martedì 28 maggio 2013

Un freddo tuffo nel passato

Nell'aprile del 1943 su Spezia si riversa un vero e proprio mare di bombe: i Lancaster inglesi fanno piovere tonnellate di esplosivo e bombe dirompenti e incendiarie: fino ad allora, nessuna città italiana era stata presa così pesantemente di mira.
È l'inizio di un incubo quotidiano per la città e i suoi abitanti, un incubo che dura fino alla fine della guerra.
La causa, va da sé, è la presenza dell'Arsenale Militare, che all'epoca era una piazzaforte importante.
Per darvi un'idea dei danni causati, all'indomani del 25 aprile, quando iniziò la ricostruzione da parte della Regia Marina, l'ammiraglio inviato a sovrintendere i lavori contò - fra le due darsene, la rada di Lerici e lo specchio di mare antistante Portovenere - più di trecento relitti. Tutte le officine erano ridotte ad ammassi di macerie e i bacini di carenaggio completamente allagati e pieni di rottami.
Ma meglio delle parole, funzionano le immagini, quindi ecco qua.


Ma a subire non fu - com'è ovvio - solo la parte militare. Le sofferenze più grandi furono quelle della popolazione.
Per celebrare il settantesimo anniversario dei bombardamenti, è stato parzialmente restaurato e aperto al pubblico uno dei rifugi antiaerei. Adesso ospita un'esposizione di cimeli storici. Si trova in centro città, a due minuti a piedi dal mio ufficio.
Non potevo - e non volevo - perdere l'occasione di vederlo: mia nonna della guerra, dei tedeschi, delle bombe e dell'essere sfollati me ne ha parlato un bel po'... e non ho dimenticato i suoi racconti.
 
Ero curiosa, curiosa come lo si può essere quando si va a vedere una tomba antica: non ero per niente coinvolta - o impressionata - dal significato e dalle implicazione di ciò che avrei visto.
Quando sono entrata mi ha accolto il più agghiacciante suono che abbia mai sentito. Questo.


Ed è cambiato tutto.
Entri lì dentro e sei - letteralmente - in un altro mondo.
Il rifugio è tutt'altro che un rifugio. Non ti senti sicuro, non ti senti protetto e, soprattutto, non ti senti a tuo agio: è freddo e buio.
L'umidità ti striscia addosso e ti arriva sotto la pelle: le colline di Spezia sono in gran parte carsiche e questo rifugio in particolare, che si sviluppa in due direzioni e va ben oltre il pezzetto visitabile, ha problemi di venute d'acqua dalla roccia. Il gocciolio è costante e, in alcuni punti, la volta (nella sua versione originale, in mattoni pieni e malta, questa è in cemento) è instabile e a rischio crollo.
E mentre te ne stai lì senti l'ululato della sirena, il rombo degli aerei in avvicinamento e poi il fischio delle bombe che cadevano e le esplosioni, una dopo l'altra... e non perché ti lasci suggestionare, ma perché l'allestimento comprende anche la proiezioni di alcuni filmati.
La cosa più interessante sono le testimonianze, la viva voce dei superstiti che racconta cosa voleva dire rimanere ammucchiati con i fischi delle bombe che cadevano, le esplosioni che facevano tremare il suolo, senza sapere quando saresti uscito, se avresti ritrovato la tua casa, i tuoi averi e tutte le persone che amavi.

E adesso guardate qui. Non fate caso a tutta la luce, sono i filtri automatici della digitale che compensano la penombra. Osservate il carretto verde in primo piano.
È quello della Pubblica Assistenza. Oggi siamo abituati alle ambulanze.
Ma all'epoca, in questa città devastata e sconvolta, avevano solo quello.
E lo tiravano a forza di braccia, nient'altro che una barella con le ruote, con la cassetta di primo soccorso che andava bene se era piena, soccorrevano i feriti e portavano via i cadaveri.
Le vedete, sullo sfondo a sinistra, quelle due persone? Sono una nonna con suo nipote. Lui avrà avuto si e no dieci anni e dovevate vederlo, come ascoltava attento le sue spiegazioni e i suoi racconti.
Quando sono ripassata, ormai dovevo uscire, loro erano vicini al carretto e lui le ha chiesto, con un tono pieno di stupore: "Ma avevano solo questo?".
Lei l'ha guardato e le si poteva leggere in faccia l'amarezza e il dolore dei ricordi.
"Sì", ha risposto.
Mi ha colpita, questa nonna. Perché le voci di chi certe cose le ha vissute e non può dimenticarle diventano sempre più fioche. E anche perché avrei voluto poterci andare con la mia, di nonna.
Lì dentro ci sono gigantografie della città danneggiata, con i palazzi sventrati e la gente che si dà da fare per rimuovere le macerie.
E le bombe, quelle piccole, eh, perché ne arrivavano da novecento chili - una tonnellata e queste qui, al confronto, erano proprio poca roba.
Ogni tanto, ne ritrovano qualcuna ancora oggi. È successo a un mio vicino di casa, una ventina di anni fa, mentre faceva gli scavi di fondazione del garage - e all'epoca te li potevi fare da solo, quindi è andata bene che si è accorto subito di cosa si trattava.
Me lo ricordo bene, perché sono arrivati i militari del Genio Artificieri e hanno evacuato tutta la zona.
Ci sono aree della città in cui, quando progetti di fare uno scavo, devi mettere in conto la ricerca di ordigni.

E non si trattava solo di esplosivi: lo so che la maschera antigas fa molto "Are you my mummy?", ma vi devo confessare che l'impeto da fangirl whovian disperata si è spento come un cerino buttato nell'acqua quando ho visto lo schema del gruppo di difesa collettiva antigas che poteva bastare per trenta persone.
Trenta persone. E l'unica cosa che poteva evitare loro la morte a causa dei gas tossici era quell'arnese dall'aspetto tutt'altro che rassicurante.
Mi si è gelato il sangue e non perché lì dentro, come vi ho detto, faceva freddo.
La mia è una città che ha vissuto la guerra e che, come al solito, dimentica il suo passato.
Lo seppellisce, proprio come ha seppellito, con cemento e container, il suo fronte a mare.
Potrei farvi vedere altre foto: ci sono mitragliatrici e bossoli di proiettili della contraerea e un cannone motorizzato e gommato parcheggiato di fronte al rifugio (e anche una torretta di nave - calibro quaranta, credo - che fa bella mostra in un incrocio un po' più avanti), ma preferisco lasciarvi qualcos'altro.
Una testimonianza che urla la sua disperazione dall'abisso del tempo. Che parla delle condizioni in cui ci si trovava. Di cosa si doveva affrontare. E mi dispiace se non si leggono le ultime righe, ma le ricordo e ve le riassumo: dice che nei rifugi non ci sono né pale né picconi. Che se una bomba fa crollare l'entrata, "faremo tutti la fine del topo, che aria ce n'è tanta!!"

[Se vi interessa l'argomento, vi consiglio un po' di letture. I volumi sono ampiamenti corredati di foto d'epoca: L'Arsenale Militare Marittimo della Spezia 1945-1950, Incursioni aree sul Golfo della Spezia (dice non disponibile, ma qui si trova facilmente), Il genio militare alla Spezia, e infine il volume edito da La Nazione La Spezia in guerra 1940-1945, a cura di Arrigo Petacco, che penso si riesca a trovare su ebay].

4 commenti:

  1. I bombardamenti erano una faccenda inquietante. Ho sentito i racconti dei familiari che li hanno vissuti. E poi c'era anche la guerra al fronte, ovviamente.

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    1. Sentire i racconti da chi li ha (purtroppo per lui/lei) vissuti. Mia nonna mi raccontava dei bombardamenti in città, poi di cosa significasse essere sfollati in Appennino, dei tedeschi che cercavano i partigiani nel paesino dove erano andati a stare (un'unica ammucchiata di quattro famiglie con bambini piccoli in una casa che è minuscola). Uno dei miei nonni, suo marito (che purtroppo non ho mai conosciuto), era un partigiano ed è stato catturato, una volta (è andata bene che sono riusciti a liberarlo). Sono cose che è fondamentale non dimenticare mai.

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  2. Pensa che sotto casa mia -ma quante cose ci sono in questo quartiere - c'è un rifugio antiaereo.
    L'effetto che fa è più o meno lo stesso di cui parli, se non fosse che è ancora più angusto e oggi rifugio delle biciclette dei bambini.

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    1. Questo era chiuso fino a pochi mesi fa. Ci sono passata vicino per una vita senza sapere della sua esistenza. E gli organizzatori sono rimasti stupiti dal successo di pubblico, perché non si aspettavano una partecipazione e una curiosità così massiccia da parte dei cittadini (e anche dei turisti, ora che attraccano qui le navi da crociera ce ne sono un sacco). Di solito lo spezzino verace è un tipo piuttosto incline a non lasciarsi coinvolgere e un pubblico parecchio difficile. Invece, c'è stata una straordinaria dimostrazione di interessse.

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