fisico. Funzionano bene in caso di stress, perché ti spengono letteralmente il cervello.
Quando finisci di faticare, stai bene: hai un bel po' di endorfine in circolo che zittiscono il chiacchiericcio insistente di problemi e fattori stressogeni. Non li risolvono, non li eliminano, ma per un po' li imbavagliano.
Lo so perché ci ho provato.
L'unica cosa che fanno è crearti una sorta di dipendenza, in senso molto lato: finito di correre stai bene, quindi la sera- o la mattina, o il pomeriggio - dopo ci ritorni.
Fare yoga non è, almeno per l'approccio che adottano nel centro che frequento, semplicemente mettersi lì e cercare di assumere posizioni strane con nomi altrettanto strani. La prima cosa che ti insegnano è che c'è unità fra spirito e corpo: se il corpo ha delle rigidità e delle tensioni è perché il tuo stato emotivo ha delle rigidità e delle tensioni.
Perciò devi chiederti per quale ragione assumi posture sbagliate, oppure somatizzi lo stress a livello di certe parti del corpo (per esempio il collo, lo stomaco, l'intestino): è un viaggio non solo alla scoperta del tuo corpo - e qui ci arrivo fra poco -, ma della tua interiorità. Ti fai delle domande e, inevitabilmente, cerchi le risposte.
I problemi e i fattori di stress non vengono imbavagliati, al contrario: vengono fuori, che tu lo voglia o no. E, all'inizio, propendi per il "no".
L'approccio che lo yoga ha all'attività fisica ha rappresentato forse la prima, grande novità per me. Ho sempre fatto sport - magari malvolentieri, perché sono pigra - ma non ho mai prestato attenzione al mio corpo.
Andare in palestra, fare acquagym, correre sono tutte attività che non richiedono nulla alla tua mente. Solo la determinazione di sottoporti a un regime di sforzo fisico. Funzionano bene in caso di stress, perché ti spengono letteralmente il cervello.
Quando finisci di faticare, stai bene: hai un bel po' di endorfine in circolo che zittiscono il chiacchiericcio insistente di problemi e fattori stressogeni. Non li risolvono, non li eliminano, ma per un po' li imbavagliano.
Lo so perché ci ho provato.
L'unica cosa che fanno è crearti una sorta di dipendenza, in senso molto lato: finito di correre stai bene, quindi la sera- o la mattina, o il pomeriggio - dopo ci ritorni.
Fare yoga non è, almeno per l'approccio che adottano nel centro che frequento, semplicemente mettersi lì e cercare di assumere posizioni strane con nomi altrettanto strani. La prima cosa che ti insegnano è che c'è unità fra spirito e corpo: se il corpo ha delle rigidità e delle tensioni è perché il tuo stato emotivo ha delle rigidità e delle tensioni.
Perciò devi chiederti per quale ragione assumi posture sbagliate, oppure somatizzi lo stress a livello di certe parti del corpo (per esempio il collo, lo stomaco, l'intestino): è un viaggio non solo alla scoperta del tuo corpo - e qui ci arrivo fra poco -, ma della tua interiorità. Ti fai delle domande e, inevitabilmente, cerchi le risposte.
I problemi e i fattori di stress non vengono imbavagliati, al contrario: vengono fuori, che tu lo voglia o no. E, all'inizio, propendi per il "no".
L'approccio che lo yoga ha all'attività fisica ha rappresentato forse la prima, grande novità per me. Ho sempre fatto sport - magari malvolentieri, perché sono pigra - ma non ho mai prestato attenzione al mio corpo.
Non ho mai identificato me stessa nel mio corpo, ma sempre nel mio io senziente, nel mio cervello, se vogliamo. Ragion per cui ogni movimento, dal più semplice e spontaneo di tutti, il respiro, a quelli più complessi era svolto del tutto inconsapevolmente. Non prestavo attenzione a come i miei muscoli riuscissero a realizzare una data cosa, fintanto che portavano a termine il compito che il mio cervello aveva dato loro. Non ero cosciente di come respirassi, né del fatto di contrarre determinate parti - per esempio, le spalle - come conseguenza di uno stato mentale tutt'altro che tranquillo.
Avete mai provato a mettervi scalzi e camminare, prestando attenzione solo al movimento dei vostri piedi? A osservare, a sentire, attimo per attimo, come la pianta e le dita lavorano, come cambia il contatto con il pavimento, come il peso viene ridistribuito e poi passato da un piede all'altro?
Provateci. E vedrete che non sarà facile mantenere l'equilibrio. Eppure camminiamo tutto il giorno, no?
Avete mai provato a concentrarvi sul vostro respiro e a studiare come il vostro addome prima e la vostra cassa toracica poi si riempie e si svuota? Io non ci avevo mai fatto caso. Ancora adesso, gli esercizi di respirazione sono quelli che mi riescono peggio. I primi mesi erano una tortura: a livello del diaframma c'era un blocco, una sorta di saracinesca che mi mozzava il fiato.
E avete mai provato a concentrarvi? A sedervi sul pavimento e guardare, che so, la fiamma di una candela concentrandovi solo su quella? La prima volta il mio cervello ha resistito (forse) trenta secondi, dopodiché si è messo a saltabeccare fra le cose che avrei dovuto fare dopo la lezione e l'indomani, quelle che avrei dovuto dire a tizio (e invece, come una stupida, avevo taciuto), fra i soldi che dovevo assolutamente recuperare... e via così. Trenta secondi di apnea - quindi niente affatto rilassante - e poi la scimmietta ubriaca ha iniziato a dimenarsi.
E avete mai provato coscientemente a sdraiarvi e rilassarvi? Stare lì, fermi, con il corpo morbido e pesante e la mente silenziosa. Non è facile come sembra. I primi tempi, durante la fase di rilassamento, mi contraevo. Uscivo dal centro che ero tutta rigida.
Adesso, dopo otto mesi di lezioni due volte a settimana (avevo iniziato con una volta a settimana, ma mi piaceva tanto che ho aumentato a due), posso dire che qualche passetto avanti l'ho fatto.
Intanto, ho imparato a tenere a bada le mie aspettative. (Più o meno. Avete presente il domatore che tiene a bada i leoni con la frusta? Il livello è quello, ma visto che prima i leoni mi stavano sbranando, lo prendo come un miglioramento.)
Nello yoga c'è osservazione e non giudizio. Ora, immaginate me, con la mia sindrome da prima della classe, se potevo evitare di chiedermi 'sto facendo bene questa asana?', 'sto provando quel che si suppone io debba provare?', 'sento il peso del mio corpo come si suppone che lo debba sentire?', 'sto respirando come si suppone io debba respirare?', 'sono brava?', 'sono più brava?', 'sono all'altezza?', 'perché tutti visualizzano i chakra e io non vedo un tubo?'. Ogni tanto ci ricasco, ma è raro. Sulle visualizzazioni, principalmente. Alcuni dei miei compagni di corso sono molto sensibili, sia alle energie che alle visualizzazioni. Io sono riuscita un paio di volte ad attivare l'energia lungo la spina dorsale - una sensazione stranissima: sei seduta in mezzo alla stanza, eppure senti caldo come se avessi la schiena poggiata a un termosifone bollente - e a vedere qualcuno dei chakra - quelli alti, specie il sesto. Il sesto, il terzo occhio, che sta al centro fra le sopracciglia ed è viola, lo vedo facilmente. I chakra bassi invece nisba -, ma poco altro.
Le prime volte, durante la condivisione finale, mi sentivo in imbarazzo. Poi ho capito che forzare la mano non funziona e mi sono rassegnata a concedermi tempo. Dopo un po', anche questa concessione ha perso significato: io sono quel che sono, quando sarà il momento vedrò.
Le aspettative, quando diventano un cappio, sono una rovina. E io con il mio più-brava-migliore-più svelta-più-realizzata e con la compulsione a dover dimostrare sempre qualcosa a qualcuno, mi stavo strozzando. Se devo essere sincera, sto ancora lavorando per venire a patti con un modo di essere diverso, nel quale queste aspettative così stressanti non ci sono. Hanno sempre svolto funzione di motore - ad alta cilindrata, pure - se le tolgo di mezzo, ho paura di rimanere immobile.
Ho anche imparato a osservare il mio corpo. Non ne sono sempre cosciente 24/7, ma adesso, per esempio, mi accorgo se ho le spalle contratte e sollevate, in una tipica posizione di difesa. E le rilasso. Ho imparato a muoverlo coscientemente e non in modo automatico, a osservare - sia durante la pratica che durante il giorno - quali muscoli sono contratti e quali rilassati.
Lo yoga è un'attività di gruppo solo in apparenza: in realtà è profondamente solitaria e questo è il suo fascino (o quantomeno, uno dei suoi molteplici pregi): sei solo con te stesso.
In silenzio. In quiete. Inizi la pratica e piano piano molli gli ormeggi: non esiste il mondo esterno, non esistono i pensieri, esiste solo il tuo corpo e l'attenzione che dedichi al muoverlo e l'osservazione degli effetti che tali movimenti hanno. Quali muscoli stai allungando, quali stai sollecitando, come viene distribuito il peso, come viene raggiunto (e a volte, ma non sempre mantenuto) l'equilibrio.
Ho imparato - in realtà sto ancora imparando - a stare nel presente.
Non è facile, specie con i ritmi della vita odierna. Siamo sempre proiettati nel futuro e io, con i miei noti problemi di controllo, sono peggio degli altri. Sto sempre a pensare a cosa potrebbe succedere fra un attimo, un'ora, un giorno... tanto che non presto attenzione a quando sono. Lo yoga ti insegna il valore del qui e ora. Stare nel presente ancora mi riesce difficile, specie quando sono sotto stress, ma ci sto lavorando. Ancora una volta, non mi metto fretta e continuo a impegnarmi. In fondo, per dare frutto un albero ci impiega un mucchio di tempo, no?
Ho anche imparato a rilassarmi: non esco più dal centro tutta rigida. La maggior parte delle volte cado dentro me stessa: perdo la sensazione del mio corpo e rimango lì, a galleggiare. Non è male come sensazione.
Ho anche imparato a rilassarmi: non esco più dal centro tutta rigida. La maggior parte delle volte cado dentro me stessa: perdo la sensazione del mio corpo e rimango lì, a galleggiare. Non è male come sensazione.
Non sto dicendo che fare yoga sia la panacea di tutti i mali. Ma è un punto di partenza, o almeno per me lo è stato. Perché mi ha portata ad iniziare un percorso di autoanalisi che continua tutt'ora. A volte è doloroso, a volte è penoso, ma se mi guardo indietro - con tutto che ancora lotto contro l'inazione - vedo che ho fatto un po' di strada.
Se mi confronto con la persona che ero otto mesi fa, posso dire che sono più serena. Non ho risolto tutti i miei problemi, ma li affronto. E non più con la pretesa di una soluzione immediata, stile bacchetta magica. Ma con un obiettivo in mente: migliorarmi.
Diventare un essere umano più sereno, in grado di godersi la propria vita e il proprio tempo come merita di essere goduto, senza ridurlo a una palude d'ansia e frustrazione. Se devo essere sincera, la meta è ancora molto lontana: per certi versi sono peggio di una cozza, io. Sto arroccata nei miei schemi, dietro le mie mura e da lì non mi smuovo. E le mie fobie, quando stuzzicate, conservano ancora tutta la loro potenza. Mi piacerebbe dire il contrario, ma, visti gli ultimi episodi, non hanno ancora perso la loro presa su di me. Però non ho più voglia di subirle. Non sono più così convinta che la risposta giusta sia non ci posso fare niente.
Per adesso, direi che va bene così.
Quello che descrivi per il camminare, prestando attenzione ad ogni movimento, è ciò che nella pratica zen si chiama Kinhin - ed io cominciai a farlo tanti anni addietro, quando scarpinavo su e giù per i colli a rilevare.
RispondiEliminaLo faccio ancora - anche se solo camminando nel cortile di casa.
Funziona (il più delle volte ;) ).
Uno dei grossi problemi è che non ci è stato mai dato il manuale d'istruzioni per la nostra mente - e per il nostro corpo - quindi tocca improvvisare o, peggio, dar retta a quelli che la sanno lunga.
Ma non sono quelli che la sanno lunga, ad avere le risposte.
Alla fine ciascuno deve trovare il proprio sistema - e grazie per aver condiviso il tuo.
:D Era tanto tempo che avevo voglia di vuotare il sacco - non so nemmeno bene perché. Forse perché potrebbe essere la spintarella per qualcuno che ne ha bisogno, come ne avevo bisogno io a settembre scorso.
EliminaIl guaio non è tanto il non avere un manuale di istruzioni, perché, nel mio caso, anche se l'avessi non so se lo seguirei docilmente. Conoscendomi, tenterei di trovare comode scappatoie ed eviterei come la peste tutto quel che non mi piace, mi spaventa, non voglio vedere e non voglio analizzare!
Dovrò rileggermi questo post tutte le volte che la marea nera mi assale, tutte le volte che mi sento frustrata, tutte le volte che non riesco a fare quello che vorrei... <3
RispondiEliminaÈ un lungo viaggio, quello che ho intrapreso. Non è così semplice tenere duro e continuare, a volte hai la tentazione di mollare e basta. Però sono contenta di essere partita.
EliminaPer me già tenere a bada le aspirazioni è qualcosa. Mi hanno insegnato a essere competitiva e questo ha finito per diventare l'unico modo per mettermi "in moto". Non è un atteggiamento sano, ma non sono riuscita a capirlo finché non mi sono trovata a doverci per forza fare i conti. Ci sono un mucchio di altre cose che dovrò cambiare, oltre questa, ma si fa un passo alla volta.