giovedì 4 ottobre 2012

Subbaqqui

Hydropunk si avvicina e, visto che l'elemento irrinunciabile è l'acqua, ho pensato che potesse essere utile un riassunto su alcune cose di cui tenere conto quando si ambientano delle scene sott'acqua.
Come ci si vede, sott'acqua?
La luce visibile è (anche) un'onda e quando passa da un mezzo (aria) a un altro (acqua) parte viene rifratta e parte viene riflessa. L'ammontare dell'una e dell'altra variano a seconda dell'angolo di incidenza con il quale arriva, il che dipende da ora, stagione e latitudine.
La luce è composta da uno spettro di lunghezze d'onda differenti, a ciascuna delle quali è associato un colore e colori diversi arrivano a profondità diverse. Considerate che il rosso sparisce entro i primi cinque metri, l'arancio arriva fino a quindici, il giallo a trenta e il verde arriva fino a sessanta. L'ultimo è il blu, che può arrivare anche fino a quattrocento metri (se l'acqua è davvero limpida e ci sono condizioni ottimali). In realtà, l'occhio umano tende a compensare automaticamente, quindi non è che si vede monocromatico. Al di sotto, la luce svanisce piano piano (infatti la chiamano "zona crepuscolare") e poi buio pesto. Se ci sono materiali in sospensione il discorso cambia. Nella peggiore delle ipotesi, il vostro personaggio potrebbe avere parecchie difficoltà a vedere anche a cinque metri dalla superficie. La visibilità "orizzontale" è un'altra questione importante: se l'acqua è torbida, anche riuscire a vedere in un raggio di pochi metri può essere un bel casino.
[Ah, il vetro della maschera ha un effetto deformante: ingrandisce un po' e ci sono difficoltà a giudicare bene le distanze.]
E la pressione? Sfatiamo un mito: i liquidi sono incomprimibili e noi siamo fatti di liquido per circa l'ottanta per cento, ecco perché non ci sentiamo schiacciare. Il problema nasce per il restante venti per cento: la nostra parte gassosa (non le puzzette! La cavità toracica e le vie aeree superiori!). Facciamola semplice: le grandezze che caratterizzano i gas sono pressione, temperatura e volume. E sono interconnesse: se sono a temperatura costante e aumento la pressione, il volume si riduce, perché il prodotto fra le due deve rimanere costante.
Viceversa, se diminuisco la pressione, il volume aumenta.
Perciò, se sono in equilibrio a 3 atmosfere, decido di salire e non butto fuori l'aria man mano, questa aumenta di volume e io mi becco un barotrauma.
Inoltre, l'aria è, in realtà, una miscela di gas diversi. A noi interessano l'ossigeno e l'anidride carbonica, per via dello scambio gassoso nel sangue, ma quello che fa casino nelle immersioni è l'azoto. Quando iniziamo a scendere, passa in forma liquida, e si trasferisce dai polmoni al sangue. Durante la risalita, l'inverso: cambia di stato e da liquido ritorna gassoso, passa nel sangue venoso e viene espirato via. Tutto liscio?
Col cavolo. Se si sale troppo in fretta succede come quando si apre una bottiglia di Coca cola di colpo: un sacco di bollicine che vengono su e scoppiano tutte insieme. Ecco perché si fanno le tappe di decompressione: per smaltire l'azoto piano piano, buttandolo fuori senza conseguenze. Quindi, se il vostro personaggio si fa da 100 metri alla superficie in pochi minuti... meglio che abbiate pronta una camera iperbarica. (Il calcolo delle tappe di decompressione, comunque, non considera soltanto la profondità, ma anche il tempo di permanenza. I subbaqqui moderni usano il computer da immersione, una volta c'erano delle tabelle apposite). 
L'azoto, poi, ha anche un'altra simpatica conseguenza - che si manifesta però a profondità elevate: sotto certe pressioni, si miscela con l'ossigeno e forma... gas esilarante. No, sul serio. Prima ti sbellichi, poi ti rincoglionisci a tal punto che perdi la concezione di dove sia l'alto e dove il basso e rischi davvero di rimanerci secco. Ecco a voi la narcosi da azoto.
Per quel che riguarda l'attrezzatura, diciamo che mi limiterò a quella che mi interessa maggiormente: l'attrezzatura da palombaro classico
A differenza di chi si immerge con le Atmospherical Diving Suit, il palombaro classico è esposto ai rischi dell'embolia e deve fare tappe di decompressione. La differenza fra lui è il subacqueo - a parte quella ovvia: uno cammina, l'altro nuota - che è il subacqueo ha la sua scorta d'aria e la possibilità di risalire autonomamente, il palombaro è legato - nel vero senso della parola - alla superficie. (In realtà, può risalire anche da sé con una manovra che si chiama pallonata, gonfiando lo scafandro elastico fino a portarsi in assetto positivo, ed esistono dei respiratori autonomi, il più antico dei quali è l'aeroforo Royquarol-Denayrouze, 1865, ma si usa di più la manichetta dell'aria).
Il palombaro classico, poveretto, si porta addosso un mucchio di peso. Lui sul fondo deve arrivarci e riuscire a muoversi e a lavorare, in barba ad Archimede e al suo principio.
Perciò abbiamo, da dentro a fuori: un completo di lana - maglia, pantaloni, calzettoni, berretto e sciarpa - perché giù fa un freddo porchissimo e i turni di lavoro durano ore. Sopra c'è la tuta impermeabile, di tela gommata, con rinforzi su gomiti, ginocchia e cavallo. È a doppio strato: il più esterno (sentina) è predisposto per eventuali infiltrazioni d'acqua, in modo che il palombaro resti all'asciutto. I polsini e le caviglie della tuta hanno risvolti gommati e sono molto stretti, per prevenire infiltrazioni, il collo, gommato anche quello, ha dodici fori che servono per avvitarci il collare e, di seguito, l'elmo.
L'elmo - che è la caratteristica più riconoscibile - pesa circa quindici chili. Poi ci sono le due zavorre - una sul petto e una sulla schiena. Siccome la loro funzione è tenere giù il palombaro, dipende dall'entità della spinta che egli riceverà: comunque, si va da minimo 25-30 chili. E poi le scarpe piombate - 18 chili l'una. Non è finita qui, in realtà, perché poi ci sono da considerare: l'eventuale aeroforo, sulle spalle. La sacca degli attrezzi. Torcia e coltello. Inoltre, il poveretto si trascina dietro: la manichetta dell'aria, avvitata a un'apposita imboccatura dell'elmo, il cavo telefonico e la braga, la cima di sicurezza che consente, in caso di problemi, di recuperarlo alla svelta.
Insomma, parliamo di un'ottantina di chili come ridere, il che spiega come mai ogni palombaro abbia un operatore di appoggio - detto guida - che lo aiuta nella vestizione, nella discesa in acqua e nella risalita.
E le profondità? I palombari oggi sono impiegati a profondità elevate, quando si tratta di riparazioni su piattaforme petrolifere. Non volendo sbilanciarmi su un valore massimo - ne ho trovati diversi, ma non ci sono fonti citate - si può tranquillamente considerare almeno duecento metri.

Tutte le immagini sui palombari vengono da qui, e, se l'argomento vi interessa, ecco il sito della sezione italiana della Historical Diving Society: pieno di notizie e foto interessanti. 
Inoltre vi consiglio questo: io ce l'ho ed è bellissimo.



2 commenti:

  1. Signora Secchiona, vogliamo finirla?
    E Bernoulli, non lo citiamo? Quando fai la bracciata a stile e delfino eccolo lì che si palesa.
    E le foto dei palombari son bellissime!

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    Risposte
    1. Quando fai la bracciata a stile e delfino eccolo lì che si palesa.
      Sì, ma sott'acqua ti serve tanto quanto...

      E le foto dei palombari son bellissime!
      Vero?

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