giovedì 18 ottobre 2012

Novelist's Boot Camp

Da quando l'ho visto, sul blog di Davide, prima, e su Amazon.uk, poi, è stato amore.
Dovevo averlo.
(Oh, che dirvi? Non so resistere ai gadgets... e questo è un manuale di scrittura con l'apparenza di un gadget. Uno di quelli fichi, peraltro).
Comunque, ieri è arrivato e, anche se non mi sono messa a leggerlo perché prima voglio finire Mugging the Muse, il naso dentro ce l'ho ficcato eccome.
Trovo irresistibile il tono (mentre leggo, immagino Louis Gossett Jr.) e mi fa sbellicare il now do some push-ups then go report for duty, (ho considerato di mettermici davvero, a fare flessioni, così magari mi vengono anche delle braccia decenti... cielo, quanto è triste?). Ma quello che letteralmente adoro è la logica: trattare lo scrivere una storia come un progetto è un approccio che mi affascina e che sento congeniale.
Quando leggo: you must allocate time for planning, preparation, drafting, revising, editing, and proofreading, so make a mission calendar for your novel-length writing project. Set tentative dates for completion of each of these major phases and then break down the tasks in this phases and assign dates for those too.
Questa è una lingua che capisco! (E non sto parlando dell'inglese).
Cominciate a parlarmi del tema della storia (o di qualche altra roba astrusa) e quando vi fisserò potrete vedere nei miei occhi il vuoto cosmico, ma... scadenze, scomporre un progetto in fasi? Lo faccio tutti i giorni, è così che funziona la mia testa. Accidenti, è musica per le mie orecchie!
No, è che con l'ispirazione dall'alto e l'arte non mi ci trovo mica tanto bene. Sono concetti che non capisco. Non lo dico in modo sarcastico, qui "non capisco" non è uguale a "che razza di stronzata, non dovrebbe proprio esistere". In questo caso "non capisco" è più come "mi stai chiedendo di fare un'ossidoriduzione" (nella mia personale scala da zero a incomprensibile, quelle sono in cima alla classifica. Il non plus ultra. Quelle robe assomigliano più a un atto di fede che a un processo razionale. Ciascuno ha le sue bestie nere. Una delle mie è la chimica.)
Non riesco a pensare alla scrittura come uno sforzo creativo che dipende da altro-da-me, per cui se la Musa quel giorno s'è svegliata con la luna storta non c'è verso di mettere giù una riga.
Mi mette a disagio.
Avete presente quel gioco per bambini molto piccoli, quella tavoletta con i buchi di forme diverse e le formine corrispondenti? Ecco: quel tipo di visione della scrittura è il quadrato e io sono la formina fatta a cerchio.
Vederla come un progetto, invece, ha parecchio più senso. Ci sarà sicuramente qualcuno che la reputa un tipo di visione restrittiva e magari troppo pragmatica, però per me è... l'unica che riesco a comprendere. E a maneggiare.
Che poi, se ci penso bene... perché il NaNo mi piace tanto (al di là del fatto che mi offre la scusa di comprarmi una tazza)? Perché ho una scadenza. Una stracavolo di data. In pratica è un progetto con dei limiti e dei requisiti fissati. A quanto pare, sto meglio all'interno di confini netti.

2 commenti:

  1. Io, invece, invidio (nel senso migliore possibile) chi riesce ad affrontare la scrittura come un progetto, a porsi date, scadenze, obiettivi concreti e poi pure a raggiungerli. Per me la scrittura è puro caos, mannaggia a me e alla mia testolina contorta... T__T

    (e speriamo di vincere contro il captcha, oggi me ne sta proponendo di oscenamente illeggibili!)

    RispondiElimina