La gente crede che scrivere sia facile: carta, penna e calamaio e via andare.
Il corollario che segue spesso questo ragionamento è abbastanza avvilente: Che sai, solo perché non c'ho voglia, ma io c'ho un'immaginazione di quelle... se mi metto lì, sicuro che mi pubblicano e ci fanno pure un film.
Invece, suprise!, scrivere non solo non è facile, ma è faticoso. E no, non intendo fisicamente, il crampo dello scrivano e cose simili. (Anche se quando inizi su carta ti viene pure quello. E la tendinite se usi troppo la tastiera.)
Intendo faticoso a livello di testa.
Oh, no, non per la tensione emotiva, l'ispirazione e l'introspezione dolorosa: scrivere non è mica una colonscopia! Almeno, non per me. Io scrivo perché mi diverto, dovessi dibattermi nelle spire della sofferenza romantica del vero autore DOC farei altro. Tipo imparare a cucinare (forse).
È faticoso a livello di testa perché, se vuoi farlo bene, ti devi impegnare. Ci vogliono determinazione e intelligenza.
Partiamo da un presupposto semplice.
Quello che il lettore vuole è una storia. Che inizia da un punto A e finisce in un punto B, possibilmente arrivandoci con un certo criterio logico.
Con coerenza legata al tipo di contesto in cui l'ambientate e ai personaggi che la popolano.
Parentesi: visto che questa affermazione sembra presa pari pari da un manuale (non la è, comunque), meglio chiarire: il lettore non ve la metterà giù in questi termini.
Non ha bisogno di sapere come si chiamano certe cose per notare che non gli vanno bene.
Perciò, se lo piagate con venti pagine di blabla per spiegare il perché e il percome quando non ce n'è bisogno, non dirà: "Oh mio Dio, costui abusa della mia pazienza eccedendo con l'infodump". Probabilmente, dirà qualche variazione sul tema: "Che palle, ho capito, piantala lì e vai avanti!" (Nei casi peggiori, vi manda al diavolo e chiude il libro). Chiusa parentesi.
Detto questo.
La sostanza è: una storia va costruita.
Potete farlo prima, con schemi, note e timeline. Potete farlo dopo, una volta arrivati in fondo a un caotico first draft, potete fare un po' e un po': se c'è una cosa che ho imparato è che non esiste un metodo universale e che ciascuno deve trovare il suo. (Io oscillo fra secondo e terzo, per esempio.)
Regolatevi come più vi piace: l'importante è che lo facciate.
Se guardiamo gli elementi costitutivi di una storia, stringi stringi sono tre: trama, ambientazione e personaggi. Ma visto che la trama, in fondo, dipende dagli altri due, limitiamoci a quelli.
Allora, l'ambientazione.
Sottolineiamo l'ovvio: è molto importante. Lo scrittore intelligente sa che non si tratta di un mero fondale di teatro: deve essere viva e plausibile.
Un esempio? Ma Derry! Derry è protagonista di It non meno del Club dei Perdenti.
Come si crea un'ambientazione?
Domanda da un milione di dollari. Parlando di fantasy o fantascienza, ci sono manuali interi dedicati al worldbuilding... e non sono mai riuscita a leggerli. Me ne vergogno molto. Ci ho provato, ma mi mettono un'ansia da prestazione tremenda e finisce che, quando mi trovo a scrivere, non mi diverto più.
Quindi, ho imparato ad arrangiarmi e non è detto che sia il metodo giusto.
Procedo per analogie: parto da quello che conosco e cerco di immaginare come potrebbero funzionare le cose in un contesto differente. La prospettiva deve essere più ampia possibile: clima, flora, fauna, società, linguaggio, usi, costumi e tradizioni... tutto è interconnesso, tutto è legato alle condizioni fisiche e ambientali. Basta pensare alla società dei Fremen in Dune. O ai vari sistemi sociali che Jack Vance illustra nella saga di Durdane.
Una cosa del genere comporta un grosso lavoro di documentazione.
Documentarsi è una delle parolacce più ricorrenti nelle diatribe fra scrittori e lettori. E, proprio come nella diatriba fra manualisti e anti-manualisti, ci sono posizioni estreme e inconciliabili: chi non ne se ne preoccupa, chi esagera dal lato opposto. C'è da dire che non farlo ti espone al concreto rischio di figuracce (architravi con le chiavi di volta, anyone?).
A me la fase di documentazione piace (riconosco che non è entusiasmante come mettersi lì e sbizzarrirsi a scrivere, comunque). Se non la pensate così, rassegnatevi: è davvero imprescindibile.
Soprattutto perché non serve soltanto per il worldbuilding. Ma anche per la costruzione dei personaggi.
Se il protagonista della storia che sto scrivendo è un informatico, dovrò imparare quel che basta per poterlo rendere credibile. Il che, per carità!, non significa studiare e smanettare fino a diventare una specie di hacker!
Da lettrice, quando mi accorgo che l'autore non conosce ciò di cui parla, mi infastidisco: è come non fare il proprio lavoro al meglio. E non fare il proprio lavoro al meglio è uno sputo in faccia al cliente, né più, né meno.
E visto che li abbiamo tirati fuori, ecco qua, ri-sottolineiamo l'ovvio: l'altra cosa importante sono i personaggi.
Detto in modo molto cinico, sono la chiave per entrare nel cuore del lettore. Se li trova simpatici o, meglio ancora, si innamora di loro, beh, siete a cavallo. Vi perdonerà quasi - quasi - qualsiasi cosa.
E come si costruiscono i personaggi?
Altra domanda da un milione di dollari. Non lo so. (Oppure: "la risposta è dentro di te... e però è sbagliata" cit.)
Ci sono molti manuali che parlano della loro psicologia, degli archetipi, dell'arco di trasformazione, dei conflitti interno, esterno, di relazione... e di questi sì che ne ho letti!
Mi hanno aiutato? All'inizio no. Al contrario.
Perché pretendevo di assemblare il personaggio a tavolino, un mix fra una ricetta e la creatura di Frankenstein. Inutile dire che è stato un EPIC FAIL di proporzioni bibliche.
I personaggi vengono fuori un po' da sé. O almeno, per me funziona così. Conoscere i concetti esposti nei manuali mi ha aiutato a comprenderli meglio, e quindi a lavorare su e con loro, non a crearli.
Rispetto all'ambientazione, sono davvero brutte bestie. Nella migliore delle ipotesi, il lettore li percepirà come persone - con una loro profondità, intendo - e questo vuol dire che potrà provare nei loro confronti sentimenti positivi... o anche negativi. E se al lettore il tal personaggio sta sulle scatole, beh, può anche essere credibilissimo che gli starà sulle scatole lo stesso.
D'altronde, non è che tutti debbano essere carini&coccolosi, anzi.
I personaggi saranno mutevoli, come le persone vere. Tuttavia, mi sento di dire che, nella loro creazione, c'è almeno una cosa da evitare: trasferirsi armi e bagagli nel mondo della storia nei panni del protagonista.
L'abbiamo fatto tutti, agli inizi, ammettiamolo. Prima di renderci conto che non funzionava granché bene. La differenza è che alcuni ancora non l'hanno capito. E perseverano.
Ci sono poche cose più patetiche dello scrittore che dota il proprio l'alter-ego letterario di ogni pregio e ogni virtù.
Lo scribacchino sfigato diventa un eroe senza macchia e senza paura, circondato da donzelle adoranti e la scribacchina bruttarella e stortignaccola una stra-gnocca che fa sbavare l'universo mondo ma resta algida e inaccessibile e mette tutti quanti a posto con una singola, gelida occhiata.
Conoscevo una così, tempo fa. Sono passati anni e, a quanto ne so, è sempre allo stesso livello.
Seriously, get a life!
Se infarcisci il personaggio di tutto quello che per te è fico e che vorresti possedere, creerai un mostro: una Mary Sue (o l'equivalente maschile, Gary Stu). Bella, tanto per non far di nomi, è una Mary Sue da manuale.
I personaggi sono i personaggi e lo scrittore è lo scrittore. Universi separati.
Il fatto è che, come hanno scritto le Socie Sam e Ais, a ogni scrittore o scribacchino capiterà di dover far male, molto male, o anche molto molto peggio del molto male ai propri personaggi.
Ora, è ovvio che dietro il personaggio si celi lo scrittore, ma se il rapporto fra i due è stile Clark Kent e Superman, va da sé che farlo perdere, soffrire, o ucciderlo, non sarà cosa gradita... e lo scribacchino tenderà a evitarlo con tutte le sue forze (e, in casi estremi, l'utilizzo dei più beceri deus ex machina).
Ci sono diversi modi di rapportarsi ai personaggi.
C'è chi si affeziona e fangherleggia. Chi si innamora di loro. E chi no. È una questione di carattere e, come al solito, non ce n'è uno che sia valido per tutti.
Ma non importa quale sia il vostro modo: la cosa importante è che durante tutto l'arco della storia, il personaggio deve restare se stesso. Cioè, non uguale all'inizio, ma anche i cambiamenti inevitabili che affronterà (e no, non perché lo dicono i manuali, ma perché le esperienze ti cambiano, nella vita come nella finzione) dovranno essere coerenti con il suo carattere. Se è un incazzoso, difficilmente reagirà a un cambiamento con la pazienza di Giobbe. Se è un recalcitrante, non ce lo vedo proprio a fare il cagnolino obbediente, non so se mi spiego.
Maneggiare un personaggio, in questo senso, è difficile: deve rassomigliare a un umano vero e gli umani veri sono complicati. Ma parecchio.
Infine, due paroline sulla trama. La trama è una successione di eventi. Cose che succedono, in parte perché il personaggio se le va a cercare, o ci capita in mezzo e reagisce nel modo meno opportuno. I manuali parlano di conflitto esteriore e interiore e di come le due cose siano interconnesse. Ho provato a definirli a priori, ma non ha funzionato bene. Viceversa, mi è capitato di arrivare in fondo alla storia e di capire che, toh, erano tutti e due lì: li avevo utilizzati e non me n'ero neanche accorta. Non è detto che per qualcun altro non funzioni diversamente.
Ma quello che è davvero fondamentale è che la trama abbia presupposti e uno sviluppo che siano solidi.
Come nella vita vera, gli eventi non sono singoli ed isolati: somigliano a una catena, anzi, a un intreccio di catene: causa-effetto, con tante concause ed effetti multipli per gradire. Quello che accade è la logica conseguenza di qualcosa che è successo prima e si ripercuote su ciò che verrà dopo, a livelli differenti su persone differenti.
Questo tipo di nesso va rispettato anche nelle storie.
No, gestire una trama non è semplice: devi avere presente tutte le conseguenze di ogni evento su tutti i personaggi. Il rischio di trovarsi con una conseguenza imprevista che ha più senso e logica di quella pianificata all'inizio è altissimo e attenersi all'idea iniziale potrebbe portare a un buco logico o a un punto "logoro", che farà storcere il naso al lettore. Quindi, un po' di elasticità ci vuole.
Per non parlare di quando le conseguenze si concretizzano in un vicolo cieco: hai esagerato e messo il protagonista in un tale casino che tirarlo fuori è praticamente impossibile. Le scelte non sono tante: o cacci il coniglio dal cilindro (e te ne assumi il rischio), oppure torni indietro, trovi il punto in cui la storia ha iniziato a deragliare e la cambi. È una soluzione drastica e può comportare lo stralcio di un bel po' di lavoro, fra l'altro.
Già. Faticoso.
Tutto questo, poi, potrebbe finire in un fiasco comunque. Anzi, in un certo senso sarà così: potete essere lo scrittore migliore dell'universo, una roba da far impallidire i mostri sacri, ma troverete almeno una persona cui il vostro libro non è piaciuto per niente. E, per come sono le cose oggi, ve lo dirà secco nel muso. Con termini espliciti, magari.
Insomma, com'è che era? Scrivere è facile?
Il corollario che segue spesso questo ragionamento è abbastanza avvilente: Che sai, solo perché non c'ho voglia, ma io c'ho un'immaginazione di quelle... se mi metto lì, sicuro che mi pubblicano e ci fanno pure un film.
Invece, suprise!, scrivere non solo non è facile, ma è faticoso. E no, non intendo fisicamente, il crampo dello scrivano e cose simili. (Anche se quando inizi su carta ti viene pure quello. E la tendinite se usi troppo la tastiera.)
Intendo faticoso a livello di testa.
Oh, no, non per la tensione emotiva, l'ispirazione e l'introspezione dolorosa: scrivere non è mica una colonscopia! Almeno, non per me. Io scrivo perché mi diverto, dovessi dibattermi nelle spire della sofferenza romantica del vero autore DOC farei altro. Tipo imparare a cucinare (forse).
È faticoso a livello di testa perché, se vuoi farlo bene, ti devi impegnare. Ci vogliono determinazione e intelligenza.
Partiamo da un presupposto semplice.
Quello che il lettore vuole è una storia. Che inizia da un punto A e finisce in un punto B, possibilmente arrivandoci con un certo criterio logico.
Con coerenza legata al tipo di contesto in cui l'ambientate e ai personaggi che la popolano.
Parentesi: visto che questa affermazione sembra presa pari pari da un manuale (non la è, comunque), meglio chiarire: il lettore non ve la metterà giù in questi termini.
Non ha bisogno di sapere come si chiamano certe cose per notare che non gli vanno bene.
Perciò, se lo piagate con venti pagine di blabla per spiegare il perché e il percome quando non ce n'è bisogno, non dirà: "Oh mio Dio, costui abusa della mia pazienza eccedendo con l'infodump". Probabilmente, dirà qualche variazione sul tema: "Che palle, ho capito, piantala lì e vai avanti!" (Nei casi peggiori, vi manda al diavolo e chiude il libro). Chiusa parentesi.
Detto questo.
La sostanza è: una storia va costruita.
Potete farlo prima, con schemi, note e timeline. Potete farlo dopo, una volta arrivati in fondo a un caotico first draft, potete fare un po' e un po': se c'è una cosa che ho imparato è che non esiste un metodo universale e che ciascuno deve trovare il suo. (Io oscillo fra secondo e terzo, per esempio.)
Regolatevi come più vi piace: l'importante è che lo facciate.
Se guardiamo gli elementi costitutivi di una storia, stringi stringi sono tre: trama, ambientazione e personaggi. Ma visto che la trama, in fondo, dipende dagli altri due, limitiamoci a quelli.
Allora, l'ambientazione.
Sottolineiamo l'ovvio: è molto importante. Lo scrittore intelligente sa che non si tratta di un mero fondale di teatro: deve essere viva e plausibile.
Un esempio? Ma Derry! Derry è protagonista di It non meno del Club dei Perdenti.
Come si crea un'ambientazione?
Domanda da un milione di dollari. Parlando di fantasy o fantascienza, ci sono manuali interi dedicati al worldbuilding... e non sono mai riuscita a leggerli. Me ne vergogno molto. Ci ho provato, ma mi mettono un'ansia da prestazione tremenda e finisce che, quando mi trovo a scrivere, non mi diverto più.
Quindi, ho imparato ad arrangiarmi e non è detto che sia il metodo giusto.
Procedo per analogie: parto da quello che conosco e cerco di immaginare come potrebbero funzionare le cose in un contesto differente. La prospettiva deve essere più ampia possibile: clima, flora, fauna, società, linguaggio, usi, costumi e tradizioni... tutto è interconnesso, tutto è legato alle condizioni fisiche e ambientali. Basta pensare alla società dei Fremen in Dune. O ai vari sistemi sociali che Jack Vance illustra nella saga di Durdane.
Una cosa del genere comporta un grosso lavoro di documentazione.
Documentarsi è una delle parolacce più ricorrenti nelle diatribe fra scrittori e lettori. E, proprio come nella diatriba fra manualisti e anti-manualisti, ci sono posizioni estreme e inconciliabili: chi non ne se ne preoccupa, chi esagera dal lato opposto. C'è da dire che non farlo ti espone al concreto rischio di figuracce (architravi con le chiavi di volta, anyone?).
A me la fase di documentazione piace (riconosco che non è entusiasmante come mettersi lì e sbizzarrirsi a scrivere, comunque). Se non la pensate così, rassegnatevi: è davvero imprescindibile.
Soprattutto perché non serve soltanto per il worldbuilding. Ma anche per la costruzione dei personaggi.
Se il protagonista della storia che sto scrivendo è un informatico, dovrò imparare quel che basta per poterlo rendere credibile. Il che, per carità!, non significa studiare e smanettare fino a diventare una specie di hacker!
Da lettrice, quando mi accorgo che l'autore non conosce ciò di cui parla, mi infastidisco: è come non fare il proprio lavoro al meglio. E non fare il proprio lavoro al meglio è uno sputo in faccia al cliente, né più, né meno.
E visto che li abbiamo tirati fuori, ecco qua, ri-sottolineiamo l'ovvio: l'altra cosa importante sono i personaggi.
Detto in modo molto cinico, sono la chiave per entrare nel cuore del lettore. Se li trova simpatici o, meglio ancora, si innamora di loro, beh, siete a cavallo. Vi perdonerà quasi - quasi - qualsiasi cosa.
E come si costruiscono i personaggi?
Altra domanda da un milione di dollari. Non lo so. (Oppure: "la risposta è dentro di te... e però è sbagliata" cit.)
Ci sono molti manuali che parlano della loro psicologia, degli archetipi, dell'arco di trasformazione, dei conflitti interno, esterno, di relazione... e di questi sì che ne ho letti!
Mi hanno aiutato? All'inizio no. Al contrario.
Perché pretendevo di assemblare il personaggio a tavolino, un mix fra una ricetta e la creatura di Frankenstein. Inutile dire che è stato un EPIC FAIL di proporzioni bibliche.
I personaggi vengono fuori un po' da sé. O almeno, per me funziona così. Conoscere i concetti esposti nei manuali mi ha aiutato a comprenderli meglio, e quindi a lavorare su e con loro, non a crearli.
Rispetto all'ambientazione, sono davvero brutte bestie. Nella migliore delle ipotesi, il lettore li percepirà come persone - con una loro profondità, intendo - e questo vuol dire che potrà provare nei loro confronti sentimenti positivi... o anche negativi. E se al lettore il tal personaggio sta sulle scatole, beh, può anche essere credibilissimo che gli starà sulle scatole lo stesso.
D'altronde, non è che tutti debbano essere carini&coccolosi, anzi.
I personaggi saranno mutevoli, come le persone vere. Tuttavia, mi sento di dire che, nella loro creazione, c'è almeno una cosa da evitare: trasferirsi armi e bagagli nel mondo della storia nei panni del protagonista.
L'abbiamo fatto tutti, agli inizi, ammettiamolo. Prima di renderci conto che non funzionava granché bene. La differenza è che alcuni ancora non l'hanno capito. E perseverano.
Ci sono poche cose più patetiche dello scrittore che dota il proprio l'alter-ego letterario di ogni pregio e ogni virtù.
Lo scribacchino sfigato diventa un eroe senza macchia e senza paura, circondato da donzelle adoranti e la scribacchina bruttarella e stortignaccola una stra-gnocca che fa sbavare l'universo mondo ma resta algida e inaccessibile e mette tutti quanti a posto con una singola, gelida occhiata.
Conoscevo una così, tempo fa. Sono passati anni e, a quanto ne so, è sempre allo stesso livello.
Seriously, get a life!
Se infarcisci il personaggio di tutto quello che per te è fico e che vorresti possedere, creerai un mostro: una Mary Sue (o l'equivalente maschile, Gary Stu). Bella, tanto per non far di nomi, è una Mary Sue da manuale.
I personaggi sono i personaggi e lo scrittore è lo scrittore. Universi separati.
Il fatto è che, come hanno scritto le Socie Sam e Ais, a ogni scrittore o scribacchino capiterà di dover far male, molto male, o anche molto molto peggio del molto male ai propri personaggi.
Ora, è ovvio che dietro il personaggio si celi lo scrittore, ma se il rapporto fra i due è stile Clark Kent e Superman, va da sé che farlo perdere, soffrire, o ucciderlo, non sarà cosa gradita... e lo scribacchino tenderà a evitarlo con tutte le sue forze (e, in casi estremi, l'utilizzo dei più beceri deus ex machina).
Ci sono diversi modi di rapportarsi ai personaggi.
C'è chi si affeziona e fangherleggia. Chi si innamora di loro. E chi no. È una questione di carattere e, come al solito, non ce n'è uno che sia valido per tutti.
Ma non importa quale sia il vostro modo: la cosa importante è che durante tutto l'arco della storia, il personaggio deve restare se stesso. Cioè, non uguale all'inizio, ma anche i cambiamenti inevitabili che affronterà (e no, non perché lo dicono i manuali, ma perché le esperienze ti cambiano, nella vita come nella finzione) dovranno essere coerenti con il suo carattere. Se è un incazzoso, difficilmente reagirà a un cambiamento con la pazienza di Giobbe. Se è un recalcitrante, non ce lo vedo proprio a fare il cagnolino obbediente, non so se mi spiego.
Maneggiare un personaggio, in questo senso, è difficile: deve rassomigliare a un umano vero e gli umani veri sono complicati. Ma parecchio.
Infine, due paroline sulla trama. La trama è una successione di eventi. Cose che succedono, in parte perché il personaggio se le va a cercare, o ci capita in mezzo e reagisce nel modo meno opportuno. I manuali parlano di conflitto esteriore e interiore e di come le due cose siano interconnesse. Ho provato a definirli a priori, ma non ha funzionato bene. Viceversa, mi è capitato di arrivare in fondo alla storia e di capire che, toh, erano tutti e due lì: li avevo utilizzati e non me n'ero neanche accorta. Non è detto che per qualcun altro non funzioni diversamente.
Ma quello che è davvero fondamentale è che la trama abbia presupposti e uno sviluppo che siano solidi.
Come nella vita vera, gli eventi non sono singoli ed isolati: somigliano a una catena, anzi, a un intreccio di catene: causa-effetto, con tante concause ed effetti multipli per gradire. Quello che accade è la logica conseguenza di qualcosa che è successo prima e si ripercuote su ciò che verrà dopo, a livelli differenti su persone differenti.
Questo tipo di nesso va rispettato anche nelle storie.
No, gestire una trama non è semplice: devi avere presente tutte le conseguenze di ogni evento su tutti i personaggi. Il rischio di trovarsi con una conseguenza imprevista che ha più senso e logica di quella pianificata all'inizio è altissimo e attenersi all'idea iniziale potrebbe portare a un buco logico o a un punto "logoro", che farà storcere il naso al lettore. Quindi, un po' di elasticità ci vuole.
Per non parlare di quando le conseguenze si concretizzano in un vicolo cieco: hai esagerato e messo il protagonista in un tale casino che tirarlo fuori è praticamente impossibile. Le scelte non sono tante: o cacci il coniglio dal cilindro (e te ne assumi il rischio), oppure torni indietro, trovi il punto in cui la storia ha iniziato a deragliare e la cambi. È una soluzione drastica e può comportare lo stralcio di un bel po' di lavoro, fra l'altro.
Già. Faticoso.
Tutto questo, poi, potrebbe finire in un fiasco comunque. Anzi, in un certo senso sarà così: potete essere lo scrittore migliore dell'universo, una roba da far impallidire i mostri sacri, ma troverete almeno una persona cui il vostro libro non è piaciuto per niente. E, per come sono le cose oggi, ve lo dirà secco nel muso. Con termini espliciti, magari.
Insomma, com'è che era? Scrivere è facile?
Ottimo riassunto di tutto quello di cui bisognerebbe essere consapevoli quando si scrive... per non tirare fuori obbrobri come certi paladini e certe eroine che sappiamo bene.
RispondiEliminaQuello che spesso non si comprende è che i manuali si leggono perché aiutano a essere consapevoli e riconoscere certe dinamiche, a individuare punti di forza e punti deboli e come intervenire. Non sono un elenco di prescrizioni da tenere accanto quando si scrive una prima stesura, per farsi venire il panico se, oddio!, ho saltato una tappa del "viaggio dell'Eroe" e, orrore!, non ho tenuto presente i ventordici modi di scrivere una descrizione efficace. Dopo la prima stesura si inizia a lavorare di lima, microscopio e attrezzi per smontare e rimontare i pezzi della storia.
E, come dici giustamente tu, non c'è un unico metodo valido per tutti, e se si scrive un post sulla scrittura non è per impartire dall'alto briciole di saggezza su una folla di stolti, ma semplicemente per confrontarsi, perché un'osservazione, un trucco, un consiglio altrui potrebbe rivelarsi utile da sperimentare, se non subito magari alla prossima storia.
Per il resto... ognuno ha le sue preferenze. Io proseguo molto più tranquilla nel creare i personaggi, o con la trama, mentre farei volentieri a meno di rompermi la testa sul setting.
E, come dici giustamente tu, non c'è un unico metodo valido per tutti
EliminaCi ho messo un mucchio di tempo a capirlo e mi è costato un sacco di frustrazione, perché le cose che funzionavano per altri con me davano pessimi risultati.
un'osservazione, un trucco, un consiglio altrui potrebbe rivelarsi utile da sperimentare, se non subito magari alla prossima storia.
Amen! XD
mentre farei volentieri a meno di rompermi la testa sul setting
Lì dipende anche dal tipo di storia che scrivi. Se hai per le mani fantasy o fantascienza ti tocca. Altrimenti si va sempre a finire con il mondo di dimensioni rettangolari giusto giusto per essere messo nella cartina all'inizio del libro...
"(architravi con le chiavi di volta, anyone?)"
RispondiEliminaSigh, li mortacci sua e delle sue chiavi di volta. Avevo avuto un brivido di orrore e una botta di odio inverecondo al solo leggerlo! :( E chiuso l'anteprima a tempo zero, per il fastidio! :P
Quoto tutta la riflessione. Scrivere NON è facile. Non se si vuole andare oltre i pensierini della terza elementare :) Ne vale la pena, ma è una lotta aspra e mooooolto dura! ;)
Ne vale la pena, ma è una lotta aspra e mooooolto dura! ;)
EliminaGià. Quando metti la parola "Fine" ti ripaga di tutto quanto.
Anche io tendo tra il secondo e il terzo, ma devo dire che non ho mai ancora "programmato" una storia, quindi non so.
RispondiEliminaHo scritto racconti, o raccontini (ini ini xD)...ma scrivo solo da un paio d'anni, probabilmente non ho ancora l'esperienza necessaria per programmare un romanzo, ma per un racconto si.
[Parentesi esplicativa: una volta scrissi 20.000 (inizio e fine di un romanzo, 10.000 e 10.000. a tre mesi di distanza, per un corso. Tutto di getto. In fatti non era un gran che e i personaggi erano monodimensionali xD].
Scrivere è difficile, ci vuole studio, ricerca e passione (Oltre che bravura)...si deve sudare, ma, secondo me, ne vale la pena :D
Anche io tendo tra il secondo e il terzo, ma devo dire che non ho mai ancora "programmato" una storia, quindi non so.
EliminaIo all'inizio provavo a pianificare tutto quanto... ed era un disastro. Oltretutto, non mi divertivo affatto.
Divertirsi è fondamentale, altrimenti addio.
Anche io all'inizio ho provato a pianificare tutto, tanto che ad un certo punto mi sono perso e sono rimasto arenato per più di 1 anno sullo stesso punto. Infatti alla fine ho ottenuto una ciofeca.
EliminaQuando ci ho riprovato sono partito senza sapere praticamente niente della storia, ho pensato solamente ad una caratteristica dei personaggi che volevo usare come per esempio tenace, timido o arrogante. Sono quindi partito da una sequenza iniziale e ho continuato a braccio, avevo l'impressione di vedere la storia come un film e la scoprivo piano piano. Andando avanti ho cercato di definire un po' meglio l'ambientazione e almeno il "mistero" al centro della vicenda. Gli eventi si susseguivano e le reazioni dei personaggi creavano nuovi eventi che portavano avanti il racconto.
Nel tempo i personaggi sono un po' cambiati a causa di alcuni eventi e la cosa mi è sembrata abbastanza naturale.
Per quanto mi riguarda questo è stato il mio modo di procedere e mi è piaciuto un mondo scrivere seguendo questa linea, c'è anche da dire che era un periodo in cui ero "arrabbiato" e forse anche questo mi ha aiutato, in qualche modo è stato uno sfogo che mi ha calmato.
Questa la mia piccola esperienza che mi fa piacere condividere con voi... ;o)))